Toscana
Approvato con DM 09.10.1995 G.U. 250 - 25.10.1995 Modificato con DM 22.11.1995 G.U. 01 - 02.01.1996 Modificato con DM 26.02.1996 G.U. 57 - 08.03.1996 Modificato con DM 22.01.1998 GU 24 - 30.1.1998 Modificato con DM 04.11.2009 G.U. 269 - 18.11.2009 Modificato con DM 30.11.2011 Pubblicato sul sito ufficiale del Mipaaf Sezione Qualità e Sicurezza – Vini DOP e IGP
L'indicazione geografica tipica “Toscano” o “Toscana”, accompagnata o meno dalle specificazioni previste dal presente disciplinare di produzione, e' riservata ai mosti e ai vini appartenenti alle seguenti categorie e rispondenti alle condizioni ed ai requisiti appresso indicati: a) vino nelle tipologie: bianco e bianco abboccato, rosso, rosso novello, rosso abboccato, rosato, rosato abboccato b) vino frizzante nelle tipologie: bianco frizzante, rosato frizzante c) vino da uve appassite (passito) d) vino da uve stramature (vendemmia tardiva) Alle tipologie sopraindicate si aggiungono quelle contenenti la specificazione di uno o più vitigni di cui al successivo articolo 2, che costituiscono la specifica del prodotto contraddistinto dagli stessi. Tale impiego avviene nel rispetto della disciplina comunitaria.
I vini a indicazione geografica tipica “Toscano” o “Toscana”, di cui all'articolo1, devono essere ottenuti da uve provenienti da vigneti composti, nell’ambito aziendale, da uno o più vitigni idonei alla coltivazione nella regione Toscana. Si riportano nell'allegato n. 1 i vitigni che possono concorrere alla produzione dei vini sopra indicati, iscritti nel Registro nazionale delle varietà di vite per uve da vino approvato con D.M. 7 maggio 2004 (pubblicato sulla G.U. n. 242 del 14 ottobre 2004), e successivi aggiornamenti, riportati nell’allegato 1 del presente disciplinare.
La zona di produzione delle uve per l'ottenimento dei mosti e dei vini atti a essere designati con l'indicazione geografica tipica “Toscano” o “Toscana” comprende l'intero territorio amministrativo delle province di Arezzo, Firenze, Grosseto , Livorno, Lucca, Massa Carrara, Pisa, Pistoia, Prato , Siena, nella Regione Toscana.
Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini di cui all'articolo 1 devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire alle uve, al mosto ed al vino derivato le specifiche caratteristiche indicate dal presente disciplinare. La produzione massima di uva per ettaro di vigneto in coltura specializzata, nell’ambito aziendale, per i vini a indicazione geografica tipica “Toscano” o “Toscana” accompagnati o meno dal riferimento al nome di vitigno, non deve essere superiore rispettivamente: a 16 tonnellate per le tipologie rosso, rosso novello e rosso abboccato, rosato, rosato frizzante e rosato abboccato: a tonnellate 17 per le tipologie bianco, bianco frizzante, bianco abboccato e per il vino passito; a tonnellate 9 per le tipologie da uve stramature. Le uve destinate alla produzione dei vini ad indicazione geografica tipica “Toscano” o “Toscana” seguita o meno dal riferimento al vitigno, devono assicurare ai vini un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di: 10,00% vol per i vini rosso, rosso novello e rosso abboccato, rosato, rosato frizzante e rosato abboccato; 9.00% vol per il vino bianco, il vino bianco frizzante e bianco abboccato; 15,00% vol per il vino da uve stramature (vendemmia tardiva); 16,00% vol per il vini da uve passite (passito). Nel caso di annate particolarmente sfavorevoli, detti valori possono essere ridotti dello 0,5% vol da parte della Regione Toscana.
Nella vinificazione sono ammesse le pratiche previste dalla normativa in vigore atte a conferire ai vini le peculiari caratteristiche. Per la produzione dei vini a indicazione geografica tipica “Toscano” o “Toscana” della tipologia rosso e' consentita la pratica del governo all'uso toscano consistente nella rifermentazione del vino mediante l'aggiunta di uva rossa leggermente appassita nella misura non inferiore a 5 kg per ettolitro. La vinificazione delle uve destinate alla produzione dei vini a IGT “Toscano” o “Toscana” deve avvenire all’interno del territorio di produzione delimitato dall’articolo 3.
Tuttavia è consentito che tali operazioni vengano effettuate nell’ambito del territorio dei comuni confinanti alla zona di produzione. Inoltre è consentito ai sensi dell’articolo 6 paragrafo 4, comma 2 del regolamento CE n.607/09 che tali operazioni siano effettuate al di fuori delle immediate vicinanze dell’area geografica delimitata fino al 31 dicembre 2012. La resa massima dell’uva in vino finito, pronto per il consumo, non deve essere superiore all’80% Tale resa è ridotta al 60% per le tipologie da uve stramature e da uve appassite.
