Ricasoli di Siena: la scuola dove rivivono gli antichi vitigni toscani
Da l'Enologo - n°1-2 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
Di Nino D'Antonio
Il paesaggio è quello caro ai Macchiaioli toscani. La villa, il leccio, il casale, il borgo. E ancora il declivio del colle a est di Siena, la pieve, la quercia, il cipresso. E l’ulivo e il vigneto. Credo non ci sia scuola d’Italia che possa vantare un tale scenario. È un luogo d’intensa suggestione, dove non è facile sottrarsi all’incantamento, a dispetto della presenza di un’azienda agricola e delle sue finalità didattiche.
Fra le dolci colline del Chianti
L’edificio scolastico è in via Scacciapensieri, non lontano dal centro, e il cuore è qui. In questo lembo di campagna toscana che non potrebbe offrire di sé immagine più compiuta. Un’icona che include ed esalta natura e storia, aule e laboratori, fra le dolci colline del Chianti. Eppure, l’Istituto Ricasoli di Siena non vanta particolari trascorsi. È attivo a partire dai primi anni Cinquanta e solo nel 2013 ha incorporato l’Alberghiero di Colle Val d’Elsa. Un vuoto imprevedibile, se si pensa che la Scuola reca il nome di quel Bettino Ricasoli, che fin dai primi decenni dell’Ottocento si è dedicato, nel suo castello di Brolio, a creare un Chianti che avesse qualità e fama.
Perché il Chianti che circolava in quegli anni, era solo un vino come tanti. Al pari del Pomino, del Carmignano, del Valdarno. E invece Ricasoli intuì che “l’agricoltura toscana vuole essere cuore e testa… La mi sembra un apostolato. Quando però le si voglia giovare di buona fede, è mestieri cominciare dal contadino...”.
Così, a dispetto di tanto passato, e di un’area viticola tra le più generose, la Toscana si è mossa tardi. In cambio, il recupero è stato prodigioso grazie soprattutto a un’azienda come La Selva (oltre quarantacinque ettari di terreno sciolto, rocce e sabbia, il famoso tufo toscano) che produce vino, olio, ortaggi e piante ornamentali.
Una realtà che consente agli studenti di Enologia di seguire le fasi della vite dalla potatura secca a quella verde, dalla fermentazione ai controlli microbiologici, dal rimontaggio alla svinatura. In pratica, l’intero cursus fino all’imbottigliamento. Perché la Scuola, forte della larga presenza di vitigni come il Sangiovese, il Trebbiano Toscano, il Colorino e il Fogliatonda, produce circa ventimila bottiglie, fra cui la Docg Chianti Colli Senesi e l’Igt Toscana, Classe ‘52, due fiori all’occhiello anche per le vendite, presso il locale spaccio aziendale.
Gli studenti sono oltre cinquecento, dei quali un terzo iscritti a Enologia. Superano invece i duecento gli allievi dell’Alberghiero di Colle Val d’Elsa. Circa il 30% dei diplomati si iscrive all’Università. Le cifre consentono con immediatezza d’inquadrare il ruolo che la Scuola svolge sul territorio, al di là delle sue finalità formative e didattiche. Per le quali è in costante attività di servizio (il calendario della natura non consente diserzioni) una schiera d’insegnanti tecnico-pratici, che sono poco meno della metà dell’intero corpo docente.
La visita alla scuola di Siena con il suo dirigente
Al timone dell’accoppiata Siena- Colle Val d’Elsa, c’è il dirigente Tiziano Neri, coadiuvato dalla vicaria Marzia Chiti e dai docenti Anna Ricci e Roberto Lamorgese. L’incontro con il professor Neri mi riserva una gradita sorpresa. Non ha una laurea in Agraria, come la quasi totalità di chi è a capo di questi istituti, ma vanta alle spalle studi di filosofia, e una lunga esperienza di coordinatore scolastico in Argentina e Venezuela, dove ha profuso ogni impegno per la tutela e la divulgazione della lingua italiana.
