Ad Avellino la prima scuola di viticoltura e enologia
Da l'Enologo - n°4 Aprile 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
Non c’è luogo in Italia che non accampi una qualche ambizione turistica. Per cui Avellino costituisce di certo un’eccezione. Anche se poi i monti dell’Irpinia, che la chiudono a corona con una rete di fitti boschi, ne fanno una tappa d’obbligo per chi voglia ricercare paesaggi e borghi, architetture e storie, miti e riti di una terra antica e sempre fedele a se stessa. A non tener conto di quel santuario di Montevergine che - al di là di ogni forte richiamo religioso - ha rappresentato a lungo la meta privilegiata e direi la sola evasione dal vicolo, per generazioni di donne del popolo.
Una scuola regia voluta dal ministro De Sanctis
Poi, a sorpresa, spunta un singolare primato. Il capoluogo vanta fin dal 1879 la Regia Scuola di Viticoltura ed Enologia, voluta da Francesco De Sanctis - grande storico della letteratura italiana e irpino di Morra - allora ministro della Pubblica Istruzione. Una denominazione all’avanguardia per quei tempi, perché puntava su due scienze ai primi passi. Ne è prova il fatto che è il solo esempio, rispetto alla diffusa etichetta di Istituto Tecnico Agrario, propria di queste scuole. Una scelta che anticipa il ruolo e l’autonomia che la cultura del vino avrebbe avuto sui tradizionali confini del mondo agrario.
L’Istituto De Sanctis è in via Cappuccini, alla sommità di una salita che leva il fiato. È un grosso edificio a tre corpi di fabbrica, con facciate scandite ad archi e contrafforti in pietra bianca. L’aspetto è severo, ma questo non impedisce che l’animazione degli studenti esploda, festosa e sonora, dalla sede centrale alle due aziende annesse. Ventitré ettari di cui oltre dieci a vigneto, costituiscono un’area non trascurabile. Dove trova sfogo sia l’attività di ricerca che le imprevedibili curiosità per un mondo tutto da scoprire.
“Gli allievi – mi dice Sabato Guerriero, docente di enologia – vanno divisi a colpo d’occhio in due fasce. Che sono poi legate sia al diverso grado di conoscenza che hanno della campagna, sia al corso che frequentano. Chi ha un po’ di confidenza con la terra, lo vedi subito. Ha un suo modo di allungare la mano su un germoglio….”.
Già, perché va detto che non mancano gli studenti che vivono in città, con ogni comprensibile smarrimento dinanzi ai miracoli della natura. Non a caso alla classe docente si affianca un nutrito gruppo di tecnici e di collaboratori, tenuto anche conto che la scuola ospita un convitto per quarantacinque posti.
Il legame tra scuola di enologia e territorio
Intanto, non va trascurato lo stretto legame tra la scuola e il territorio. L’Irpinia produce i vini più rappresentativi della Campania, che sono poi quelli consacrati da diciannove Doc e tre Docg. Queste ultime per Taurasi, Greco e Fiano. Ma al di là di queste eccellenze, c’è un patrimonio di vitigni, in gran parte autoctoni, che alimentano un largo campo di ricerca e una ricca serie di uvaggi.
E qui si fa preziosa la messa a punto dei docenti di Agronomia e Viticoltura. È un intervento a due voci, entrambe cariche di orgoglio. “L’Irpinia racchiude in sé tutti i caratteri di quell’anarchia geografica che è la Campania. C’è un comprensorio di vallate, dorsali, massicci montuosi, boschi e corsi d’acqua, in uno scenario di forte suggestione, che sconfina a nord con la Puglia, e a sud con la Basilicata….”.
Scopro così che il territorio ha del miracoloso. I terreni sono ricchi di materiale vulcanico, che in molte zone costituisce l’intero spessore dello strato coltivabile, a sua volta ricco di argilla e di potassio. Due elementi tra i più felici per la vite. L’argilla, infatti, cede a poco a poco acqua alle piante, per cui l’uva durante la siccità estiva matura meno rapidamente e con più equilibrio.