I vini a indicazione geografica tipica “Toscano” o “Toscana” all’atto dell’immissione al consumo devono presentare le seguenti caratteristiche:
Rosso e Rosso novello da soli od anche con la specificazione del o dei vitigni che costituiscono la base produttiva Colore: nelle varie tonalità violetto o rubino; per il rosso, tendente al granato con la maturità; Odore: di aromi primari e secondari, semplice con evidente vivacità, che tende ad una maggiore complessità per l’evoluzione di aromi terziari con la maturazione, differenziato a seconda della percentuale dei vitigni impiegati; caratterizzato nel rosso novello dalla particolare vinificazione.
Sapore: giovane, facile, adatto per un’ampia varietà di vivande, raggiunge una maggiore strutturazione per un persistente retrogusto causato dagli specifici polifenoli nei vini idonei ad una prolungata maturazione. Titolo alcolometrico volumico totale: minimo 11,00% vol; Acidità totale minima: 4,5 g/l; Estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l.
Rosso Abboccato da solo od anche con la specificazione del o dei vitigni che costituiscono la base produttiva. Colore: nelle varie tonalità violetto o rubino; Odore: non vivace ma vellutato e caratteristico dei vitigni impiegati; che tende ad una maggiore complessità per l’evoluzione di aromi terziari con la maturazione, differenziato a seconda della percentuale dei vitigni impiegati. Sapore: rotondo e caratterizzato dal contenuto zuccherino consentito dai limiti di legge; Titolo alcolometrico volumico totale: minimo 11,00% vol; Acidità totale minima: 4,5 g/l; Estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l.
Rosato o Rosato abboccato da solo od anche con la specificazione del o dei vitigni che costituiscono la base produttiva Colore: di intensità tenue, con tonalità che può variare in funzione del o dei vitigni utilizzati o della vinificazione; Odore: prevalentemente derivato dagli aromi primari dei vitigni impiegati; Sapore: equilibrato sia nella componente acida che polifenolica, mancante di vivacità nella tipologia abboccato, reso morbido dal contenuto zuccherino fissato dai limiti di legge. Titolo alcolometrico volumico totale: minimo 11,00% vol; Acidità totale minima: 4,5 g/l; Estratto non riduttore minimo: 16,0g/l.
Rosato Frizzante da solo od anche con la specificazione del o dei vitigni che costituiscono la base produttiva Colore: rosato tenue, brillante per un equilibrato perlage; Odore: floreale con note di piccoli frutti rossi; Sapore: da secco a dolce, vivace, fresco morbido ed equilibrato; Titolo alcolometrico volumico totale: minimo 11,00% vol; Acidità totale minima: 4,5 g/l; Estratto non riduttore minimo: 16,0 g/l.
Bianco da solo od anche con la specificazione del o dei vitigni che costituiscono la base produttiva Colore: tenue con riflessi sul verde oppure giallo paglierino da leggero a più carico; Odore: semplice, floreale costituito fondamentalmente da aromi primari e secondari . in caso di impiego di alcuni vitigni la componente aromatica si evolve negli aromi terziari caratterizzati dagli stessi; Sapore: leggermente acidulo tale da favorire una leggera salivazione. Nel caso di evoluzione degli aromi terziari presenta uno specifico persistente retrogusto; Titolo alcolometrico volumico totale: minimo 10,00% vol; Acidità totale minima: 4,5 g/l; Estratto non riduttore minimo: 16,0 g/l. Bianco abboccato da solo od anche con la specificazione del o dei vitigni che costituiscono la base produttiva
Colore: paglierino più o meno intenso; Odore: di frutta matura; Sapore: morbido con buona base di acidità non evidenziata; Titolo alcolometrico volumico totale: minimo 10,00% vol; Acidità totale minima: 4,5 g/l; Estratto non riduttore minimo: 16,0 g/l.
Bianco frizzante da solo od anche con la specificazione del o dei vitigni che costituiscono la base produttiva Colore: giallo paglierino con perlage fine e persistente; Odore: delicato, floreale, con note leggere di frutta, sensazioni fresche; Sapore: da secco a dolce, vivace e contemporaneamente morbido ed equilibrato; Titolo alcolometrico volumico totale: minimo 10,00% vol; Acidità totale minima: 4,5 g/l; Estratto non riduttore minimo: 16,0 g/l.
Passito (da uve appassite) solo od anche con la specificazione del o dei vitigni che costituiscono la base produttiva Colore: da giallo paglierino carico a dorato per il vino prodotto da uve bianche e tendente al bruno nei vini provenienti da uve rosse; Odore: riferibile alla frutta esotica o di confettura; Sapore: pieno, rotondo senza evidenziare caratteristiche acide, con giusto equilibrio tannico. Notevole variabilità del rapporto alcol complessivo/acidità svolta; Titolo alcolometrico volumico totale: minimo 9,00% vol; Acidità totale minima: 4,5 g/l; Estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l.
Vendemmia Tardiva (da uve stramature) solo od anche con la specificazione del o dei vitigni che ne costituiscono la base produttiva Colore: da paglierino carico al dorato; Odore: riferibile alla frutta matura, al miele, caratterizzato dal differente grado di botritizzazione; Sapore: rotondo, ma contenuto con giusto equilibrio dolce/acido; Titolo alcolometrico volumico totale: minimo 12,00% vol; Acidità totale minima: 4,5 g/l; Estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l.
