Danni da gelo sulla vite
Da l'Enologo - n°5 Maggio 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
Nelle mattinate tra il 18 e il 23 aprile un’ondata di freddo proveniente dal Nord Europa si è abbattuta sull’Italia. Così, dopo un avvio di primavera mite con temperature sopra la media, è tornato l’inverno un po’ ovunque. Le temperature, soprattutto nelle regioni del Nord e Centro Nord, sono scese repentinamente a valori prossimi allo 0 e, in alcune zone d’Italia, anche la grandine ha fatto la sua parte. Dalle prime stime, secondo le rilevazioni effettuate da Assoenologi, i danni sembrerebbero ingenti. Si tratta di vigneti colpiti a macchia di leopardo, soprattutto nei terreni a fondovalle e in quelli pianeggianti, oltre che i nuovi impianti, particolarmente sensibili.
Le gelate tardive nelle passate vendemmie
Spesso siamo preda dell’ossessione del clima: tutte le sciagure che si abbattono sull’agricoltura italiana, dalla siccità alle bombe d’acqua, pensiamo abbiano origine dal cambiamento climatico. Ma se scorriamo le cronache del passato, ci rendiamo conto che le gelate tardive sono state una costante che ha accompagnato le vicende economiche della viticoltura europea fin dalle sue origini. Bastano pochi riferimenti. Nel Dipartimento della Côte-d’Or dal 1791 al 1856 ci sono stati 35 eventi di gelata tra aprile (13) e maggio (18), un anno su tre. Quindi niente di nuovo sotto il sole, o meglio sotto il gelo. Ma certo la gelata dello scorso aprile non può essere considerata il risultato di un fenomeno meteorologico “normale”, come lo dimostra la dimensione europea dell’evento (dalla Champagne fino alla Sardegna) e la gravità del danno.
Il gelo del 2017: un fenomeno straordinario
Molto raramente si associano gli effetti di un raffreddamento dovuto allo spostamento di grandi masse fredde dall’Artico, con quelli della perdita di calore del suolo per irradiamento e, in molti casi, per la caduta di aria fredda lungo le pendici verso le zone più basse. La situazione è stata poi aggravata dall’avanzato sviluppo dei germogli per le favorevoli condizioni del mese di marzo. Come è facile prevedere le conseguenze per la viticoltura italiana saranno sul piano produttivo molto gravi, anche perché sono stati colpiti alcuni distretti viticoli i cui vini sono destinati soprattutto all’esportazione. Il risultato degli interventi agronomici per il recupero della produzione dell’annata in corso si prospettano molto aleatori e potranno essere valutati solo dopo la risposta delle piante, tra qualche settimana. È opportuno invece che le scelte dei viticoltori si orientino verso il ripristino della struttura produttiva per la prossima annata.
Qual è la lezione di quanto accaduto?
Ma qual è la lezione che dobbiamo trarre da questo evento al quale non eravamo preparati? È necessario forse fare un piccolo esame di coscienza per capire in che cosa abbiamo sbagliato in questi anni ed evitare così che, con i cambiamenti climatici che tendono ad anticipare le fasi fenologiche, i danni da gelo possano essere contenuti.
La prima considerazione è relativa alle zone nelle quali la viticoltura si è espansa senza tenere conto dell’esperienza dei nostri viticoltori più anziani. Il successo recente di alcuni vini ha spostato la coltura della vite in zone di pianura, con forme di allevamento molto meccanizzabili e quindi con impianti fitti e con chiome molto vicine al suolo. Molto spesso inoltre si tratta di vitigni precoci.
La viticoltura nelle pianure italiane c’è sempre stata così come i danni da gelo, ma le modalità di coltivazione (impianti alti ed espansi a pergola, tendone, Bellussi, addirittura le alberate), l’adozione di vitigni tardivi e la fertilità elevata sulle gemme di controcchio, contenevano i danni. Anche in occasione di questa gelata, le grandi disformità dei danni nei vigneti, ha messo in evidenza che sono bastati pochi centimetri di differenza nell’altezza delle chiome dal suolo per preservarle dai danni o un leggero dislivello nel vigneto.
Il consiglio è quindi quello di scegliere con maggiore cura le zone dove orientare i prossimi impianti, rinunciando a quelle dove, a memoria d’uomo, si sono verificati in passato eventi di gelo. Inoltre, nel limite del possibile, innalzare la chioma da terra e non lasciare l’erba nei filari nei momenti di rischio.
Danni dal gelo: l’importanza delle scelte in vigna
Questo non ci evita però dal non fare qualche riflessione, anche critica, circa le nostre scelte in vigna. Il cambiamento climatico ha in questi anni delocalizzato una parte della viticoltura del nostro Paese, soprattutto portando la vite in zone a maggiore altitudine, così come il successo per alcuni vini (Pinot grigio, Prosecco/Glera) spostando la coltivazione di queste varietà in zone di pianura o di fondovalle.
È una considerazione ineccepibile da un punto di vista teorico, che non tiene però conto del fatto che la viticoltura italiana del passato era diffusa soprattutto in pianura ma che veniva realizzata, contrariamente ad ora, con forme di allevamento alte che evitavano così i danni da gelata.
Per questa ragione in passato le viticolture che erano poste in zone a rischio come le pianure (ad esempio quelle veneta e padana) o in zone vallive (i fondovalli dell’Adige, alcune valli della Toscana e dell’Emilia) solo per citare qualche esempio avevano adottato forme d’allevamento come la pergola, i tendoni, il Bellussi, il Sylvoz e, prima ancora, le alberate,che spostavano la vegetazione in alto, sottraendola dalla gelata.
È pur vero che quasi sempre questi fenomeni si possono definire locali, ma nelle gelate dell’aprile scorso si sono associate altre cause, peraltro poco frequenti, che i meteorologi chiamano “sinottiche” costituite da irruzioni generalizzate sull’Europa di aria artica e polare.
Questo spiega come il fenomeno abbia avuto una diffusione generalizzata dalla Champagne alla Germania, dalla Francia all'Italia, dal Piemonte alla Puglia. E qui posso portare la testimonianza di una azienda posizionata in una zona della Francia molto pregiata, esposta oltretutto ad una certa ventilazione, dove il danno, come è possibile vedere dalla foto a lato, è stato totale.
Gli effetti in molti casi sono stati molto gravi anche perché le temperature di marzo avevano anticipato il germogliamento in molte zone europee. Si sono salvate quelle regioni più tardive dove le viti erano ancora parzialmente a riposo, in quella fase definita “germogliamento apparente”.
Ma per avere dettagli tecnici- scientifici, vi rimando al servizio a firma Attilio Scienza che pubblicheremo prossimamente, che meglio di qualsiasi altro ci riferisce riflessioni e considerazioni sui meccanismi di formazione della gelata e le rispettive cause predisponenti, sistemi di prevenzione e lotta delle gelate e gli interventi sulle viti colpite.
Da l'Enologo - n°5 Maggio 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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