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Il respiro del vino

27 Febbraio 2017
Il respiro del vino
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Da l'Enologo - n°1-2 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani

Di Nino D'Antonio

È il solo che c’è riuscito. E pienamente. Grazie a un registro narrativo capace di tenersi lontano da ogni tecnicismo, per dar vita a un discorso fluido e accattivante. Tale da sostituire al piacere della lettura, la sensazione di avere Luigi Moio di fronte a noi, in poltrona, a parlarci di quelle molecole odorose e dei loro riflessi olfattivi.

Un viaggio nelle molecole del vino

Luigi Moio autore di Il respiro del vino
Luigi Moio, autore del libro e professore di Enologia all'Università degli Studi di Napoli Federico II

“Il respiro del vino” (Mondadori, 504 pagine, 26 euro) è il risultato di un felice approdo, dopo una difficile e faticosa traversata. Nella quale ha giocato, da un lato, l’antica e sapiente confidenza col vino - che dall’infanzia si allunga agli anni di ricerca in Francia e in Italia - e, dall’altro, una naturale disposizione alla scrittura. O meglio a un andamento narrativo, spesso ai confini con la vivacità e la freschezza del linguaggio parlato.

Ho la presunzione di avere qualche dimestichezza con lo scrivere, e devo dire che nel corso della lettura – sempre coinvolgente - ho ceduto più volte a una punta d’invidia per la chiarezza e il garbo con il quale Luigi ha risolto argomenti e passaggi quantomai complessi.

Di qui il primo (ma l’elenco è lungo) straordinario merito del libro. Aver recuperato al vino e al suo “respiro” (la carica umana insita nel termine supera ogni biologia), quel segmento di lettori che si erano allontanati più che per le oggettive difficoltà della materia, per l’esposizione intricata e farraginosa. Luigi Moio ha superato questo scoglio. E senza la benché minima rinuncia al rigore scientifico e al suo metodo di ricerca. Così il libro risulta un sicuro strumento di studio, anche per quanti - enologi e produttori – operano nel mondo del vino.

Non è stata impresa da poco. Ma Luigi non poteva limitarsi ad un’opera di divulgazione. I suoi trascorsi di ricercatore, le centinaia di pubblicazioni scientifiche, la cattedra di Enologia all’Università Federico II di Napoli, escludevano la scelta a favore di un manuale di facile consultazione. Piuttosto, si è trattato di ricercare un medium di comunicazione che, senza mortificare il lungo impegno scientifico dell’autore, consentisse la fruizione della ricerca anche ai non addetti.

L’operazione non ha precedenti e costituisce un modello nel suo genere. Perché in passato ogni tentativo è fallito, o per scarsa dottrina o per oggettivi limiti espositivi. Così, per la prima volta la scienza si è fatta narrativa, racconto. Anche se, fatalmente, ogni tanto fa capolino un passaggio, il cui accesso richiede qualche nozione di chimica o di microbiologia.

Ma come già per il Manzoni dei Promessi Sposi - che invita a saltare a piè pari la citazione delle varie “grida” contro i bravi - Luigi non manca di prendere per mano il suo lettore, perché ritrovi il filo di quel discorso appena interrotto. Restano così riservate agli esperti, le differenti classi delle molecole e il loro peso. Anche se è affascinante scoprire che il linalolo, e i terpeni in generale, hanno un odore floreale, mentre negli esteri prevale quello di frutta, fino alle ricerche sulla ripartizione degli estratti aromatici, per analizzarli poi singolarmente. Luigi Moio fa miracoli su questi temi, ma qualche barriera resiste, specie per chi ha alle spalle una formazione umanistica.

In venti capitoli la vita del vino

E veniamo alla struttura del libro. Che in venti capitoli esamina ed esaurisce ogni momento di vita del vino. Dallo studio dei sensi (uno dei terreni più incerti, come già intuirono i sofisti Gorgia e Protagora, visto che non c’è niente di più insicuro, perché le sensazioni variano non solo da individuo a individuo, ma nel medesimo soggetto da un momento all’altro) alla questione delle strutture molecolari, vere e proprie fonti di odori.

il respiro del vino analisi olfattometrica
Analisi olfattometrica in cui il naso umano funziona da vero e proprio rilevatore biologico.