All’indicazione geografica tipica “Toscano” o “Toscana” è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste nel presente disciplinare di produzione, ivi compresi gli aggettivi extra, “fine”, “scelto”, “selezionato” superiore e similari. E’ tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi aziendali, ragioni sociali e marchi privati, purchè non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno il consumatore.
L’indicazione geografica tipica “Toscano" o “Toscana”, ai sensi dell’articolo 14 del DLgs 61/2010 (Allegato 2), può essere utilizzata come ricaduta per i vini ottenuti da uve prodotte da vigneti coltivati nell’ambito del territorio delimitato nel precedente articolo 3 e iscritti allo schedario viticolo per le relative denominazioni di origine, a condizione che i vini per i quali si intende utilizzare l’indicazione geografica tipica di cui trattasi abbiano i requisiti previsti per una o più delle tipologie di cui al presente disciplinare.
A) Informazioni sulla zona geografica rilevanti per il legame
I confini settentrionali ed orientali della Toscana sono costituiti da un’ampia fascia montuosa che partendo dal confine ligure con l’ Appenninico Tosco-Emiliano al quale si uniscono le Alpi Apuane, dà luogo verso Sud a zone collinari identificate nella Lunigiana, Garfagnana , Mugello, Casentino, Pratomagno, Valtiberina; si interrompe nella depressione collinare Val di Chiana, per riprendere con il monte Cetona ed il massiccio del monte Amiata. Le altezze della cornice montuosa si aggirano mediamente sui 1000 metri s.l.m. per raggiungere i 2.000 m s.l.m. Ad occidente il territorio regionale si chiude con il confine marittimo procedente da Massa Carrara fino al Lago di Burano in prossimità del promontorio di Orbetello. Tale zona è costituita dalla foce di immissione dei vari fiumi toscani, la maggior parte dei quali ha origine dagli Appennini: Magra, Serchio , Arno con i suoi numerosi affluenti. Origine intermedia hanno il Cecina ed il Cornia dalle colline Metallifere, l’Ombrone dai monti del Chianti e l’Albegna dal monte Amiata. Prospicente alla zona costiera e parte integrante della stessa si trova l’Arcipelago Toscano formato da sette isole il cui epicentro è costituito dall’Isola d’Elba che rappresenta la più significativa testimonianza sotto l’aspetto viticolo. La zona interna rappresenta la principale costituente dell’ambiente naturale toscano, ha carattere collinare dove alcuni rilievi ne interrompono il normale orientamento e conformazione (monti Pisani e Colline Metallifere e più a nord Monti del Chianti). Il decorso dei fiumi sopra ricordati delimita le numerose aree collinari che prendono nome dagli stessi; le aree pianeggianti solo in alcuni casi prendono aspetto di vera e propria pianura: la Piana dell’Arno, di natura alluvionale, la pianura litoranea grossetana e la parte della Val di Chiana corrispondente al Canale Maestro derivanti da opere di bonifica. Le aree pianeggianti hanno una quotazione altimetrica oscillante dai 200 ai 50 mt sul livello del mare. Caratterizzazione pedoclimatica La complessità del paesaggio geologico e morfologico ed il continuo sovrapporsi dell’azione dell’uomo a quella dei fattori pedogenetici hanno portato alla formazione in Toscana di un paesaggio pedologico estremamente vario. In poche decine di chilometri si può passare da suoli poco evoluti, pressoché privi di orizzonti diagnostici e caratterizzati dal prevalere delle dinamiche erosive, a suoli estremamente evoluti, caratterizzati da una articolata successione di orizzonti testimoni talvolta di pedogenesi molto antiche. Inoltre l’influenza della composizione mineralogica e granulometrica del substrato, a parità di fattori pedogenetici e di intensità e durata della loro azione, porta allo sviluppo di suoli anche molto diversi in termini di classificazione e cartografia. Tuttavia dal punto di vista della loro risposta a determinati tipi di utilizzazione, in particolare in campo agricolo-forestale, si assiste talvolta ad una sostanziale uniformità di risposta, una volta impropriamente definita vocazionalità. Volendo delineare le caratteristiche pedologiche più strettamente collegate con la viticoltura ed in particolare con la igp Toscana, pare più corretto rappresentare la variabilità del territorio regionale usando caratteristiche più direttamente correlabili allo sviluppo della vite e, in particolare, alcuni fattori più direttamente correlabili con la qualità delle uve prodotte. Il regime idrico del suolo, determinato secondo gli standard del sistema di classificazione americano (USDA), a partire da caratteristiche tipiche del suolo quali la capacità di immagazzinamento dell’acqua, a sua volta funzione della profondità, della composizione granulometrica e del contenuto in sostanza organica dei suoli, dalla pluviometria, intesa sia come valore complessivo medio annuo sia come distribuzione temporale delle piogge e dall’evapotraspirazione potenziale, funzione dell’andamento delle temperature e dei venti, è probabilmente il carattere in grado di caratterizzare meglio il territorio toscano.
