Perché servono nuovi portinnesti per la vite
Da l'Enologo - n°1/2 Gennaio/Febbraio 2018 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
Quando nella seconda metà dell'800 l'arrivo della fillossera in Europa impose l'innesto su piede americano, i "tradizionalisti" videro la mediazione del portainnesto come una "contaminazione" della purezza della qualità del vino prodotto dalle viti europee. Tale atteggiamento è ormai un ricordo, a tal punto che anche Paesi di recente viticoltura dove la fillossera non è ancora una minaccia, si preferisce piantare i nuovi vigneti con barbatelle innestate e si stanno sviluppando programmi di miglioramento genetico per la creazione di nuovi portinnesti, per un migliore adattamento della vite alle caratteristiche dei loro suoli, che spesso presentano una composizione chimica poco adatta alla vite quale il contenuto di sale, o la tossicità di alcuni microelementi quali il boro o l'alluminio in suoli acidi.
La crescente incidenza di emergenze sanitarie rappresentate dai nematodi, vettori di virosi e parassiti, o di marciumi radicali e le conseguenze del cambiamento climatico sulla disponibilità di acqua e sull'estendersi dei fenomeni di salinità dei suoli del Vecchio e del Nuovo Mondo evidenza la sostanziale inadeguatezza dei portinnesti tradizionali a risolvere queste emergenze ed impone di conseguenza la creazione di nuovi genotipi aventi nuove caratteristiche di resistenza agli stress biotici ed abiotici.
Portinnesti delle vite: emergenze sanitarie e cambiamento climatico
Al miglioramento delle doti di adattamento è inoltre necessario associare al portainnesto anche la capacità di ridurre gli input energetici quali l'impiego di fertilizzanti, utilizzando la grande variabilità delle diverse specie del genere Vitis nell'assorbimento selettivo di alcuni elementi minerali, sia per ridurre il rischio di carenze che per evitare gli eccessi che potrebbero nel caso dell'azoto, favorire l'insorgenza di malattie crittogamiche, botrite in primis.
La frenetica attività di miglioramento genetico che si sviluppò tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900, incalzata dalla necessità di ottenere rapidamente dei portinnesti resistenti alla fillossera e tolleranti il calcare attivo presente in quantità elevate in molte zone viticole europee, puntò su poche specie pure e all'interno di queste utilizzò molto spesso i risultati della segregazione genetica derivante dall'uso di semi ottenuti dalla libera fecondazione, tralasciando di valutare la grande variabilità che ogni specie presentava nei luoghi della sua origine, negli Usa.
Nella valutazione dei portinnesti che venivano via via proposti per il rinnovo dei vigneti , si teneva soprattutto conto delle caratteristiche di quella viticoltura, spesso consociata, strutturata con tutori vivi o caratterizzata da alte fittezze d'impianto e quindi con basse produzioni/ceppo.
La viticoltura contemporanea non solo è stata fortemente delocalizzata in luoghi molto diversi da quelli delle origini, ma anche in altri continenti dalle condizioni pedo-climatiche difficilmente confrontabili con quelle europee, che hanno quindi bisogno di portinnesti dalle caratteristiche particolare, che non sono presenti nei genotipi oggi moltiplicati.
Benché la disponibilità di portinnesti ammessi alla coltivazione sia molto elevata (circa una quarantina), attualmente la gran parte della viticoltura mondiale ne utilizza non più di 5-6, che sono scelti per le loro doti di rusticità (in gran parte legate alla tolleranza allo stress idrico ed al calcare attivo) e per la facilità di moltiplicazione, aspetto non trascurabile dall'attività vivaistica. Inoltre alcuni portinnesti deboli, di largo impiego nella viticoltura francese come il 101-14, il 3309, 161-49 C ed il 420 A inducono nella marza dei gravi fenomeni di deperimento le cui cause non sono state ancora individuate e non hanno attualmente dei validi surrogati.
La serie "M" e il progetto di Unimi per nuovi portinnesti
Il progetto di miglioramento dei portinnesti del DiSAA dell'Università di Milano è partito da questi presupposti per conseguire due importanti risultati : valutare le prestazioni di quattro nuovi genotipi (definiti M) ottenuti alla fine degli anni '80, soprattutto nei confronti dello stress idrico, relativamente alla risposta adattativa di alcuni vitigni in alcune zone significative italiane ed individuare alcuni marcatori molecolari per la diagnosi precoce (MAS) di nuovi genotipi ottenuti da programmi di breeding sviluppati in questi anni ed in via di valutazione fenotipica per la tolleranza alle ridotte disponibilità idriche, ai livelli elevati di cloruri nel suolo ed alla clorosi ferrica. L'analisi genomica non ha quindi solo l'obiettivo di accelerare la valutazione dei nuovi ottenimenti ma di individuare precocemente (nella fase di semenzale) le caratteristiche genetiche degli individui da utilizzare in cicli successivi di incrocio.
