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Quale futuro per la viticoltura italiana?

09 Maggio 2017
Quale futuro per la viticoltura italiana?
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Oggigiorno siamo circondati da luoghi comuni che infestano i nostri dialoghi e che limitano le nostre possibilità di comprensione.

Sempre più si sente parlare di contrapposizioni per inquadrare un concetto: naturale vs artificiale, bio vs convenzionale, barrique vs botte grande, lieviti naturali vs selezionati.

Aristotele, nel libro “Retorica”, si sofferma a descrivere i luoghi della mente, definendo le contrapposizioni come le migliori espressioni per far comprendere un concetto, ma allo stesso tempo afferma che queste non consentono di giungere ad una sintesi e ne riducono visibilmente le possibilità di progresso.
Urge quindi ridare un contenuto semantico alle parole che spesso sono usate a sproposito o addirittura per indicare concetti errati. Si tratta di un processo di risemantizzazione insegnatoci dalla filosofia greca perchè la filosofia e’ un modo di vivere, un modo per insegnare a pensare.

Natura e genetica

more selvatiche prodotto naturale
More selvatiche

Il significato di naturale, aggettivo che Angelo Gaja sostiene essere il più efficace per vendere un prodotto agricolo, allo stesso tempo non dice nulla, anzi per la CEE non può essere applicato ad un prodotto agricolo. Perché naturale è solo ciò che si ottiene in natura senza alcun intervento umano: sono naturali le more raccolte lungo una strada di campagna, i mirtilli del bosco o l’uva selvatica dei boschi della maremma. Banalmente, con la domesticazione delle piante, l’uomo ha ridotto le possibilità di sopravvivenza delle piante poiché da sole non riescono più a vivere: il prodotto di una pianta domesticata, quindi, non è più naturale.

Ragionando per analogie, anche nel mondo classico vi erano posizioni molto differenti sul concetto di natura, di naturalità: Socrate, ad esempio, affermava che tutto quello che ci serve ci è offerto dalla natura spontaneamente, perché tutto esiste già in natura. La techne, la perizia, il saper fare, era infatti una prerogativa degli dei. 

De rerum natura.jpg
De Rerum Natura di Lucrezio

Si oppone a questa posizione Platone che nella sua definizione di verità (eletheia), individua l’uomo demiurgo che ha il dovere di assecondare la natura ai bisogni dell’uomo attraverso un esperienza di verità, per rendere visibile ciò che è invisibile attraverso la techne. E infine Prometeo, che ruba il fuoco alla divinità per darlo agli uomini e nel fuoco viene identificato lo strumento. Il tema è stato ripreso con molta efficacia ed altri toni da Virgilio nelle “Egloghe” e da Lucrezio in “De rerum natura”.

In 10.000 anni di agricoltura l’uomo ha creato la biodiversità animale e vegetale: se abbiamo migliaia di varietà di vite e di melo, tante razze bovine o di ortaggi lo dobbiamo alla genetica, nelle sue espressioni più primitive rappresentate dall’osservazione e dalla selezione, e non alla natura, la quale ha solo l’interesse di far sopravvivere una specie che possa meglio adattarsi all’ambiente. L’uomo però, domesticando piante ed animali, ha tolto a questi la possibilità di vivere da soli, rendendoli in questo modo dipendenti dalle pratiche colturali.

La “porta stretta” per i viticoltori

Quando si cercano delle soluzioni, la filosofia è un ottimo ausiliare: sovvengono utili al tal fine due concetti ripresi dalla filosofia greca.

Il primo è quello definito “la porta stretta”, che nel linguaggio metaforico rappresenta un momento cruciale, una difficoltà nel passaggio da una situazione ad un'altra, come ad esempio il passaggio dall’adolescenza alla maturità oppure i riti di iniziazione delle popolazioni primitive. Freud nel mito di Edipo identifica nella morte del padre il superamento della porta stretta, la condizione necessaria per il cambiamento.

Nel mondo del vino la porta stretta è rappresentata dalla necessità di un cambiamento imposto dall'innovatività del consumatore nei confronti della sostenibilità ambientale. Questa è la porta stretta dalla quale tutti i viticoltori dovranno prima o poi passare.

Produzione biologica e biodinamica per superare la “porta stretta” del vino?

L’altra parola della filosofia che ci viene in aiuto è aporia, che in greco antico significa una via senza uscita, un destino ineluttabile come erano gli esiti della tragedia, dalla quale non ci si poteva sottrarre.

vino biodinamico
Viticolura sostenibile

Significa che la produzione biologica e biodinamica sono vie senza uscita, non sono il nostro futuro, non hanno prospettive economiche: dobbiamo trovare un’altra strada per superare la porta stretta, per cambiare l'attuale strategia di sostenibilità ambientale rappresentate dal biologico.

Il tema della viticoltura biodinamica, in particolare, sfugge alla leggi della razionalità e della scienza, identificandosi nella cultura pre-illuministica dell’esoterismo magico.
La viticoltura biologica invece merita un breve approfondimento.