Il regime idrico è stato calcolato utilizzando i dati termo pluviometrici disponibili per il territorio toscano e le aree contermini per il periodo 1955-1995 simulando, conformemente alle specifiche del sistema di classificazione Soil Taxonomy (USDA 1992), l’andamento di temperatura e contenuto di umidità in un suolo con capacità di immagazzinamento dell’acqua pari a 150 mm/m. La simulazione iniziale è stata successivamente ricalcolata per ciascuna unità cartografica individuata e cartografata per il territorio regionale e il risultato finale è il seguente:
Regimi idrici dei suoli della Toscana Regime idrico xerico: regime idrico tipico dei climi mediterranei caratterizzati da inverni umidi e freddi ed estati calde e secche. Il regime idrico xerico è caratterizzato, per almeno il 60% degli anni, da una sezione di controllo dell’umidità (approssimativamente pari all’intervallo fra 25 e 75 centimetri di profondità o alla base del suolo se a minor profondità) secca (ovvero con un contenuto in acqua non utilizzabile dalle piante) in tutto il suo spessore per 45 o più giorni consecutivi nei 4 mesi successivi al solstizio d’estate e umida per 45 o più giorni consecutivi al solstizio d’inverno. La temperatura media annua del suolo è inferiore ai 22°C e le temperature medie estiva ed invernale del suolo differiscono per 5°C o più alla profondità di 50 centimetri. Interessa circa 159.000 ettari del territorio toscano. Regime idrico ustico: si tratta di un regime idrico caratterizzato da una moderata aridità e che tuttavia garantisce adeguata disponibilità di acqua nel suolo durante la stagione di crescita della maggior parte delle piante. Il regime idrico ustico, è caratterizzato, nelle aree in cui la temperatura media annua del suolo è inferiore ai 22°C e le medie estiva ed invernale della temperatura del suolo differiscono di 5°C o più alla profondità di 50 centimetri., da una sezione di controllo dell’umidità Xerico Ustico Ustico - Udico Udico secca in qualche parte o in tutto il suo spessore per 90 o più giorni consecutivi nella maggior parte degli anni. Interessa circa 1.128.000 ettari del territorio toscano. Regime idrico udico: il regime idrico udico è caratterizzato, per almeno il 60% degli anni, da una sezione di controllo dell’umidità non secca in qualsiasi parte del suo spessore per almeno 90 giorni cumulativi in ciascun anno. Se la temperatura media annua del suolo è inferiore ai 22°C e la temperatura media estiva ed invernale del suolo differiscono per 5°C o più alla profondità di 50 centimetri, la sezione di controllo dell’umidità è secca in tutto il suo spessore per meno di 45 giorni consecutivi dopo il solstizio d’estate. Interessa circa 503.000 ettari in Toscana. Regime idrico intermedio ustico-udico: la restante parte del territorio toscano, pari a poco più di 509.000 ettari è caratterizzata da un regime idrico non esattamente riconducibile ad uno dei tre tipi sopra descritti in particolare perché la sezione di controllo dell’umidità risulta secca tutta o in parte all’incirca nel 50% degli anni; si tratta quindi di una situazione effettivamente intermedia fra i regimi ustico ed udico. Con la tendenza all’estremizzazione dei fenomeni climatici registrata negli ultimi anni si può considerare che anche queste aree siano caratterizzate da un regime di umidità ustico. Da ciò possiamo identificare il territorio regionale, ad eccezione della fascia costiera della Toscana meridionale, delle isole dell’Arcipelago toscano, del crinale appenninico e del cono vulcanico dell’Amiata come un’area idonea, dal punto di vista del pedoclima, alla crescita della vite in quanto in grado di garantire un’adeguata disponibilità di acqua nelle fasi di sviluppo della vegetazione, di allegagione, di crescita dei frutti. Alla luce di quanto sopra riportato si evidenzia che le aree caratterizzate dal regime idrico ustico e dall’intermedio ustico-udico rappresentano oltre l’80% delle aree idonee all’agricoltura della Toscana. Si tratta di una superficie coltivabile di oltre 1.360.000 ettari caratterizzati da suoli formatisi su una molteplicità di substrati che vanno dalle arenarie, ai calcari, ai depositi di età pliocenica e pleistocenica sia marini che continentali e sulle coltri di deposito generatesi da essi. Si tratta di suoli con profondità esplorabili dalle radici comprese fra 70 e oltre 150 cm, con una quantità di acqua disponibile per le piante variabile da 100 a oltre 150 mm/m, con pH generalmente neutro o sub alcalino, generalmente caratterizzati da un discreto drenaggio in funzione della buona struttura e, talvolta, della presenza di scheletro. Composizione granulometrica, contenuto in calcare e tenore in sostanza organica risultano estremamente variabili essendo legate le prime due alla natura del substrato e la terza al tipo di copertura ed all’uso del suolo stesso. Il regime xerico e udico sono caratterizzati da una sezione di controllo dell’umidità effettuata con standards come sopra indicati dal sistema USDA che si discostano dalle condizioni ottimali rilevate per la coltivazione della vite da vino caratterizzate dai regimi ustico e ustico- udico sopra descritti. Tuttavia si presentano, nei territori corrispondenti, aree di limitata estensione dove il microclima e le condizioni ambientali in generale consentono una vocazione viticola di soddisfacente livello soprattutto per alcune varietà sia autoctone che di importazione. Infatti in tali aree, il regime xerico e quello udico con i loro limiti relativamente al fattore idrico, fatta eccezione dalle aree che per motivazioni di varia natura umana, quale la destinazione forestale o naturale, legata soprattutto al fattore altimetrico espositivo, presentano comunque la facies estrema della presenza della viticoltura dando vita a produzioni di notevole pregio, alcune identificate nella categoria delle DOP, altre rientranti nella vasta casistica della IGP Toscana. Quanto appena detto soddisfa la richiesta degli elementi naturali corrispondenti alle caratteristiche in base alle quali si stabilisce il rapporto con la produzione interessata.