È necessario infatti passare dalle modalità di incrocio cosiddetto "ricorrente", quale si impiega in cicli successivi, uno dei genitori, dei quali si vuole concentrare nella discendenza le caratteristiche più interessanti (nel caso della serie M il genitore ricorrente era la Vitis Berlandieri), ad incroci ottenuti con la tecnica della piramidizzazione, nei quali si usa invece di volta in volta un genitore diverso per portare nell'incrocio finale tutte le forme di resistenza biotica (molto importante appare la possibilità di evitare la trasmissione di alcuni virus trasmessi dallo X.index da parte di alcune specie americane) ed abiotica presenti nel gen. Vitis, al fine di arrivare ad uno o pochi portinnesti universali.
Per scegliere quindi quali saranno di volta in volta i genitori candidati, spesso appartenenti a specie diverse e finora poco utilizzate nei piani di breeding, è necessario disporre di tecniche di screening rapide ed efficaci. È così possibile ridurre notevolmente l'intervallo generazionale e dimezzare i tempi di creazione di un portainnesto, passando da 20-25 anni a 10-12 anni.
Fondamentale appare inoltre l'acquisizione di nuova variabilità genetica sia specifica (utilizzo negli incroci di specie finora mai utilizzate, per affrontare problemi particolari come la tolleranza al sale o la resistenza ai nematodi vettori di virosi, tratti genetici poco presenti nelle specie convenzionali) che intraspecifica per valorizzare, come nel caso della Vitis Berlandieri la presenza nei luoghi d'origine della specie, la grande diversità delle forme biologiche dovuta alla pressione selettiva di condizioni pedo-climatiche estreme per contenuto di calcare nel suolo o di lunghi periodi di deprivazione idrica. Infatti la variabilità genetica delle specie americane presente in Europa nelle collezioni è fortemente inficiata da quella che viene definita la "sindrome del fondatore" che ha origine dalla deriva genetica delle specie pure utilizzate per gli incroci, rappresentata dai pochi individui disponibili.
Le ottime performance del portinnesto M4
L'andamento climatico di questi anni, soprattutto quello del 2017, han consentito di valutare le performance di questi portinnesti in numerosi ambienti viticoli italiani, mettendo in luce la loro superiorità nei confronti dei portinnesti commerciali. In particolare l'M4 si è rivelato nettamente superiore ai portinnesti noti da tempo per la tolleranza alla siccità, confermando le sperimentazioni preliminari che avevano accertato negli anni precedenti, che la risposta di questo portinnesto alla siccità si concretizzava in un incremento dello sviluppo dell'apparato radicale in profondità, molto originale rispetto agli altri genotipi, e quindi con una migliore esplorazione del profilo del suolo.
Un comportamento adattativo che si rivela più efficace nei confronti dello stress, appunto, delle risposte conservative degli altri portinnesti. Questo si è concretizzato in uno sviluppo vegetativo della pianta meno condizionato dalla mancanza d'acqua, che incide in modo diretto sulla produzione di uva e sul titolo zuccherino ed in modo indiretto su altri aspetti della maturazione come il profilo fenolico o l'accumulo di aminoacidi e quindi sull'Apa, o sulla sintesi delle sostanze aromatiche.
Ma il risultato più eclatante che ha differenziato il comportamento dei portinnesti della serie M è stata la stabilità delle prestazioni vegeto-produttive dei vitigni saggiati, nel corso degli anni di prova ed in diversi ambienti. Questa è una caratteristica fondamentale per l'imprevedibilità dei cicli climatici che caratterizzano la nostra viticoltura, in quanto con questi portinnesti la risposta della varietà è meno influenzata dalle variabili metereologiche. Come spesso capita, ai risultati della ricerca non segue una loro rapida applicazione nella pratica. In questo caso, si è realizzato il sogno di ogni ricercatore, di vedere concretizzati i suoi sforzi, nella diffusione dell'innovazione.
Da l'Enologo - n°1/2 Gennaio/Febbraio 2018 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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