È in Trentino la più antica scuola di enologia
Da l'Enologo – n°10 2016 – Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
Di Nino d'Antonio
Il Centro Istruzione e Formazione della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige rappresenta una struttura didattica complessa, unica in Italia, che gestisce contemporaneamente la formazione e l'istruzione nel settore agricolo, ambientale e forestale erogata a differenti livelli di apprendimento: da quello rivolto direttamente agli agricoltori a quello universitario ed altamente specialistico.
San Michele all'Adige: tra cronaca e leggenda
Direi piuttosto che San Michele è una cittadella, senza quei caratteri difensivi così frequenti nei territori di confine. Per secoli, un polo religioso, dove vivere in raccoglimento e in preghiera, ma anche aperto a quelle attività – vigneti in testa - che consentivano l’autonomia del monastero.
Procedo con studiata lentezza per non perdere niente di questo paesaggio trentino, che oggi sfodera il meglio di sé con una luce sazia da avanzata stagione. Intorno colline verdeggianti e l’ordinata geometria delle vigne.
La presenza del convento risale al 1141 e diventerà via via ingombrante per il suo retaggio storico, a ponte fra cronaca e leggenda. A cominciare dalla struttura - all’origine un castello – che si vuole donata dai conti Appiano, a titolo di indennizzo per gli oltraggi e le ruberie subite da una delegazione pontificia.
E qui si dipana un lungo filo, che ci porta ai primi dell’Ottocento, quando gli Agostiniani lasceranno il monastero. In mezzo, c’è di tutto. La rete di traffici e di commerci fra il mondo tedesco e quello latino, il transito di milizie e pellegrini, la nascita di due severe cantine, una a ridosso dell’insediamento dei monaci, e l’altra scalata in pieno Cinquecento. Siamo alle strutture più antiche del complesso, anche se non va trascurato il suggestivo refettorio e soprattutto il chiostro a impianto triangolare, esempio quanto mai raro di architettura, ai piedi delle Alpi.
L’aria è quasi tiepida, e questo induce folle di giovani a disperdersi per i grandi viali del Centro. È un via vai che si fa presto gruppo, là dove il sole si allunga generoso. Sono al primo contatto con i ragazzi del San Michele, e l’immagine non manca di prendermi. Ma sono diretto al convento, che in oltre settecento anni non ha mancato di crescere. Sia sul piano della notorietà (non sempre lodevole, per alcune vicende), sia per le ricche donazioni di cui è stato spesso beneficiario.
Poi, l’ondata napoleonica porterà al saccheggio e alla dispersione di ogni bene. Ma alle gravi ferite subite dal monastero, fa da contraltare l’ampia bonifica dell’alveo dell’Adige. È terra sottratta alla palude, e i religiosi non esitano a destinarla a vigneti.
Sembra profilarsi una stagione di speranze e di benessere, che invece il flagello della filossera spazzerà via in pochi mesi. La sciagura è di quelle senza rimedi, ma sarà anche la spinta per superare ogni fatalismo e dar vita a un’istituzione per la tutela della vite e delle sue fortune.
Nel 1809, gli Agostiniani lasciano il convento. Ne hanno segnato, nel bene e nel male, la storia e le relazioni con la gente del luogo, specie per quanto attiene al lavoro dei campi e alle cure da dedicare ai vigneti. Nei limiti delle loro capacità, i monaci hanno fatto scuola per secoli.
L’Istituto vedrà invece la luce circa settantanni dopo, solo nel 1874, grazie a una delibera della Dieta Tirolese, per l’acquisto degli edifici e dei poderi, già patrimonio del convento. San Michele contava allora una cinquantina di case rurali e circa seicento abitanti.
Siamo al cuore della vicenda. Quella che segnerà un’insospettabile svolta nel destino del monastero. E soprattutto alla tenacia di un uomo, che si prepara a legare la sua vita e il suo nome ai futuri destini di San Michele.
