La scuola di enologia nell'agro romano
Da l'Enologo - n°3 Marzo 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
di Nino D'Antonio
L’Istituto tecnico agrario Emilio Sereni di Roma si inserisce in un contesto socio-ambientale che non presenta organizzazioni, luoghi culturalmente connotati, tali cioè da offrire ai giovani stimoli artistici, letterari, scientifici. La scuola, pertanto, diviene per la maggior parte dei ragazzi l'unico luogo dove imparare ad apprendere e dove acquisire stimoli culturali per ampliare l'orizzonte delle conoscenze, potenziare lo spessore delle abilità e della sensibilità.
Non solo scuola di enologia ma anche luogo sociale
La Prenestina non rientra in quel novero di vie - come l’Appia, l’Aurelia o la Tiburtina - che anticipano Roma. Ma piuttosto se ne allontana, dalla Porta Maggiore verso Fiuggi, lungo una periferia dalla confusa identità sul piano socio-demografico.
Cresciuta oltre ogni previsione, la sesta Municipalità lamenta da sempre l’assenza di rapidi collegamenti con il Centro, di servizi sociali, di spazi per un minimo d’aggregazione sociale. Un quadro poco edificante, dove la scuola - ed è il caso dell’Istituto agrario Enrico Sereni - copre un ruolo che va ben oltre le sue finalità istituzionali. Perché qui rappresenta tutto: lo Stato, la cultura, il vivere civile, l’uguaglianza tra i membri della comunità.
Certo, non mancano gli obiettivi didattici e formativi, ma l’azione del Sereni va ben oltre. Costituisce infatti uno dei pochi ancoraggi per i giovani che vogliano sottrarsi alla deriva e puntare al mondo del lavoro. L’ampio viale di accesso, tagliato nel cuore della campagna romana, porta al grosso prefabbricato, a un solo livello, che ospita la scuola dal ’78. La preside Patrizia Marini ha in corso una riunione con alcuni docenti della succursale di San Vito, per cui il primo contatto è con il prof. Mario Tomei, vicario e direttore dell’azienda agraria. Romano, fisico sportivo (scoprirò poi che questo è un dato diffuso al Sereni) il docente ha fatto qui i suoi studi, e questo carica di una componente sentimentale il suo impegno.
Lungo il corridoio che ospita la presidenza e gli uffici amministrativi, le pareti sono letteralmente ricoperti di grandi poster che illustrano, con felice grafica e ricchezza di immagini, le attività della Scuola. Scopro così come la campagna e poi il far vino siano diventati di volta in volta pretesti per ricostruire i trascorsi del territorio. È il caso della ricerca sull’Arte dell’Agricoltura, che - partendo da uno scritto di Columella - arriva in pieno Rinascimento, fino a Sante Lancerio, bottigliere di Paolo III.
Un fervore di iniziative
E ancora: gli esiti di uno stimolante confronto fra Italia e Cina sul tema degli spaghetti, con il coinvolgimento di trenta allievi cinesi. Fino all’Agro romano, celebrato attraverso la letteratura, la pittura, la fotografia. È un fervore d' iniziative - mi dirà più tardi la preside - che trova le sue testimonianze su queste pareti. A cominciare dalle rappresentazioni teatrali e musicali degli studenti; alle attività dei gruppi sportivi; alla partecipazione al Premio Strega, riservato agli studenti dell’ultimo anno, che il Sereni ha vinto per due volte. A non tener conto di un’altra significativa vittoria alla decima edizione del Certamen Varronianum.
Sono sorpreso per la ricchezza di interessi culturali in una scuola a indirizzo agrario. Scoprirò, poi, che il Sereni opera attivamente anche nel sociale. Come prova la sede distaccata presso il carcere di Rebibbia, con due corsi per detenuti di entrambi i sessi, largamente frequentati.
L’insegnamento ai detenuti riserva esiti imprevedibili. Intanto, perché si parte dalle primarie, e chi ha volontà di riscattarsi e mettere a frutto la prigionia può arrivare anche alla laurea. Il Sereni può contare già su parecchi carcerati, che seguono il corso del sesto anno. È evidente che il fenomeno investe in special modo i reclusi con pene non troppo lunghe e la speranza di rifarsi una vita. In questa realtà, la Scuola ha una straordinaria forza di recupero. L’immagine iniziale piuttosto deludente del grosso prefabbricato, è a questo punto del tutto scomparsa. Oltre ottocento allievi nella sede centrale, una succursale in Via Colonia Agricola, e ancora una terza sede a San Vito Romano, fra i monti Prenestini, danno un ritratto quantomai vario e dinamico della Scuola. Che arriva in totale a oltre milleduecento studenti e a circa trecento fra insegnanti e tecnici.
La scuola di enologia di Roma: 1200 studenti in 3 sedi
Per cui, se il Sereni non vanta illustri trascorsi - è stato fondato poco meno di quarant’anni fa - può in cambio contare su un’intensa e proficua attività, che ha coinvolto più di un’ istituzione, anche oltre confine. Ne parlo con il gruppo di docenti, che ha avviato queste esperienze. “Tutto va riferito all’area in cui opera la scuola. Siamo al confine tra il fascino dell’Agro romano, (anche con qualche sopravvivenza archeologica, come il Fontanile o la Cisterna, riconducibili al secondo o terzo secolo dopo Cristo) e il forte sviluppo edilizio a partire dagli anni Sessanta. Questo vuol dire, da un lato, una rete di aziende agricole - cereali, allevamenti, latte - e dall’altro la presenza di giovani a ponte tra le due realtà. E in pratica privi di un vero radicamento sul territorio. Un evento felice è stato l’insediamento dell’Università di Tor Vergata, ma ci vorrà del tempo per i primi benefici…”.
