I bianchi del Piemonte: il Cortese
Cortese, Arneis, Erbaluce e Timorasso sono i grandi bianchi che sintetizzano alla perfezione la produzione dei vini bianchi piemontesi. Il Cortese, nella zona del Monferrato e di Gavi, raggiunge i più alti livelli qualitativi come Gavi o Cortese di Gavi Docg e il Cortese dell'Alto Monferrato Doc.
Il Cortese: cenni storici
La prima citazione di questo vitigno è del 1614, quando viene elencato in un inventario delle cantine del Castello di Casale Monferrato (Nada Patrone, 1991) insieme a Grignolino. Circa cinquant’anni dopo un "vassellotto pieno di vino bianco di cortese", viene enumerato nella “Nota del regallo” fatto nel 1666 alla novella imperatrice Margherita Teresa d’Asburgo, in occasione del suo passaggio ad Acqui Terme, durante il viaggio che la portava da Madrid alla corte imperiale viennese.
Il primo autore che nomina questo vitigno è il conte Nuvolone nel 1799, nella sua memoria sulla coltivazione della vite e sul modo migliore di fare i vini (in Piemonte). Fra le uve bianche egli cita il “Corteis” che “dà grappoli alquanto lunghetti, acini piuttosto grossi, quando l'uva è matura diviene gialla, ed è buona da mangiare e si conserva”.
In ordine cronologico segue il noto "Catalogo" del marchese Incisa (1852) nel quale si legge: “Cortese dell'Astigiano. - Grappoli guarniti di acini rotondi, bianchi ambrati, abbrustoliti dalla parte opposta al sole. Degna di servire d'ornamento in tavola, e utile per i vini da bottiglia, Moscato, Malvasia, ecc.”.
Grazie anche alla generosa produttività il Cortese divenne, già all’epoca dell’Ampelografia della provincia di Alessandria (Demaria e Leardi, 1875), “il vitigno ad uve bianche più estesamente coltivato nella provincia”.
Troviamo citazione del Cortese nella "Ampélographie" di Viala e Vermorel, dove è riportata in sintesi la succitata descrizione del Pulliat. È descritto dal Cavazza nel suo trattato di viticoltura, fra i cento più importanti vitigni italiani.
Il vitigno del Cortese
Foglia: di grandezza più che media, pentagonale, quinquelobata; seno peziolare chiuso, con bordi sovrapposti; tralcio legnoso: robusto, con sezione ellittica, un po' appiattita; superficie liscia, corteccia bene aderente, di color grigio cinereo, punteggiato; internodi di lunghezza media (10-12 cm), nodi globosi; gemme coniche abbastanza sporgenti; cercine peziolare largo; diaframma piano, midollo piuttosto abbondante.
I grappoli sono grandi, piuttosto spargoli; conico-piramidale, con una o due ali, lunghezza di circa 20-25 cm; peduncolo ben visibile, semi-legnoso (fino alla prima ramificazione); pedicelli di media lunghezza, di color verde-chiaro; cercine evidente, verde; pennello medio; di color giallo-dorato chiaro.
Le bacche sono di medie dimensioni (2,4 g.), leggermente ellissoidi, con sezione trasversale circolare; buccia di media consistenza, non molto pruinosa, di color giallo-dorato dalla parte del sole, verde-giallognolo nella parte all'ombra; ombelico persistente e prominente; polpa succosa, di sapore semplice, ma caratteristico, gradevole; separazione dell'acino dal pedicello facile.
Vinaccioli: da 2 a 4, piriformi, con becco sottile, di grandezza media. Colorazione autunnale delle foglie: verde giallo-oro. Posizione del primo germoglio fruttifero: prima gemma. Il vitigno presenta una vigoria notevole. La produzione è normalmente abbondante e costante.
Resistenza ai parassiti e altre avversità: normale per quelle parassitarie. Soffre relativamente meno di altri vitigni per la grandine e le gelate; però ama esposizioni soleggiate. L’uva non resiste molto alle piogge autunnali.
Cortese: la fenologia
Il Cortese presenta un germogliamento: medio-precoce (seconda metà di aprile), fioritura: media (verso la metà di giugno) e invaiatura media (verso la metà di agosto). Maturazione: 2a epoca (verso la metà di settembre).
La selezione clonale del Cortese
La selezione clonale e sanitaria oggi offre un considerevole numero di cloni, ovviamente non tutti normalmente moltiplicati: Rauscedo 2, Rauscedo 3, Al-Co-2, Al-Co-17, Cs-V18, Vcr 264, Vcr 265, Vcr 460, CtGavi-Cvt3, CtGavi-Cvt7, CtGavi-Cvt17, CtGavi-Cvt29, CtGavi-Cvt34, Unimi-Vitis Vv41, Unimi-Vitis Vv49.