Il dottor Edmund Mach all'Istituto di San Michele all’Adige
Da Klosterneuburg arriva il dottor Edmund Mach, brillante ricercatore presso l’Istituto Enologico. La Dieta lo ha scelto per il carattere innovativo del suo progetto. Che, in sintesi, prevede una scuola professionale affiancata da una stazione sperimentale, con annessa azienda agricola. È questa la premessa per l’avvio di quella straordinaria avventura che è l’Istituto di San Michele all’Adige.
Le mie impressioni sulla scuola di enologia
Sono in anticipo di qualche ora sull’incontro previsto col professore Massimo Bertamini, coordinatore dell’Istruzione Postsecondaria e Universitaria. Non è stato facile definire l’appuntamento. La dirigenza del Centro ha un calendario così fitto di impegni che tirar fuori un’intera giornata, ha creato non pochi problemi. Incluso quello della scelta di un mentore, in grado di superare i confini del proprio ambito culturale, per delineare un ritratto a tutto tondo dell’Istituto, nella sua complessa e varia realtà. Ma ho avuto fortuna. Bertamini risulterà un docente colto, da sempre immerso nella vita del San Michele, documentatissimo, e soprattutto pronto a soddisfare ogni mia curiosità.
Profitto intanto per una esplorazione in solitario, piuttosto anarchica, fra corpi di fabbrica e strutture, che dall’alto del convento sono sparse su oltre quindici ettari.
La segnaletica, distribuita a piene mani, è quanto mai precisa, ma piuttosto estranea a una scuola. Il che non sorprende, perché San Michele all’Adige è tale solo per certi aspetti. Così mi ritrovo dinanzi alle indicazioni per il Centro Trasferimento Tecnologico, i laboratori di Fisiopatologia, di Analisi, di Qualità Alimentare e Nutrizione, fino al Centro Ittico. Una geografia di percorsi che si trasformano per me in altrettante tentazioni.
D’altra parte, l’attività di ricerca dell’Istituto si basa su tre aree, aperte a reciproche incursioni, grazie a strutture quanto mai flessibili, che vanno dall’Agricoltura all’Alimentazione all’Ambiente. Che a loro volta, danno poi l’avvio a una serie di programmi di attività e di progetti di ricerca. Si tratta di piattaforme innovative nel campo della biologia, della genomica, delle analisi isotopiche.
Confesso i limiti della mia formazione umanistica, e rischio di perdermi fra queste etichette. Così opto per il percorso che porta al grande complesso che ospita le aule. Intorno si aprono a perdita d’occhio settanta ettari di verde, un ambiente tutto da godere per mille studenti.
Faccio capolino in varie classi, prima di puntare su un terzo corso, dove risulta più larga la presenza femminile. Siamo abbastanza lontani dallo schema di una lezione tradizionale. Gli studenti hanno ricevuto in fotocopia il testo di una ricerca sui vitigni autoctoni della Calabria, e ne discutono con il docente. Gli interventi sono del tutto informali, spesso interrotti da frequenti repliche, piuttosto colorite nel linguaggio, ma assai puntuali. Una ragazza non esita a dichiarare con poco garbo che la ricerca non è abbastanza documentata, e che molte conclusioni “galleggiano”. Il termine mi colpisce. È quello che avrebbe usato, parlando con un’amica.
La realtà unica della più antica scuola di enologia in Trentino
La scuola continua ad essere il punto di forza e il polo di attrazione di San Michele. Grazie anche alla disponibilità di un collegio, con 170 posti letto, a costi quanto mai contenuti. La pensione completa per la durata di nove mesi si aggira intorno duemilacinquecento euro, comprensivi dell’uso di tutte le strutture, dalla palestra alla biblioteca. La quale vanta un patrimonio di oltre trentamila libri e un fondo storico di ben cinquemila esemplari, fra opere e pubblicazioni dell’Ottocento.
