Assoenologi compie 125 anni!
Tutto iniziò a Conegliano nel 1891, quando Arturo Marescalchi, enotecnico diplomato alla Scuola enologica di Conegliano, con 46 colleghi, fondò la "Società degli Enotecnici Italiani" cioè la progenitrice dell'attuale "Associazione Enologi Enotecnici Italiani - Organizzazione nazionale di categoria dei tecnici vitivinicoli - Assoenologi". Dopo due anni, nel 1893, con il collega Antonio Carpenè, pubblicò il primo numero della rivista "L'Enotecnico", oggi “L’Enologo”, da sempre l'organo ufficiale di stampa della categoria.
Una storia lunga e affascinante
Per dimostrare il ruolo che l’Enotecnico ha avuto per il miglioramento e il progresso della vitienologia e che ha nell’attuale gestione del comparto, basta sinteticamente ripercorrere le principali tappe che hanno caratterizzato la trasformazione del settore.
Tra la metà e la fine dell’Ottocento, la vite e quindi il vino rischiarono di scomparire dall’Europa a causa dell’avvento dall’America di tre gravi parassiti: l’oidio, la fillossera e la peronospora. La viticoltura europea uscì da questo trauma profondamente trasformata, certamente turbata, ma consapevole che il suo futuro era legato alla ricerca, alla sperimentazione, ad una tecnologia capace di sopperire ad eventuali nuove calamità.
Il pericolo e le preoccupazioni che i tre parassiti suscitarono fecero capire che non si poteva andare avanti con le tecniche colturali, che dal tempo di Columella e Virgilio venivano tramandate da padre in figlio, bensì che ci si doveva basare su concetti e principi di agronomia, biologia e fisiologia, studiando e ricercando le cause che stanno alla base di ogni fenomeno. Si capì che la tradizione da sola non indirizzava i viticoltori, non combatteva le calamità, non migliorava la qualità.
Nel 1876 nasceva così a Conegliano (Treviso) la prima Scuola di enologia d’Italia, e ritengo anche del mondo, con lo scopo di assicurare uomini specializzati, preparati, in grado di seguire e far proseguire, su basi scientifiche, il settore vitivinicolo nazionale.
L’enotecnico venne a costituire il fattore determinante su cui si sarebbe basata tutta la vitienologia.
L'enotecnico punto certo di riferimento
Vini migliori, senza difetti significarono mercati più facili, crescita delle richieste e, per i viticoltori, produzioni più remunerative. Nacquero le prime cantine sociali, dirette da enotecnici, con lo scopo di vinificare e curare i prodotti di quegli agricoltori che, per mancanza di attrezzature e di conoscenze, spesso vedevano vanificate intere annate. Si perfezionò la fermentazione in bianco, quella a temperatura controllata, si diede sempre più importanza alle analisi enochimiche, ai controlli microbiologici, all’igiene della cantina: la qualità della produzione vinicola italiana aumentò sensibilmente. Cambiamenti che interessavano sempre di più anche il modo di vendere e di acquistare il vino.
Per praticità, igiene e razionalità, alla damigiana andava sempre più sostituendosi la bottiglia anche per i vini comuni, “quelli di tutti i giorni”. In cantina una metamorfosi di questo genere implicò una più rispondente organizzazione, l’adozione di tecnologie più avanzate nella difficile pratica dell’imbottigliamento e la sempre più assidua competenza del tecnico. Ezio Rivella, per dodici anni presidente dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani, mise a punto una tecnologia di imbottigliamento che avrebbe garantito stabilità al vino permettendogli di attraversare l’oceano senza particolari problemi biologici.
Questa profonda metamorfosi, che costituisce poi la storia degli ultimi 140 anni della nostra enologia, ha avuto e ha, a livello tecnico, un protagonista principale: l’enotecnico, oggi enologo.
Non a caso da oltre cent’anni la quasi totalità delle cantine italiane di una certa importanza si affida, direttamente o indirettamente, a questo professionista. Per rendersi conto di ciò, basta sfogliare le oltre 800 pagine che compongono l’Annuario degli enologi enotecnici italiani.
Il riconoscimento del titolo di enologo
Con l’apertura delle frontiere europee, non solo alle merci ma anche alle attività intellettuali e quindi alle professioni, a fine anni ’80 nacque la necessità di individuare i tecnici vitivinicoli italiani.
Questa esigenza coincise anche con la necessità di far riconoscere in Italia il titolo di enologo, visto che era assurdo che il primo Paese vitivinicoli del mondo non avesse un professionista riconosciuto, ma solo una qualifica professionale, quella di enotecnico, cioè di perito agrario specializzato in viticoltura ed enologia.
Per risolvere questi problemi e dare nel contempo una giusta cornice alla consolidata professionalità dell’enotecnico, l’Assoenologi promosse con caparbietà la promulgazione della legge atta a riconoscere in Italia il titolo di enologo, fissandone la preparazione a livello universitario, stabilendone l’ordinamento professionale, così come previsto dalle direttive comunitarie.
Essa fu approvata dal Parlamento italiano il 10 aprile 1991 con il n. 129. L’articolo 1 della legge non solo sanciva attraverso quali corsi l’enologo doveva essere formato, ma anche che gli enotecnici con tre anni di attività specifica e continuativa nel settore potevano acquisire, dopo il vaglio di una Commissione interministeriale, il titolo di enologo.
La commissione presieduta dal dirigente ministeriale Vittorio Camilla era composta dai rappresentanti dei ministeri dell'agricoltura, della pubblica istruzione, dell'università e della ricerca scientifica, della sanità e dell'Assoenologi.
Questa commissione valutò quasi 3.500 pratiche, riconoscendo il titolo di enologo a 2.953 professionisti ovviamente tutti già attivamente impegnati nel settore. I suoi lavori terminarono nel 1994 e, per questa ragione, da quella data il tecnico del vino in Italia è diventato l’enologo.
Articolo tratto da l'Enologo – n°6 2016 – Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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