La viticoltura biologica

La viticoltura biologica viene considerata una scelta in forte incremento ma è necessario disaggregare i dati che ci vengono forniti:

  • I dati di incremento delle superfici spesso si riferiscono a tutte le produzioni biologiche, non a quelli della sola produzione di vino;

  • Spesso questa scelta è dettata dai contributi che le regioni assegnano ai viticoltori (Toscana, Sicilia in primis danno fino a 1.000 €/ha);

  • Il rapporto tra potenziale di produzione di vino biologico in relazione alla superficie denunciata è inferiore al 20%;

  • In italia la produzione di vino biologico è pari a circa il 5 % del totale ed è quasi costante negli ultimi 5 anni.

Il ritorno alla natura come risposta alle paure

Ecco che ritorna lo schema iniziale della contrapposizione: in questo caso è rappresentato dal conflitto irrisolto tra tradizione e innovazione alimentato da alcuni valori (o meglio disvalori) come la nostalgia del passato e la paura che non ci consentono di superare quelle angosce che periodicamente hanno alimentato la nostra società.
Oggi vediamo sempre più come le paure del singolo siano amplificate dai media e diventino paure collettive: e mentre prima il rimedio era riposto nella religione (nelle crociate, nei pellegrinaggi, opere pie, il sacramento della confessione, etc), ora si prospetta nel ritorno alla natura.

vigneto biologico
Ritorno alla natura per la viticoltura

In questo atteggiamento antropologico del consumatore si identifica il ricorso al biologico, come un ritorno simbolico alle forze della natura espresse nei prodotti agroalimentari ottenuti senza interventi della chimica, considerata inquinante ed espressione delle multinazionali.

La viticoltura biologica è possibile?

Ritornando alle premesse iniziali, è evidente il fatto che nella parola “ biologico” non si identificano i suoi veri contenuti. Biologico nella accezione comune significa solo uno stato colturale che rinuncia ai prodotti di sintesi ma i significati veri di questa parola sono altri e molto più articolati: è infatti possibile fare una cerealicoltura biologica o un allevamento del bestiame biologico, sebbene con molte difficoltà e costi elevati, ma non è possibile fare una viticoltura biologica come non è concepibile fare una risicoltura biologica, nel vero senso della parola.

Alla base dell’agricoltura biologica vi è, infatti, il mantenimento della fertilità biologica del suolo garantita a livelli adeguati di sostanza organica. Questo trattamento è possibile nelle colture estensive mediante le rotazioni, gli avvicendamenti, gli apporti di sostanza organica di origine animale e infine coltivando varietà tolleranti le malattie. Nella vite questo non è possibile perché è una monocoltura che viene istallata per 20-30 anni su un terreno che non potrà ricevere sostanza organica a sufficienza, manifestando inevitabilmente a lungo andare un declino di vita biologica del suolo (poco possono fare sovesci ed inerbimento) e infine un accumulo di rame che rappresenta il veleno più potente nei confronti degli abitanti del suolo.

agricoltura a conduzione biologica
Agricoltura biologica

Inoltre i vigneti a conduzione biologica sono stati creati per una conduzione integrata (sesti d’impianto, vitigni e cloni spesso non scelti in funzione della vocazionalità di quel suolo, portinnesti molto esigenti e poco rustici, preparazione del suolo per l’impianto senza il rispetto degli orizzonti ecc.). Il bio soffre quindi di un grave deficit d'innovazione: i suoi riferimenti sono quelli della viticoltura prefillosserica, senza i vantaggi di un'azienda a circolo chiuso perfettamente sostenibile.

Purtroppo la retorica del vino, con la sua sacralità, ha fatto perdere alla viticoltura il contatto con la realtà e con i problemi della sua produzione (6% di superficie a vigneto in Europa e 65% di presidi chimici impiegati). Nelle prospettive della viticoltura che dovrà nascere da nuovo Pan bisognerà tener conto di queste esigenze.

Qual è la porta stretta che i viticoltori devono attraversare?

Il futuro della viticoltura necessita di un miglioramento genetico delle varietà e dei portinnesti con una nuova tecnica che ci consentirà di trasformare tutti i nostri vitigni autoctoni in vitigni resistenti alle malattie e di utilizzare nuovi portinnesti meno esigenti in acqua e di elementi minerali. Questa soluzione richiederà:

  1. ingenti investimenti,
  2. il reperimento di risorse adeguate.

Mi viene in mente a tal proposito, lo “Stato innovatore“ di Marianna Mazzucato, consulente del partito laburista inglese, la quale sostiene che deve essere lo Stato il finanziatore della ricerca e dell’innovazione del settore privato.

 Un vitigno autoctono della Valpolicella
Un vitigno autoctono della Valpolicella

Solo due piccoli esempi: tutto lo sviluppo di Google è stato finanziato per il 90% da risorse USA, il progetto Tesla che ha portato alla realizzazione del motore elettrico per automobili ha ricevuto un finanziamento di 480 milioni di dollari dal governo americano.
È chiaro che le ricadute di questa innovazione devono poi andare a vantaggio dei cittadini e la ricchezza che viene prodotta dall’industria privata deve essere ridistribuita sotto varie forme.

Ma penso in ultima analisi che non ci siano dubbi sugli effetti sociali ed economici della realizzazione dei nostri vitigni autoctoni resistenti alle malattie.  

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