La coltivazione del Cortese
La diffusione del Cortese, per alcuni secoli limitata sostanzialmente all’area delle attuali province di Alessandria e Asti, ha interessato solo a partire dal XIX secolo altre aree del Piemonte. Inoltre, da epoca non nota, è presente nella zona di produzione del Bianco di Custoza (Verona) dove è denominato Bianca Fernanda.
Il Cortese ha anche una certa importanza nell’Oltrepò pavese occidentale ed è presente in diverse aree della Lombardia. Una presenza sporadica è rilevata in diverse aree della Sardegna. Buoni risultati si stanno ottenendo in Australia e in California (Mendocino e Napa).
La superficie attualmente occupata dal Cortese è di circa 3000 ettari, concentrati specialmente nelle aree storiche di coltivazione (Istat 2010). Negli ultimi anni si registra una notevole attività di reimpianti con oltre 100 ettari/anno.
Si adatta bene a diverse forme di allevamento. La norma è la controspalliera con potatura a tralcio rinnovato con 10-12 gemme, ma si adatta bene anche al cordone speronato. Specie in Oltrepò pavese lo si vede anche su forme mediamente espanse, tipo cordoni liberi o Casarsa. La generosità del vitigno in questi casi porta a grandi produzioni e risultati qualitativi più modesti.
Grazie ad una buona affinità d’innesto è possibile trovarlo con diverse combinazioni. I portinnesti preferiti sono: i Berlandieri X; Riparia 420 A; Kober 5 BB e SO4; Rupestris du Lot. La densità d’impianto è medio bassa, in funzione del vigore e si attesta intorno alle 3500 piante a ettaro.
Cortese: clima e suoli
L’areale dei vigneti del “Gavi” ricade nell’estremo angolo sud orientale del Piemonte, una frontiera fisica e geologica dove si incontrano la grande pianura e la montagna, i terreni alluvionali e gli affioramenti di epoche remote. Il terroir, dal punto di vista geologico, si divide in tre fasce: le terre rosse, un’alternanza di marne e arenarie e una terza fascia nella parte meridionale composta da marne argillose bianche.
In particolare, l’alternanza tra marne argillose - dette localmente “terre bianche” e “terre rosse” - caratterizzate da suoli bruni, lisciviati e idromorfi a frangipan, determinano la ricchezza pedologica che arricchisce di sfumature l’espressione del vitigno.
L’altitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra i 150 e i 450 m s.l.m. con pendenza variabile e l’esposizione generale è orientata verso nord-ovest e sud-est. Il clima può essere considerato di transizione, moderatamente continentale, e caratterizzato da inverni lunghi e rigidi, con nevicate abbastanza frequenti ed abbondanti, quanto più ci sposta verso l’area appenninica meridionale; la stagione estiva, in compenso, rispetto alla vicina are sub-padana, è più fresca e ventilata.
In complesso la zona si colloca tra i e 2000 gradi Winkler e fra 1900 e 2400 gradi Huglin. Le risorse idriche si caratterizzano per lo svuotamento relativamente tardivo della riserva facilmente utilizzabile, il che si rivela favorevole alla produzione di vini di qualità.
Cortese: interazione vitigno-suolo
La zona del Monferrato Gavi può essere divisa, dal punto di vista pedo-paesaggistico, in tre macro unità principali identificate nel corso dello studio di zonazione vitivinicola. L’unità territoriale “Colline” è formata da ambienti accomunati da un sistema collinare caratterizzato da antichi depositi di origine marina, che presentano una comune componente litologica marnosa.
Al loro interno possono essere riscontrate marne argillose, complessi caotici a prevalente componente argillosa, siltiti marnose, sabbie fini e medie, arenarie e conglomerati. I suoli si presentano bruno-chiari, con una componente di calcare attivo da moderata ad alta, con reazione per lo più alcalina, moderatamente profondi, un’alta capacità di scambio cationico e di buona permeabilità.
Dal punto di vista agronomico, i suoli presentano una moderata fertilità fisico-chimica a cui corrisponde un contenimento della vigoria della vite: questa caratteristica è positiva per i riflessi sulla qualità dei vini.
La seconda Unità territoriale identificata, i “Terrazzi antichi” derivano da antichi depositi fluviali terrazzati. I terreni sono prevalentemente franco-limosi e in minor parte argilloso-limosi, spesso accompagnata da livelli considerevoli di ghiaia. Sono suoli generalmente profondi, con colorazioni tipiche bruno-rossastre, caratterizzati dalla presenza di umidità eccessiva e possibile conseguente limitazione allo sviluppo degli apparati radicali.
Caratteristiche distintive dei terreni sono l’assenza di calcare attivo e la reazione debolmente acida, con elevata capacità di scambio cationico, bassa permeabilità ed elevata ritenzione idrica. Le periodiche lavorazioni al terreno, anche profonde, hanno lo scopo di decompattare i terreni per favorirne l’ossigenazione, e lo sviluppo e funzionalità dell’apparato radicale.
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