Mi allungo verso l’Università, tra la folla degli studenti in uscita. È una costruzione di felice architettura, perfettamente inserita nel paesaggio. La facciata è tutta rivestita di larice, e questo contribuisce a una certa immagine di sapore alpino, che tuttavia già nell’atrio cede il posto ad una avveniristica scala a tre rampe. Avviata sotto la direzione di Attilio Scienza, già allievo del San Michele, è oggi gestita dalla facoltà di Ingegneria di Trento, da quella di Agraria di Udine e dalla Fondazione Edmund Mach, e offre un corso di laurea triennale in Viticoltura ed Enologia. Alla quale si affianca quella Specialistica della durata di due anni, a cura delle Università di Padova, Udine e Verona.
È evidente, ancora una volta, che l’Istituto ha saputo costruire sinergie e alleanze per un costante allargamento dei confini di origine. I quali vanno ben oltre le finalità della Scuola in sé, per coinvolgere una “rosa” di attività produttive, che in apparenza - ma solo in apparenza - sembrano avere poco in comune con gli obiettivi didattici.
È ora di pranzo e, come d’accordo, Bertamini mi aspetta alla mensa dell’Istituto. Scopro così un’altra faccia di questa multiforme realtà, nel clima festoso e imprevedibile che nasce dall’insieme di centinaia di giovani, a mensa. Sono arrivato con qualche minuto di ritardo, e mi scuso. Ma ho provato a dare una sbirciatina al Museo, che va ben oltre il settore enologico per investire gli usi e i costumi della civiltà agricola del Trentino. Appena uno sguardo fugace, perché la preziosa raccolta, quanto mai varia anche all’interno di un medesimo strumento di lavoro (spesso documentato dalla nascita ad ogni successiva fase), richiede un convinto interesse e parecchie ore.
Le strutture della scuola di enologia: Cif, Cri e Ctt
Cancello intanto, dalla mia scaletta di domande, quelle che mi rimandano alla storia dell’Istituzione, visto l’insieme di documenti che mi passa il professore. Punto così sulle strutture della Fondazione, le cui sigle - Cif, Cri, Ctt - meritano qualche chiarimento. Si tratta di tre organismi che, pur nella loro autonomia, hanno non pochi obiettivi in comune. Il Cif (Centro Istruzione e Formazione) è una struttura complessa, la sola a livello nazionale, che si occupi di istruzione, formazione e aggiornamento in tre settori: agricolo, agroalimentare e ambientale. Questo richiede un forte legame con il territorio e una precisa visione fra produzione, trasformazione e sostenibilità dell’ambiente.
Il Cri (Centro Ricerca e Innovazione) ha confini più ampi e collaborazioni scientifiche internazionali. San Michele è l’obiettivo primario di queste ricerche, che puntano al miglioramento dei prodotti agricoli del Trentino, specie per quanto riguarda la tutela delle biodiversità. Un solo dato: gli studi hanno dato luogo a ben duecento pubblicazioni e i laboratori impegnano una superficie che supera i mille metri quadrati.
Infine, il Ctt (Centro Trasferimento Tecnologico), dove l’attività di ricerca applicata e di sperimentazione fornisce, ad oltre seicento imprese e a numerosi enti pubblici, servizi analitici nei settori della chimica agraria ed enologica, nonché della microbiologia. Si aggiunga che il Centro offre la propria consulenza ad oltre ottomila aziende agricole del Trentino.
L'Azienda Agricola del San Michele: 120 ettari e 250 mila bottiglie
Spero di aver riassunto con sufficiente chiarezza il pensiero di Massimo Bertamini, al quale non esito di chiedere ancora qualche informazione sul ruolo dell’Azienda Agricola all’interno del San Michele. La risposta è lapidaria. L’azienda produce e trasforma, ma fa anche da supporto alla didattica, grazie alla disponibilità di 120 ettari, coltivati a vite e melo. Nella cantina medioevale, alla base del convento, riposano in media 250mila bottiglie di vino, diecimila di spumante e cinquemila di grappa.
Si è fatto tardi. E i monti del Trentino “si abbrunano in coro”, direbbe Gozzano. C’è nell’aria la struggente magia del giorno che non vuole morire. Ma il mio treno è già nella piccola stazione di San Michele, e questo basta a interrompere ogni incantamento. Signori, si parte.
Di Nino d'Antonio
Articolo tratto da l'Enologo – n°10 2016 – Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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