Viticoltura: vincere le paure e affrontare il cambiamento
Intervento di Attilio Scienza tratto dal 71° Congresso Nazionale Assoenologi
Voglio iniziare con una metafora ovvero con un paradosso, il paradosso della Nave di Teseo, per introdurre il problema del confronto tra tradizione e innovazione. La nave di Teseo era quella con la quale Teseo, tornando dalla liberazione di Arianna dal labirinto del Minotauro, salvò i giovani ateniesi dal sacrificio. Questa nave viene conservata dagli ateniesi nel porto di Atene a ricordo imperituro di questa impresa. La nave però invecchia e ha bisogno di qualche restauro. Nel corso del tempo il legno marcisce e viene rinnovata a tal punto che dopo un certo numero di anni la nave non è più quella di prima. È una nave nuova, completamente diversa. Allora ci si chiede: come è possibile mettere insieme vecchio e nuovo, com’è possibile integrare qualcosa che infondo deve essere rivoluzionato o cambiamo completamente. L’identità non è qualcosa di statico e incontaminato ma un complesso di mutazioni, di osmosi tra identico e diverso.
Oggi siamo di fronte a una scelta epocale. Lo sono stati 150 anni fa i nostri predecessori quando hanno dovuto decidere cosa fare quando sono arrivate le malattie americane, un evento che ha cambiato in modo sostanziale il loro modo di coltivare la vite e fare vino. Lo siamo noi oggi perché il problema del riscaldamento climatico e delle decisioni dei consumatori nei confronti dell’ambiente ci impone un cambiamento importante. Non possiamo più integrare il vecchio con il nuovo, non possiamo fare come la nave di Teseo, aggiungere qualche pezzo di legno nuovo alla nostra viticoltura e alla nostra enologia; dobbiamo cambiare la nave, dobbiamo riuscire veramente a cambiare il nostro modo di concepire la viticoltura e di concepire il rapporto con l’ambiente e il consumatore.
Il problema però è molto complicato perché esiste, curiosamente, una forma di avversità sia nel mondo dei produttori che dei consumatori verso il miglioramento genetico e della vite in particolare. C’è una sorta di valore simbolico del vino, un atavismo che ci condiziona, quasi non fossimo capaci di tradire questa pianta quando invece tutto ciò che noi mangiamo di vegetale, dalla frutta alla verdura ormai è il prodotto di questo miglioramento genetico. I genetisti non valutano i mutamenti sociali ed è per questo che sbagliano le previsioni. Purtroppo non tengono conto della miopia culturale di quelli che hanno sempre lo sguardo rivolto all’indietro e che rifiutano il metodo scientifico. Questo è il nodo da sciogliere per il progresso della società.
Dobbiamo fare in modo di portare l’innovazione genetica tra la gente; non possiamo più illuderci di vivere i nostri laboratori, di fare le nostre ricerche e poi sperare che qualcuno ci aiuti poi a diffondere quello che facciamo. Il problema principale è quello di vincere la paura del consumatore nei confronti dell’innovazione genetica.
La soluzione nella ricerca genetica
Noi siamo cominciati alle paure, ma queste paure devono essere la molla per trovare le soluzioni, non possiamo più restaurare la nave ma costruirne una nuova, questo è il nostro obiettivo. E lo possiamo fare attraverso due percorsi, il primo è quello del miglioramento genetico, per le resilienze, per avere prodotti sani sicuri, prodotti che non inquinano, non rovinano il mondo in cui viviamo perché in fondo il consumatore si allontana dalla paura rifugiandosi nella terra madre. Da qui la grande spinta all'ecologismo che caratterizza i nostri giorni. È una forma di protezione che il consumatore cerca nella natura. Dobbiamo assecondare questo desiderio e avere in mano delle armi potenti come è il miglioramento genetico e quindi vitigni resistenti e portinnesti capaci di tollerare il cambio climatico.
Dobbiamo rispondere alle esigenze dell’ambiente, dei fitofarmaci, degli elementi di costituzione, di salvaguardia della salute e convivere con le nuove emergenze, dal cambio climatico, alla delocalizzazione della viticoltura che si allontana dai luoghi attuali per andare verso luoghi più freschi o addirittura verso altri Paesi.
Non dobbiamo inoltre trascurare che, dopo secoli di propagazione agamica delle varietà e dei portinnesti, questi si sono fortemente indeboliti dal punto di vista fisiologico e genetico e quindi dobbiamo per così dire "risanguarli". Non possiamo più tollerare che la viticoltura venga vista come l’allenatrice del mondo, il 3% della superficie viticola consuma il 65% dei prodotti chimici che vengono dati per la difesa.
I vitigni resistenti
Quella della creazione di varietà resistenti è un sogno antico; è iniziato con l’arrivo della malattie americane, forse male perché all’arrivo di ibridi produttori diretti la qualità dei vini era molto modesta e quindi è rimasta nella mente dei produttori, ma anche dei consumatori questo modello negativo della resistenza. Ma le cose sono cambiate perché dopo 4-5 cicli di incrocio veramente si sono potute fare delle cose straordinarie.