Base di grandi vini – a cominciare dal Taurasi – l’Irpinia celebra il trionfo dell’Aglianico, quantomai diffuso in Campania. “Un’uva – aggiunge il professore Antonio Stornaiuolo, direttore dell’Azienda Agraria – che può contare su più cloni, anche se presenta un’unica matrice genetica e un grappolo che non ha caratteristiche particolari. La sua identità nasce solo nel momento in cui diventa vino. Così l’unico distinguo è legato alle aree in cui è diffuso il vitigno: Irpinia, Sannio, Vulture”.
L’argomento ci ha preso la mano. L’avventura di un vino è sempre intrigante. Ma io sono qui per la scuola, i cui obiettivi vanno ben oltre i destini del Taurasi. Ne parlo col preside Pietro Caterini, cordialità e simpatia istintive, cinquantacinquenne, laurea in ingegneria civile, già docente presso lo stesso Istituto per ben tredici anni di varie discipline tecniche, a cominciare da Meccanica e Costruzioni enologiche.
Nella ricerca il carattere distintivo della scuola di Avellino
“Credo che l’attività di ricerca e quindi le varie forme di sperimentazione siano state, fin dalle sue origini, il carattere distintivo della scuola. Si pensi che a partire dal 1893 al 1914, vale a dire per oltre vent’anni, l’Istituto ha pubblicato “il Giornale di Viticoltura Enologia ed Agraria”, un quindicinale che ospitava non solo le ricerche e gli esiti di laboratorio dei nostri docenti, ma gli scritti dei maggiori studiosi del settore.
Nomi illustri, come Berlese, Sannino, Carlucci, Paris e Trotter, erano assidui collaboratori. E anche in momenti difficili e di ristretta economia, la pubblicazione non ha mai mancato d’imporsi per la qualità dei contributi e il valore delle ricerche….”. Il preside ricorda ancora il prestigio di cui ha sempre goduto la sua scuola, anche oltre i confini dell’Irpinia. Non erano pochi infatti i produttori che si rivolgevano fiduciosi ai docenti della De Sanctis per ogni necessità. Un rapporto cordiale e generoso, che non è mai venuto meno, negli anni, con le aziende presenti sul territorio.
Oggi, il laboratorio di chimica esegue analisi anche per conto terzi. E questo più che una fonte di guadagno offre l’opportunità per una più vasta area di ricerca, visto che le indagini si estendono all’olio e ai prodotti della terra.
Luigi Moio: direttore del corso di laurea ad Avellino
Ma c’è un’area di attività che rappresenta, a ragione, l’orgoglio della scuola e dei suoi docenti. Ed è quella che, in collaborazione con la Regione Campania, provvede a selezionare i cloni dei vitigni più tipici, e spesso in via di estinzione.
È un’operazione lunga e complessa - mi dice Antonio Stornaiuolo - che passa attraverso la microvinificazione di queste uve, allo scopo di valutare le potenzialità dei vini ottenuti, e quindi l’eventuale utilizzo dei vitigni per nuovi impianti. Un lavoro che richiede metodo, continuità e tempo (ma il buon vino ha sempre imposto tempi lunghi) ed è affidato agli studenti delle ultimi corsi di Enologia. Quegli stessi che partecipano alla produzione del vino in cantina, mentre le classi inferiori seguono nei vigneti le varie fasi, dalle potature alla vendemmia.
Da alcuni anni, presso l’Azienda Agraria dell’Istituto, ha sede il corso di laurea triennale in Viticoltura ed Enologia, che fa capo all’Università Federico II di Napoli. Il corso è diretto da Luigi Moio, professore ordinario e studioso di fama, nonché scopritore di alcuni antichi vitigni, dalla Costa d’Amalfi al Casertano, di cui si erano perse le tracce. Moio – nativo di Mondragone, la terra del Falerno – e stato convittore al De Sanctis, e questo lontano legame non è estraneo al suo appassionato impegno.