Viene fuori così che il bacino di utenza del Sereni abbraccia anche insediamenti, che vanno dalla Cassia alla Tiburtina, fino ai comuni della Sabina e della Valle del Tevere. Il punto di forza della Scuola continua però ad essere l’azienda agricola. Una realtà di trenta ettari, otto dei quali a vigneto, proprietà della Provincia di Roma. Il resto, è coltivato a uliveto, seminativo, frutteto e campi sperimentali. I vigneti, tutti allevati a cordone speronato, sono riconducibili a vecchi e nuovi impianti, dove questi ultimi presentano almeno il doppio dei ceppi (duemilacinquecento), rispetto a quelli più datati.
Ne parlo in un clima di cordiale ospitalità con la dirigente Patrizia Marini, più che mai prodiga di notizie sulla Scuola, che gestisce da oltre dieci anni. Laurea in scienze motorie - un approdo inevitabile, se si tiene conto del fisico, (è alta poco meno di 1,90), e dei trascorsi nei campionati nazionali di basket – la preside è mamma di due figliuole in età da marito e “alte qualche centimetro più di me”. Marini è nata a Tivoli, dove risiede, ma passa le sue giornate a scuola. È inoltre al suo secondo mandato alla presidenza del Coordinamento nazionale degli Istituti Agrari, che si traduce in circa duecentocinquanta strutture, distribuite in venti regioni.
La chiacchierata procede spedita, anche se alquanto disordinata, e questo mi costringe a frequenti “ritorni” sui miei appunti. L’entusiasmo della dirigente per le tante attività della Scuola, la porta spesso a superare ogni cronologia. “Poi, se vuole, le faccio una breve nota. Ma i ricordi sono così coinvolgenti, che stento a metterli in ordine…”.
La visita alla cantina della scuola di enologia
Registro intanto che le uve sono in prevalenza bianche - Malvasia Puntinata del Lazio, Moscato di Terracina, Bellone, Grechetto - ma anche quelle rosse, fra Ciliegiolo, Montepulciano, Petit Verdot e Syrah danno buoni esiti. La scuola produce infatti cinque Igt, due dei quali Rossi e tre Bianchi, di cui uno Spumante, per un totale di circa cinquemila bottiglie. Una visita alla cantina, assai ben tenuta, conferma la sua notevole capacità ricettiva, che va oltre i quattrocentocinquanta quintali di uva.
Gli allievi iscritti ai corsi di Enologia sono un centinaio rispetto a una popolazione scolastica che supera le mille unità. “I ragazzi - mi conferma la preside - propendono più per il titolo di perito agrario, benché non siano portati molto per la terra. Ma pensano che la qualifica risulti più spendibile sul mercato del lavoro. E invece le migliori prospettive sono proprio riservate all’Enologia. Un tecnico ben preparato ha buone possibilità, anche sul mercato estero, visto il crescente interesse per i nostri vini”.
E proprio per rendere più diffusa e convincente la scelta per i corsi di Enologia, il Sereni ha avviato da tempo una serie di iniziative a carattere culturale. Mi riferisco al “Progetto Malvasie”, che ha portato a un gemellaggio tra alcuni comuni dell’Istria, da sempre bandiere di questo vino, e quello di Roma. Ma il progetto che ha incontrato il più largo favore, è il “De Vino Gallico”, che ha visto i ragazzi del Sereni mettere a dimora e curare, nella Scuola Francese di Trinità dei Monti, alcuni vitigni originari della Languedoc. Un’iniziativa che ha spinto gli studenti a confrontarsi con nuove metodologie e vitigni del tutto sconosciuti. Nel 2009, la Confindustria non ha mancato di premiare il progetto, auspicando la sua estensione ad altre terre del vino.
Chiedo se l’istituto ospiti anche studenti provenienti dalle regioni confinanti. La preside Marini mi dichiara, con una punta di orgoglio, che la frequenza del sesto corso (quello post diploma per la qualifica di enotecnico), accoglie allievi che vengono dalla Calabria e dall’Abruzzo.
E ancora sul filo di una legittima soddisfazione, non manca di aggiungere che la Scuola organizza ogni anno un lungo soggiorno con gemellaggio in paesi stranieri, che abbiano istituti agrari di sicura tradizione o aziende all’avanguardia. Gli ultimi viaggi hanno portato il Sereni in Australia, Israele, Germania, Olanda e Spagna. “Tenga presente che quest’anno venti ragazzi vanno in Argentina. E come sempre sono scelti fra quelli che hanno la media più alta. Tre docenti, specificamente preparati, accompagneranno il gruppo”.
Provo a recuperare un qualche lontano ricordo dei miei anni di liceo. C’è solo una Roma piovosa, sotto gli archi del Colosseo, una frugale merenda, e ore di treno.
di Nino D'Antonio
Da l'Enologo - n°3 Marzo 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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