Le condizioni che deve avere un vitigno resistente sono: possedere un profilo aromatico e polifenolico (per i rossi) di qualità comparabile o superiore a quello del genitore di vinifera o della varietà di riferimento e comunque in linea con le esigenze del mercato; coniugare tradizione e innovazione (tradizione data dal parentale di vinifera, l’innovazione dalla introgressione dei geni di resistenza); esprimere buone attitudini agronomiche (produttività, vigore, rusticità ecc.); permettere una tangibile riduzione dei trattamenti fitosanitari e dei relativi costi.
Il tempo per arrivare a ottenere questi risultati è però molto lungo mediamente 20 anni, non è poco quindi, anche se oggi con le tecniche moderne forse questi tempi possono essere accorciati, ma certamente bisogna lavorare, bisogna incominciare in modo diffuso, non un piccolo esempio di qualcuno che in modo quasi spontaneo si diverte a fare degli incroci. Bisogna programmare un progetto vero, forte.
I nuovi vitigni resistenti iscritti al catalogo nazionale e autorizzati alla coltivazione in Veneto e Friuli Venezia Giulia per la produzione di vini da tavola e Igt sono i seguenti: Fleurtai, Soreli, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepis, Sauvignon Rytos, Cabernet Eidos, Cabernet Volos, Merlot Khorus, Merlot Kantus, Julius. Rispetto ai vecchi ibridi resistenti, non c’è il problema dell’alcol metilico così come non c’è il problema della malvidina e così abbiamo dei prodotti che sono praticamente identici dal punto di vista compositivo di varietà di vitis vinifera. Non c’è l’aroma foxy, l’aroma di fragola, non ci sono tutte quelle cose che avevano e in un certo senso allontanato il consumatore. Sono identici anche dal punto di vista morfologico.
Per la salvaguardia di ambiente e consumatore
A chi sono destinati questi vitigni? Intanto nel Mondo ci sono moltissime zone che hanno una pressione dei parassiti molto più forte che da noi e quindi queste sarebbero delle varietà ideali; poi tutta quella viticoltura ubicata in zone abitate, laddove i trattamenti possono creare un’atmosfera non favorevole; poi in tutte quelle zone dove non c’è un forte rapporto con la tradizione con la cultura antica, dove occorre fare vini a prezzi molto bassi. E poi naturalmente i biologici. Secondo me è la soluzione migliore per un viticoltore biologico perché in questo modo veramente non occorre trattare e quindi si ha veramente una viticoltura senza impatto sulla chimica.
Quali sono le condizioni per utilizzare queste varietà? La Germania ha forse la normativa più aperta all’uso di queste varietà, entro il 5% di sangue americano è possibile utilizzarlo nelle Doc e nelle Docg quindi praticamente porta aperta a questo utilizzo; la Francia invece è la più restrittiva e anche l’Italia consente l'impiego di queste varietà solo per l’Igt e per i vini da tavola ma non certamente per le Doc e Docg.
Un cammino lento e difficile
Il cammino di introduzione di queste varietà nella nostra viticoltura è stata lenta e difficile. Nel 2009 i primi ingressi con Bronner e Regent, che sono due varietà tedesche introdotte dalla Provincia autonoma di Bolzano; poi nel 2013 il Cabernet Carbon, il Cabernet Cortis, Helios, Johanniter, Prior e il Solaris, che è forse uno dei vitigni più interessanti che tutt’ora ha un buon successo al di là dei nuovi ottenimenti e questo è stato ottenuto nella provincia di Trento per merito della fondazione Mach. Poi il terzo ingresso nel 2014 del gruppo di varietà, sempre della provincia di Bolzano, e poi finalmente nel maggio 2015 le dieci varietà prodotte da Iga e da Udine, con Vcr.
Ci sono poi stati anche altri sviluppi, come quello fatto a San Michele all’Adige dalla Fondazione Mach che ha lavorato su Vitis Vinifera senza introdurre sangue americano per la resistenza alla Botrite o quello del gruppo di lavoro sullo studio del dermoplasma orientale dell’università di Milano, coordinato dal professor Failla, volto a definire "se la vite sostenibile sia a portata di mano", ovvero a scoprire quello che c’è nella Vitis vinifera e che ancora noi non abbiamo utilizzato. Noi abbiamo moltissimi geni di tolleranza anche se non si sono espressi, lì pronti per essere utilizzati in qualche modo e in particolare il dermoplasma orientale per alcune consuetudini di moltiplicazione della vite per seme ha segregato questi caratteri, li ha fatti uscire dalla pianta che quindi ha loro moltissimo materiale tollerante.
E poi c’è il problema del cambio climatico, che non solo porta problemi di stress idrico per mancanza ma anche per eccesso d’acqua; il problema del sale, legato alla nutrizione minerale: potassio, magnesio; il problema della clorosi ferrica. Tutti fenomeni correlati al cambiamento delle condizioni di vita dell’apparato radicale, una parte della pianta che noi conosciamo molto poco per la verità e varrebbe la pena cominciare ad approfondire.