Mi trovo così di fronte un umanista, cordiale e simpatico, che porta con grande disinvoltura i suoi sessant’anni. Sposato, due figli, appassionato cacciatore, segue da sempre la narrativa d’avventura, della quale può dirsi un vero esperto. Ma è soprattutto un uomo di scuola, con un ricco bagaglio di esperienze. Per cui non mi sorprende il “taglio” che assume la nostra conversazione. Senese della contrada del Nicchio, il preside mi dice con chiarezza che “il Ricasoli punta a sottrarsi ai confini di un insegnamento tecnico.
La viticoltura e l’enologia devono aprirsi alla storia, all’arte, alla letteratura. Ricercare questi legami spinge a muoversi su quel terreno interdisciplinare, che è il seme per ogni buona scuola. Il che significa che i contenuti delle singole discipline vanno vissuti in rapporto alla temperie culturale nella quale sono nati. Senza antecedenti e senza incursioni in altre aree del sapere, la scuola diventa arida e nozionistica....”.
IIS Ricasoli di Siena: una didattica interdisciplinare
Il giudizio è convincente e appassionato, e io non manco di prenderne atto. Anche se chiedo fino a qual punto questi criteri siano poi concretamente applicati. “Dipende dai docenti. Ma in ogni caso la scuola suggerisce direttive, che puntano a una didattica interdisciplinare. È il caso della ricerca sui vitigni autoctoni, che hanno fatto storia fin dal Medio Evo e che rischiavano di scomparire. Individuarli e riportarli in vita ha significato coinvolgere storia, letteratura, tradizioni popolari, leggende. Mi riferisco a uve come il Mammolo, il Tenerone, il Gorgottesco. Un lavoro meritorio, nato in collaborazione con l’Università di Siena….”.
C’è un intenso viavai nei corridoi. È l’ora di stacco, e i ragazzi profittano per lasciare le aule (sono ventidue) e consumare qualcosa al bar. La pausa è ancora una volta propizia per un caffè, ma soprattutto per mettere un po’ d’ordine nella valanga di notizie che accompagnano le vicende de La Selva. Sulla cui storia, tutti hanno qualcosa da aggiungere, per cui i “tenga conto del…”, oppure “non trascuri questo elemento…” hanno punteggiato il mio incontro con un gruppo di docenti. Fra i quali i più agguerriti sono quelli che hanno una lunga anzianità di servizio al Ricasoli, per cui la vita della scuola finisce per confinare con la loro.
Mi ritrovo così a manipolare una ricca storia fra città e campagna, dove il rimando a quella particolare atmosfera che circola nel grande affresco del “Buon Governo” di Lorenzetti, si fa sempre più frequente. Grazie anche a una bella riproduzione nella sala della presidenza.
Le origini della tenuta La Selva
Le origini della tenuta sono da ricondurre a una serie di donazioni da parte del patriziato senese, sulla fine del Trecento. Di qui, prima un ospedale e poi un monastero, fino alla costruzione della grande Basilica dell’Osservanza. Ma bisogna che si arrivi ai primi dell’Ottocento perché il podere La Selva - meglio ubicato degli altri, una bella casa padronale e tanto terreno intorno - passando da una mano all’altra arrivi a Emma Schubert, che aliena l’intera proprietà al ministero della Pubblica Istruzione. Siamo nel ’52, quando il Consorzio per l’Istruzione Tecnica, il Provveditorato agli Studi di Siena e il Comune di Asciano danno vita a una scuola professionale per la formazione di “esperti coltivatori, fattori, trattoristi, potini e innestini”.
L’istituzione incontrerà subito un larghissimo favore. Gli allievi affluiranno ad Asciano da tutti i ventiquattro comuni della provincia, tanto da rendere necessario - appena qualche anno dopo - il trasferimento della scuola a Siena, in quella villa al centro di un’azienda, denominata appunto La Selva.
Ho contenuto in poche righe un’intricata vicenda ereditaria, che pure avrebbe meritato un suo spazio. Ma sono qui per la scuola, quale si è venuta configurando nel corso di questo mezzo secolo, dalle originarie finalità strettamente rurali a polo di eccellente formazione enologica.
Nel 1976 la nascita dell’attività didattica della scuola di agraria
L’avventura ha inizio nel ’76, con la nascita dell’Istituto Agrario, come sezione staccata di Grosseto. Poi, nel volgere di qualche anno, l’autonomia. È la premessa per avviare i primi corsi di Viticoltura ed Enologia, e inserirsi così fra le undici istituzioni specializzate, presenti in Italia.