B) Informazioni sulla qualità e notorietà del vino
Il principio di indicazione geografica trae origine dalla tradizione identificativa dei vini tipici sulla quale confluivano i principi di provenienza, caratteristiche tipologiche e procedure produttive locali. A tale riguardo fu con i primi del settecento che in Toscana si ebbero i primi atti (bandi Granducali del 1716) con i quali veniva definita la delimitazione territoriale di alcuni vini particolarmente apprezzati sul mercato e alcune sintetiche prescrizioni in materia di protezioni dalle frodi sul commercio vinicolo in difesa dei produttori e dei consumatori. Tale sensibilità sull’argomento sviluppò l’attenzione sui principali problemi che riguardavano sia la tecnica agronomica che quella enologica della viticoltura. Tale presa di coscienza coincise con la nascita della Accademia Dei Georgofili (amanti della terra) avvenuta a Firenze nel 1753 ad opera del canonico lateranense Ubaldo Montelatici sotto gli auspici di Pietro Leopoldo Gran Duca di Toscana. L’attenzione che l’Accademia raccolse a livello internazionale è documentata dalla partecipazione di tre presidenti degli Stati Uniti D’America Jefferson, Madison e Monroe. Le attività nel campo viticolo ed enologico che l’Accademia sviluppò nel suo seno possono sintetizzarsi nei seguenti aspetti. La sistemazione del suolo venne studiata e sperimentata secondo criteri che, tenuto conto delle pendenze e della natura del terreno, assicurassero razionalità alla gestione della vite e contemporaneamente alla difesa del suolo in particolar modo sotto l’aspetto idrogeologico. Nacquero così la sistemazione a spina, i vari tipi di terrazzamento e il sistema a gradoni. Di pari passo vennero studiati l’impiego ed i criteri di allevamento dei vitigni di maggiore importanza nell’ambito della ampelografica autoctona allora esistente, nonché l’opportunità di introduzione selettiva dei vitigni di altre provenienze. Nell’ambito della prima categoria sono da ricordare il Sangiovese, il Canaiolo Nero, il Mammolo e il Colorino nonché il Trebbiano Toscano, la Malvasia lunga del Chianti, Ansonica, Aleatico ed il Vermentino, salvo altri vitigni di importanza locale. Nella seconda categoria sono da citare le due varietà del Cabernet, Merlot, Syrah e Gamay, Pinot bianco, Sauvignon, Roussane. Per quanto riguarda le forme di allevamento si deve ricordare come la conduzione a mezzadria fu elemento di rilievo, anche se non determinante, delle polemiche sorte fra i fautori del vigneto specializzato e quelli che propendevano per il mantenimento della forma promiscua. Tale differenza di orientamento ebbe una notevole influenza nella scelta dei vitigni e soprattutto nelle forme di allevamento della vite. Tali forme relativamente alla cultura specializzata furono orientate verso la controspalliera e la potatura: guyot, capovolto e cordone semplice o speronato. Sotto l’aspetto enologico è da prendere in considerazione la tipica pratica del “governo all’uso toscano” per i vini rossi consistente in una rifermentazione in epoca immediatamente successiva alla svinatura mediante l’aggiunta di una percentuale variabile intorno al 5% di uve leggermente appassite ed ammostate. Gli effetti di tale pratica consistono nella facilitazione della fermentazione malolattica, nella stabilizzazione naturale e nel raggiungimento precoce dell’armonia organolettica del prodotto pronto al consumo. Altro fattore tipicamente toscano che si è protratto anche nelle tipologie moderne è costituito dalla formazione di uvaggi intervarietali tali da incrementare le caratteristiche organolettiche di maggior gradimento da parte del consumatore. E’ caso tipico di tale pratica la formula studiata per il vino Chianti dal Barone Bettino Ricasoli negli anni intorno al 1870. E’ facile comprendere come attraverso queste attività di ricerca e sperimentazione condotte dai principali esponenti della viticoltura toscana e dagli studiosi del settore, si siano sviluppati gli aspetti caratterizzanti delle varie tipologie e tecniche produttive e si sia venuta a costituire una tradizione dalla quale hanno tratto sviluppo le successive denominazione di origine che si andavano via via formando, nel complesso della produzione regionale. L’insieme dei rapporti fra tali specifici fattori davano un significato regionale al settore ponendo in rilievo gli effetti di diversificazione e di assimilazione delle condizioni ambientali ed umane influenzanti il processo. Il progressivo perfezionamento della viticoltura sviluppatosi tra il XVIII e il XIX secolo subì comunque un brusco rallentamento fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo a causa di due gravi epidemie che colpirono la viticoltura in tutta Europa, la prima di carattere fungino (oidio), la seconda dovuta all’afide fillossera che provocarono la distruzione di numerosi impianti nei paesi di più intensa coltivazione viticola.