È un argomento complesso, che il professore Moio affronta nel corso delle sue lezioni con la felice immagine dei “palloncini odorosi”. I quali idealmente racchiudono l’aroma, che non viene liberato perché il contenitore è trattenuto da un sasso. Se liberiamo del peso il palloncino, la molecola è libera di raggiungere l’epitelio olfattivo.

Ma le imprevedibili scoperte per chi non fa l’enologo catturano il lettore a ogni pagina. Si scopre così che la maggior parte delle uve non sono profumate, e quelle che godono di questo requisito lo esprimono solo nel mosto e nel vino. Questo spiega perché un vino da uve profumate ci consente di risalire agevolmente alla sua varietà viticola.

Affiora intanto qua e là la presenza dei lieviti. Il nome scientifico è quanto mai altisonante e incute non poca soggezione. Forse in omaggio al ruolo che questo fungo assolve nel processo di fermentazione, che vede trasformare gli zuccheri in alcol e anidride carbonica.

il respito del vino il buco nero olfattivo
Il "buco nero olfattivo": una rappresentazione degli aromi varietali dominanti la base olfattiva del vino.

Poi, di seguito, scattano gli enzimi. Altra realtà con una funzione non facile a spiegarsi. Ma anche in questo caso, possiamo contare sui disegni di Ada Natale, che ancora una volta attraverso l’interpretazione grafica ci aiuta a capire anche i fenomeni più complessi. La varietà degli odori, intanto, sembra non avere confini. Si passa così dai profumi del mosto, originati da quelli propri dell’uva, alla loro assenza. Che tuttavia - ed è tipico il caso del Fiano – offre odori erbacei, propri di un prato appena falciato. Ritorno intanto alla lettura dei capitoli più affascinanti, che per la mia formazione sono quelli ricchi di fermenti culturali, dagli Egizi ai Greci a Roma, fra religione, mitologia e pensiero filosofico.

Il respiro del vino: un’opera affascinante

E qui mi soffermo su quello dedicato alla fermentazione alcolica, che Moio – sul filo della sua felice narrazione – definisce il big-bang odoroso, perché il mosto quasi del tutto inodore si trasforma in una profumatissima bevanda alcolica. Il “miracolo” è rivissuto in un viaggio a ritroso, da Socrate a Platone ai culti dionisiaci, fino alle conquiste scientifiche di Lavoisier (lo zucchero che si fa alcol), di Gay-Lussac, di Pasteur. Al quale si devono in particolare gli studi sulla fermentazione.

il respiro del vino il duello olfattivo
Il "duello olfattivo" tra alcoli superiori (cimice) ed esteri (ananas) durante la fermentazione alcolica.

Siamo agli odori di quel processo che mutano in rapporto ai tempi del processo stesso. Per cui se tarda a partire, scatta il rischio dell’acido acetico, fenomeno che viene del tutto superato se la fase di avvio è rapida.

Devo convenire che Luigi sa sciogliere non pochi nodi, senza mai farsi saccente, anche se il mondo del vino ha una tale varietà di aspetti che c’è sempre qualcosa da scoprire. Ed è qui il fascino del libro. Che lascia vivo il gusto della ricerca, nella convinzione che ogni nuova conquista apra il campo a ulteriori indagini. Perché solo grazie a questo principio è stato possibile individuare l’aroma varietale e distinguere i vini con una forte identità olfattiva da quelli più deboli.