Un po' di storia della prima scuola di viticoltura ed enologia
La Scuola – ricorda il preside Caterini - ha alle spalle la lunga e tormentata gestione che per anni ha accompagnato la nascita degli istituti agrari. Le competenze erano infatti ripartite tra Provincia, Comune e Camera di Commercio, con ogni comprensibile divario sull’indirizzo dell’istituzione, che finiva spesso per rimanere estranea ai caratteri del territorio.
De Sanctis, al suo secondo mandato di ministro, punta sull’esperienza di Girolamo Caruso, direttore dell’Agrario di Pisa. L’intesa fra il tecnico e il politico si rivela subito perfetta. Il modello da seguire è la Scuola di Conegliano, nata appena qualche anno prima. E gli esiti non mancheranno di confortare questa scelta. Nel volgere di appena sei anni, infatti, Avellino otterrà l’istituzione del Corso superiore.
La motivazione che segue è un’interessante spia del costume di fine Ottocento, anche sul piano economico: “……Per la riconosciuta esigenza di dare (alla Scuola) un volto meno umile e dimesso, com’era nei desideri di quanti potevano permettersi le venti lire al mese di retta richiesta ad ogni convittore”.
Siamo nel 1885, e meno di settanta centesimi al giorno sono sufficienti a coprire le spese per gli studi di un figlio, fuori sede, a pensione completa e con lavaggio di biancheria. Anche oggi la retta è piuttosto modesta. Appena millenovecento euro per nove mesi di pensionato. E le richieste sono in crescita, visto che l’Istituto è il solo ad operare in un’area che va da Roma a Locorotondo, in provincia di Bari.
Scuola di Enologia di Avellino: vitalità con lunga tradizione
L’anagrafe conferma la piena vitalità del De Sanctis. Oltre cinquecento allievi, di cui un centinaio di ragazze. “È una percentuale che tende ad aumentare”, mi dice la vicaria, prof. Luisa Santucci, da vent’anni al De Sanctis, dove insegna Diritto ed Economia. “Il mondo del vino ha contagiato anche le donne, e le buone prospettive di lavoro, specie per chi è disponibile a trasferirsi, incrementano la loro presenza…”.
Il corpo docente ruota, invece, sulle centoventi unità, alle quali va aggiunto il ruolo di una trentina di tecnici, impegnati sul fronte dell’Azienda Agraria dai vigneti alla cantina. Al rituale caffè, segue ora la visita alla Scuola, dalle aule ai laboratori. Ovunque ordine, pulizia, silenzio. Anche a fine ora, col cambio dei professori, nessun allievo lascia l’aula. Sono sorpreso. È una disciplina che mi rimanda alle regole dei collegi svizzeri.
Ed eccoci all’Aula Magna e alla ricca biblioteca. “Mi lasci dire che è l’orgoglio della Scuola, per gli oltre diecimila volumi che ospita, molti dei quali piuttosto rari. Mi limito a citarne solo due – aggiunge il preside Caterini – un Trattato del Seicento di Galilei e un Quaderno di laboratorio, manoscritto da Enrico Fermi, nel ’37. È un documento assai prezioso, perché registra la scoperta della radioattività indotta da neutroni”.
Chiedo degli scambi culturali con le altre Scuole, che sono quantomai attivi anche con quelle più lontane, da San Michele all’Adige ad Alba. Ma risultano piuttosto frequenti i rapporti di collaborazione con il CNR di Avellino.
È sabato, e all’uscita incontro un gruppetto di studenti con tuta e borsone. Sono gli alunni del De Sanctis che giocano nell’Avellino, mi dice il prof. Guerriero. Poi incalza compiaciuto: “Ma non mancano quelli che fanno parte dei gruppi musicali legati alla tradizione popolare irpina. Specie a quella della Tammurriata di Montemarano. Penso a Francesco De Sanctis, che di certo avrebbe apprezzato un tale recupero. E mi chiedo se nel dar vita a questa Scuola - in anni assai lontani – abbia mai sperato che un giorno avrebbe aperto la via alla grande riscossa dei vini d’Irpinia.
Prosit, don Francesco!
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