Una volta sconfitte le epidemie, la ricostituzione viticola iniziò intorno al 1920 e fu l’occasione, in Toscana, dello sviluppo del processo di differenziazione vinicola secondo le denominazioni di origine delle quali, peraltro, non esisteva ancora una precisa definizione. Il periodo precedente la costituzione della Comunità Europea e la sua nuova legislazione in materia vitivinicola rappresentò il momento in cui ebbe inizio la definizione su base internazionale delle categorie che avrebbero rappresentato in futuro la classificazione tipologica vinicola europea. In tale azione ebbe grande rilevanza l’Office International du Vin nato nel 1924 con la partecipazione dei principali paesi vinicoli europei. A tale organismo internazionale si deve la definizione del concetto di denominazione di origine avvenuta nel 1947. In tale momento ricco di notevoli contrasti e di ricerca delle soluzioni dei problemi creati dalla contrapposizione di interessi fra territori e categorie imprenditoriali diverse, il vino tipico toscano mantenne la sua funzione di identificazione regionale attraverso le due tipologie fondamentali bianco e rosso che, soprattutto la seconda, rappresentarono l’immagine di base della produzione regionale, mantenendo e sviluppando i comuni progressi tecnologici fin qui raggiunti. Fu così che prese corpo sia sotto il profilo legislativo che sotto quello organizzativo la realizzazione della normativa che metteva ordine nel campo della identificazione dei riferimenti territoriali delle diverse produzioni che dagli stessi presero il nome. La maggior caratterizzazione tipologica del vino toscano rivolta soprattutto alle occasioni di consumo quotidiano venne orientata verso forme di allevamento altamente produttive ed in ambienti sufficientemente fertili. Gli impianti stessi vennero concepiti secondo la loro adattabilità alla meccanizzazione colturale. Lo stesso criterio venne seguito sia per la scelta delle varietà e nel loro ambito dei biotipi e cloni più produttivi. Altro fattore che influenzò il processo produttivo fu lo sviluppo della cooperazione per mezzo delle cantine sociali, con lo scopo di concentrare la produzione secondo dimensioni di sufficiente commerciabilità, requisito ostacolato dalla spinta riduzione dimensionale delle imprese agricole determinata dalla progressiva riduzione della mezzadria fino alla sua scomparsa per lasciare spazio alla coltivazione diretta. Fu così che la programmazione produttiva si orientò nella ricerca della evoluzione qualitativa quale obiettivo delle nascenti doc, mentre il vino tipico, soprattutto regionale, era orientato verso le alte rese unitarie, mantenendo comunque un rapporto evidente di carattere tipologico fra le due categorie dei vini di origine e di quelli che con l’avvento della Unione Europea divennero i vini ad indicazione geografica. Esaminando la situazione venuta a svilupparsi con la normativa comunitaria successiva al Trattato di Roma (1957) possiamo evidenziarne i seguenti elementi che ebbero effetti modificanti della precedente definizione del principio di origine: - Classificazione I vini tipici vennero qualificati come indicazioni geografiche e separati dal regime delle denominazioni di origine mediante il loro inserimento fra i vini da tavola. - Taglio correttivo In conseguenza di tale collocazione, alle indicazioni geografiche resta confermata la possibilità di taglio nella misura massima del 15% con prodotti di altra provenienza. - Pluralità di destinazione contemporanea dei vigneti Lo stesso appezzamento nel rispetto di alcuni formali requisiti può essere impiegato contemporaneamente od in alternativa annuale per produzione di più vini di diversa categoria. A queste condizioni si aggiunge la possibilità di qualificare igp i superi di produzione dei vini doc e di riqualificare gli stessi come igp con scelta di cantina. Le conseguenze di tali possibilità operative consentono la realizzazione di una normativa che favorisce la pluralità tipologica dei vini igp. E’ in questo contesto che con d.m. 09/10/1995 venne sancita la nascita della igt Toscana.