Siamo ancora una volta in presenza di una felice metafora, piuttosto frequenti nel libro del professore Moio. La gamma dei vini è paragonata a un’orchestra, fatta di strumenti odorosi, dove all’esecuzione corale del brano si aggiunge l’interpretazione di un solista. L’immagine aiuta a distinguere i vini varietali (ne cito qualcuno: Moscato, Riesling, Chardonnay, Pinot Noir), da quelli con debole identità olfattiva (Trebbiano, Prosecco, Verdicchio, Falanghina, Fiano), per i quali l’odore è il risultato di un fragile equilibrio tra diverse molecole odorose. Vale a dire che può cambiare a ogni vinificazione, così come cambia il brano musicale.

Il respiro del vino orchestra olfattiva
L'orchestra olfattiva dei vini varietali in cui la presenza di un solista conduce la melodia.

Sono tentato di continuare a seguire, capitolo per capitolo, l’intero corpus del libro, ma mi rendo conto che rischio di riassumerlo malamente. Non posso tuttavia rinunciare a tre “passaggi”, che anche per la loro forza narrativa vanno assai al di là del vino in sé. Mi riferisco all’incontro di Luigi Moio con Antonio Caggiano, e alla nascita delle prime barriques di Taurasi, ventitre anni fa. Sono pagine profondamente sentite, e dense di quella carica di affetto e di stima che lega da sempre i due amici. Ma è anche l’occasione per ricostruire una vivace chiacchierata su come l’Aglianico possa avere agli inizi bisogno di raffreddare la massa in fermentazione per domare i tannini, e poi di riscaldare la bottaia, con un bel po’ di stufe, per la seconda fase. La prima, infatti, prodotta dai lieviti, è alcolica, la seconda portata avanti da alcuni batteri presenti nel mosto (detta malolattica) ha la funzione di trasformare l'acido malico in lattico, rendendo il vino più equilibrato al gusto. Le stufe servono proprio a elevare la temperatura e quindi a favorire questo processo.

Ridotto così alla semplice contrapposizione di freddo e caldo, il racconto di Luigi ne esce mortificato. Soprattutto nella vivacità del dialogo fra i due, dove Caggiano scopre i misteri del vino e il fascino della scienza, attraverso le parole del suo giovane e dotto amico.

L’altro episodio - un vero pezzo di bravura narrativa -. è ispirato a una serata di Luigi con la figlia Rosa, in un noto ristorante di Parigi, a Saint-Germain-des-Prés, luogo assai caro a Moio per le tante librerie e i negozi di antiquariato, aperti fino a tarda notte. Cena rituale con ostriche e champagne. E qui il sommelier inciampa, perché stappa una bottiglia con un forte odore di acetaldeide…. Non aggiungo altro, per non privarvi del piacere di leggere questa cronaca, che ha il sapore di una fresca commedia.

Degustare il vino è un’arte

E veniamo all’ultima annotazione, che conclude la lunga serie di interventi dedicati alle fasi della degustazione. E qui, il professore universitario, il ricercatore di successo, l’uomo che ha fatto degli studi sul vino lo scopo della sua vita arriva a una conclusione a dir poco sorprendente: “Secondo me per degustare un vino non sono sufficienti solide conoscenze metodologiche, una vasta esperienza o una buona memoria olfattiva, ma occorre essere artisti”.

L’interpretazione che Luigi dà alla parola è il ritratto più convincente e suggestivo della sua personalità. Dove l’elemento creativo e sensibilistico, la componente immaginifica e onirica hanno un ruolo indiscusso. Il vino ci permette di scoprire che la bellezza non è un privilegio esclusivo della vista, perché accostare un calice al naso equivale a impegnare tutti i sensi.

Siamo a una sorta di coinvolgimento all’insegna dell’autenticità, della ricerca del proprio tempo interiore, di quel mix di sentimenti, sensazioni, turbamenti vissuti sul filo di un’intensa partecipazione. Il che significa che il vino è poesia. E come tale destinato a coinvolgere e ad emozionare tutti. In ogni lieto momento della nostra vita. Anche se qualche volta, il rapporto si fa più intimo, per meglio ritrovare la musica dei versi e “il respiro del vino”.

Di Nino D'Antonio

Da l'Enologo - n°1-2 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani

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