Da allora il “Bettino Ricasoli” ne ha fatta di strada. Unico in tutta la Toscana, ha in passato accolto nel suo convitto anche studenti provenienti da altre regioni. Il richiamo di Siena e la forte vocazione vitivinicola del territorio hanno poi portato a quella costante crescita degli allievi, che ha richiesto il sacrificio del convitto per consentire sia l’aumento delle aule che dei laboratori. Ma è il prestigio di cui gode l’Istituto a costituire un sicuro elemento di attrazione. Il successo degli stage scuola-lavoro, fra le iniziative più avanzate, ha rappresentato un modello formativo anche per le altre regioni.
“Vivere di rendita su quello che si è realizzato - aggiunge il preside Neri – fa perdere terreno. Il costante aggiornamento di chi insegna è il primo requisito per tenere il passo con i tempi. Certo, l’adeguamento dei laboratori, il rinnovo delle attrezzature, le aule multimediali, sono premesse indispensabili. Ma non bastano. Il coinvolgimento degli studenti sarà sempre affidato alla passione e alla preparazione di chi insegna….”.
Chiedo come si possa conciliare, anche sotto l’aspetto economico, il ruolo formativo dell’Istituto con la gestione di un’azienda agraria come La Selva. La risposta del professore Neri è esemplare per concisione e chiarezza.
“La Selva è proprietà dell’Istituto, e il dirigente è anche responsabile della sua gestione. La manodopera è formata da personale tecnico (assistenti, collaboratori scolastici, operai agricoli) alle dipendenze dello Stato. Tenga conto che l’azienda ha due corpi, divisi dalla strada di Scacciapensieri. Il primo ospita lo spaccio aziendale, la cantina, le serre, l’orto, nonché alcune aule. Il secondo è occupato dalla principale struttura dell’Istituto e da gran parte della proprietà terriera, con vigneti e oliveti. È un insieme di particolare fascino, grazie anche alla presenza di quei poderi tipicamente toscani, con grosse abitazioni e una serie di locali necessari per la conduzione del fondo…”.
Un’atmosfera di grande entusiasmo all'Istituto Ricasoli di Siena
Al rituale giro delle aule, segue una visita ai laboratori. Silenzio, ordine, camici bianchi. Noto alcune ragazze al banco delle provette, e una che batte felice le mani nel levare gli occhi dal microscopio. Le allieve sono aumentate in questi ultimi anni. Fare l’enotecnico o l’enologo, per chi frequenta i corsi universitari, non è più una professione per soli uomini. La cantina è entrata anche nell’immaginario femminile, e sono già parecchie quelle che lavorano presso varie aziende. La differenza con i maschi, è ormai un dato superato. Spesso le ragazze preferiscono lavorare fuori sede, perché è un primo passo verso l’autonomia dalle famiglie.
All’uscita delle classi, tento qualche approccio con i ragazzi, lontano da preside e professori. Ma è tale la confusione che raccolgo solo frammenti di risposte. “Sì, andiamo anche all’estero…. Quelli dell’ultimo corso sono stati in Borgogna, in Spagna, in Portogallo. Poi verrà il nostro turno…”. “Campa cavallo”, aggiunge con ironia un compagno. Qualcuno chiama i ragazzi che tengono alto l’onore del Ricasoli nei tornei di calcio, anche contro scuole ben più numerose, e sono delusi quando declino l’invito per la prossima partita. Poi sull’onda di una spontanea simpatia, gli studenti fanno a gara per coinvolgermi nelle loro attività. “Venga allora per il Benvenuto Novello, quando la scuola si apre alla città, o per la Giornata Enologica, tutta musica e canti, oppure per la Bruschettata, prima delle vacanze di Natale….”.
Pronta la replica di un compagno: “E lo fai venire da Napoli per una bruschetta?”. “Ma no, quando sta qui, vedrai, il preside lo invita di sicuro alla grigliata con tutti i professori. Ma quello per noi è uno spazio off limit….”.
Di Nino D'Antonio
Da l'Enologo - n°1-2 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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