Tali condizioni determinarono l’elasticità di scelta produttiva quale elemento dello sviluppo della nuova viticoltura che si stava delineando riaffermando l’importanza della produzione igp legata al suo territorio regionale. Tale stato evolutivo del settore produttivo vide la costituzione in data 12/11/1984 dell’Ente Tutela Vini dei Colli della Toscana Centrale successivamente modificato in Ente Tutela Vini di Toscana con atto 24/07/2000. Esso venne riconosciuto ai sensi di legge con d.m. 25/05/2001. Fu così che l’indicazione geografica Toscana recepì i principi normativi della nuova legislazione comunitaria confermandone i significati operativi. I risultati di tale elasticità, per definizione non ammessi per i vini dop, hanno dato vita in Toscana ai seguenti orientamenti tipologici generali: - le caratteristiche fondamentali dell’ambiente naturale e la tradizione tuttora consolidata dei fattori umani hanno mantenuto in essere una produzione di vini rossi, bianchi e rosati destinati al consumo quotidiano come descritti all’articolo 1; tipologie che hanno ridotto notevolmente il loro significato nell’ambito delle dop. - Per contro la possibilità di esaltare le microcondizioni ambientali e la scelta dei vitigni e dei loro cloni più adatti, nonché le specifiche pratiche colturali ed enologiche hanno dato vita, a partire dagli anni ’60, alla realizzazione di vini nei quali le condizioni produttive venivano identificate nel microambiente aziendale con i cosiddetti “supertuscans” che costituirono un significativo strumento di valorizzazione della igt toscana sul mercato internazionale. - Altre tipologie nacquero o per la richiesta di mercato, vedi il bianco ed il rosato frizzante, per le quali la realizzazione è stata facilitata dalla ammissione alla coltivazione in Toscana di alcuni vitigni di specifica idoneità, nonché le tipologie sostitutive del vinsanto (passito e vendemmia tardiva) una volta produzione tradizionale toscana, il cui impiego è stato limitato quale denominazione riservata ai vini dop.
C) Descrizione della interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).
I° - Premessa La identificazione dei fattori naturali ed umani che intervengono ed influenzano la caratterizzazione dell’igp Toscana nel complesso della sue categorie e delle rispettive tipologie deve essere concepita in base alle condizioni della sua origine e sviluppo nel tempo. A tal fine si deve tener presente quanto già illustrato relativamente alla funzione tradizionale del vino toscano quale progenitore delle denominazioni di origine sviluppate nella regione negli ultimi due secoli, che ne hanno acquisito i principi informativi della vitivinicoltura toscana sia sotto l’aspetto agronomico che quello enologico e che nel contempo hanno influenzato gli attuali contenuti della igp variamente interpretata sotto il profilo tipologico e secondo i vari ambienti produttivi. Tale rapporto di causa/effetto è venuto ad agire sull’intero settore delle denominazioni di origine determinando la identificazione dei “vini toscani” come tali differenziati tipologicamente, ma uniti secondo una comune cultura e tradizione produttiva. Per le stesse condizioni i disciplinari che venivano ad essere realizzati per le doc nei primi anni dell’entrata in vigore della normativa comunitaria e cioè precedentemente alla definizione della disciplina della igp Toscana hanno influenzato la normativa della stessa sia riguardo alla base ampelografica che alle tipologie secondo il principio di complementarietà del resto inserito nella stessa normativa generale. II° - Varietà viticole ammesse Un fattore di rilevante importanza nel quadro della formazione normativa della igp Toscana e che ne mette in evidenza la sua funzione quale strumento di evoluzione nei riguardi dell’intero sistema vitivinicolo regionale è rappresentato dall’ampiezza di impiego delle varietà consentite corrispondente a quelle ammesse alla coltivazione sul territorio regionale, ampiezza che consente la sperimentazione delle tipologie varietali sia per monovitigni che per uvaggi più complessi. III° - Rapporto fra settore e processo produttivo Rispetto al maggiore o minore impiego della igp Toscana nell’ambito territoriale regionale si deve evidenziare come i fattori normativi e gli orientamenti commerciali che ne hanno incrementato l’interesse sono stati portatori di alcune evidenti variazioni: - in primo luogo, come era prevedibile, si è sviluppato l’utilizzo della igp in territori nei quali la sua presenza era assai ridotta, talché allo stato attuale essa presenta una effettiva distribuzione regionale. - Indipendentemente dall’impiego contemporaneo dei vigneti per più produzioni, quale risulta testimoniata dalla tabella allegata 3, si sta sviluppando la differenziazione di ubicazione dei vigneti dop ed igp in base alla tipologia collinare secondo le caratteristiche per le quali questa è classificabile in “tipica” e “strutturale”. Le differenze determinano, per la prima un più semplice modellamento delle superfici, una più facile gestione idrogeologica, in special modo riguardo ai tempi di corrivazione delle acque e la possibilità di adottare forme di allevamento più idonee rispetto alla meccanizzazione delle operazioni colturali ed in special modo della raccolta. Il che è facilitato dalla maggior reperibilità di superfici in grado di ospitare vigneti di dimensioni rispondenti alle esigenze tecniche di gestione. La seconda invece derivata da movimenti orogenetici, è caratterizzata soprattutto da matrici rocciose quali calcari, arenarie o galestro. Presenta maggior pendenza dei versanti rispetto alla collina tipica e maggiori probabilità di dissesto erosivo. I suoli evoluti sono ricchi di scheletro. Mentre la prima presenta maggiore attitudine per l’insediamento dei vigneti destinati alla igp Toscana, la seconda vede un maggior utilizzo per vigneti dop e presenta una maggiore necessità per interventi con irrigazione di soccorso. IV° - Interazione causale fra elementi naturali ed umani e le categorie della produzione Le uniche categorie per le quali esiste una specifica causalità con le condizioni naturali sono quelle relative alle uve appassite ed alle uve stramature per le quali: temperatura, umidità, ventilazione ed illuminazione esercitano una specifica influenza sulle caratteristiche organolettiche, logicamente in funzione della varietà ampelografica. Ciò avviene soprattutto per quanto riguarda il prodotto da uve stramature causa il processo di surmaturazione causato dal protrarsi della permanenza del frutto sulla pianta successivamente alla fine della maturazione industriale e dello sviluppo della botritizzazione. Tale condizione può verificarsi in vari ambienti, ma in modo più intenso e frequente nella zona marittima sia costiera che insulare. V° - Sistemazione del suolo e strutturazione dei vigneti La differenziazione della sistemazione e strutturazione dei vigneti, nonché delle forme di allevamento è essenzialmente legata a fattori che sono comuni a tutta la viticoltura regionale ed alle condizioni ambientali e gestionali proprie della loro caratterizzazione e delle destinazioni qualitative del prodotto. Tali condizioni che possono risultare, evidentemente specifiche nel campo delle dop, sono comuni per la igp Toscana secondo i seguenti ordini di carattere generale. In primo luogo le tipologie di sistemazione corrispondono in linea generale al “ritocchino” spesso inerbito; in quanto, in determinati limiti di pendenza e contropendenza e nel rispetto di certi criteri realizzativi, esso assolve al rispetto della difesa del suolo dal dissesto idrogeologico, dall’erosione superficiale e dal pericolo di frane e ciò in rapporto alla particolare natura e tessitura del suolo. Altro sistema adottato in caso di impossibilità od eccessiva onerosità di altre soluzioni è rappresentato dal giropoggio raccordato. Le forme di allevamento sono sostanzialmente limitate a quelle tradizionali: capovolto, guyot, cordone ed in rari casi l’alberello rispondente alle particolari esigenze di talune varietà e relative tipologie. Nell’ambito della igp Toscana manca qualsiasi esempio di forme di potatura orizzontale. Un ultimo fattore riguardante le forme di strutturazione dei vigneti è rappresentato dall’aspetto paesaggistico che deve essere difeso anche in corrispondenza delle necessità imposte dal progresso agronomico. E’ evidente che la scomparsa della coltura promiscua e la sua sostituzione con il vigneto specializzato hanno prodotto alcune alterazioni del paesaggio tradizionale. Onde evitare il degrado visivo rappresentato dall’impiego di certi materiali adottati in una fase della ricostituzione viticola sono state abolite le palificazioni con cemento armato precompresso sostituito dai tradizionali pali in legno trattato. D’altronde la stessa esigenza è stata dimostrata dalla vendemmia meccanica. VI° - Rapporto dimensionale fra settore e processo produttivo La produzione della igp Toscana investe ormai un settore viticolo oscillante intorno ai 4.500 produttori: distribuiti ormai sull’intero territorio regionale. Sotto l’aspetto dimensionale aziendale si deve rilevare che due terzi circa dei produttori che rivendicano l’igp Toscana per il loro vino, non raggiungono i 100 q.li di uva destinata a tale rivendicazione per una produzione pari al 15% della stessa mentre un terzo rappresenta l’85% della igp Toscana. Da tali stati emergono due considerazioni: a) l’offerta che alimenta il commercio della igp Toscana, costituente circa il 25% della produzione totale regionale è costituita da un numero rilevante, ma assai inferiore al totale dei richiedenti la qualificazione del prodotto; b) il concetto di vino toscano è talmente radicato nel settore produttivo e presso lo stesso mercato della regione, che la qualificazione Toscana costituisce l’elemento contraddistintivo della vitivinicoltura regionale nell’ambito del mercato locale caratterizzato da un rapporto di conoscenza diretta con il settore viticolo interessato. Si può senz’altro affermare che l’immagine del vino toscano espressa dalla igp Toscana rientra nell’ambito dei fattori di notorietà di varia natura che caratterizzano quella della Toscana sotto i vari aspetti paesaggistici, culturali, artistici, storici, ecc.
Nome e indirizzo : Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – ICQRF – Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari – Via Quintino Sella, 42 – 00187 Roma
L’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentare è l’Autorità di controllo competente del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’articolo 25, par. 1, 1°capoverso, lett. b) e c), ed all’articolo 26, par. 1, del Reg. CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della IGP, mediante una metodologia dei controlli nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento) effettuata selezionando casualmente un numero minimo di soggetti individuati mediante un’analisi di rischio, conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2°capoverso, lettera a). In particolare, tale verifica, che per quanto concerne il prodotto finito consiste nel solo esame analitico (conformemente all’articolo 25, par. 1, 1° capoverso, lett. b) e articolo 26, par. 1, del Reg. CE n. 607/2009), è espletata nel rispetto delle disposizioni previste dall’articolo 13 del citato decreto legislativo n. 61/2010 e dal DM 31 luglio 2009 (GU n. 230 del 3-10-2009), così come modificato con DM 30 luglio 2010 (GU n. 244 del 18-10-2010) e con DM 11 luglio 2011 (GU n. 219 del 20-09-2011) (Allegato 3).
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