Abbiamo avuto un periodo glorioso di portinnesti dalla fine dell’800 fino ai primi del ‘900 poi questo processo di rinnovamento della viticoltura si è fermato perché combattute le due grandi problematiche della fillossera e della clorosi il Mondo si è accontentato di quello che c’era. Ma intanto il Mondo stesso è cambiato. Ecco ancora una volta il paradosso della “Nave di Teseo”. Non possiamo restaurare quello che abbiamo ma costruire qualcosa di nuovo quindi ecco la creazione di portinnesti molto particolari come Fercal piuttosto che Gravensac per terreni carenti di ferro; oppure alcune esperienze americane sulla tolleranza ai nematodi parassiti.
La creazione di nuovi portinnesti
La viticoltura è cambiata nel modo di coltivare la vite, negli ambienti di coltivazione, nelle esigenze che abbiamo nei confronti della pianta. Bisogna quindi creare portinnesti nuovi anche perché noi abbiamo circa 40 portinnesti utilizzabili in Italia ma se ne usano solo 6 e di questi 6 solo alcuni, proprio per questa esigenza di avere portinnesti tolleranti la siccità.
Negli anni ’80 abbiamo iniziato come Università di Milano un progetto di miglioramento genetico utilizzando soprattutto back cross con Berlandieri e con Monticola e abbiamo, dopo molto lavoro, avuto un finanziamento molto importante con le fondazioni bancarie e in questo grande gruppo di ricerca tra cui Padova, Torino, Piacenza, Conegliano e San Michele siamo riusciti a codificare ed identificare alcuni geni che possono essere interessanti nelle operazioni successive di miglioramento genetico di lavoro con alcune caratteristiche.
Finalmente c’è il coinvolgimento dei produttori non solo nello sviluppo di progetti di ricerca ma anche nella diffusione. Siamo riusciti a costruire una società con undici aziende importanti italiane le quali hanno acquisito il diritto, la proprietà di questi nuovi portinnesti M, li hanno poi ceduti in uso a Vivai Cooperativi Rauscedo e noi speriamo tra 4-5 anni di arrivare a un milione di barbatelle con i nostri M.
L’Università non ha molte risorse per poter compiere questericerche e questo gruppo di aziende primarie che si sono impegnate nel valutare i nostri portinnesti in 15 aziende su tutto il territorio nazionale è molto importante e noi speriamo con tutti questi vitigni nei prossimi anni di avere dei risultati molto interessanti; è la più grossa ricerca fatta sui portinnesti in modo così diffuso.
Devo anche citare il lavoro fatto dal prof. Cesare Intrieri con due portinnesti: lo star 50 e 75; ottenuti per un vigore ridotto al fine di ridurre gli interventi di potatura verde.
Genome editing
Poi c’è la cosiddetta genome editing, che va annoverata tra le new breeding technology, una sorta di microchirurgia con la quale si opera sui geni di suscettibilità, la cui presenza è necessaria affinché si manifesti una malattia.
L’inattivazione di questi geni porta ad una pianta resistente. L’esempio più noto è quello dei geni Mlo(Mildew Resistance locus O) la cui inattivazione conferisce resistenza all’oidio alla vite. L’intervento è quindi comparabile ad una mutazione naturale, sull’esempio di quelle che fanno comparire improvvisamente su una vite che produce grappoli colorati, dei grappoli bianchi (Pinot nero>Pinot bianco).
Con questa tecnica, che non consiste in un trasferimento di geni (Ogm) è possibile far diventare i nostri vitigni italici resistenti alle malattie crittogamiche e non solo.
Biomimetica
Un ultimo accenno alla biomimetica che è una nuova disciplina che ci consente finalmente di capire cosa c’è all’interno di una pianta. Una piante infondo è come un iceberg di cui noi vediamo una piccola parte ma la gran parte è sotto acqua. Ci sono voluti quasi tre miliardi di anni per evolvere le piante che noi vediamo.
Queste piante hanno superato crisi climatiche che noi non ce le sogniamo neanche; quelle che sono rimaste hanno un patrimonio genetico ricchissimo. Ecco la biomimetica è quella disciplina che intende trovare all’interno delle piante i geni che servono per tollerare le malattie ma anche per resistere agli stress ambientali.
Un appello finale
E allora un appello finale non solo ai ricercatori ma anche a voi enologi, voi che vivete il rapporto con il consumatore. Perché noi dobbiamo comunicare al pubblico facendolo come un dovere prioritario, dobbiamo spiegare cos’è il miglioramento genetico, non dobbiamo avere remore e paure; dobbiamo veramente essere noi i primi comunicatori. Se vogliamo che la Nave di Teseo diventi nuova dobbiamo in un certo senso dare una prospettiva nuova, le paure si vincono se noi diamo una prospettiva vera.
Mi piace molto l’iniziativa fatta in Inghilterra denominata “Pint of Science” dove i ricercatori vanno nei pub e, di fronte a una birra, spiegano cosa fa la ricerca, cosa fa la scienza. Questa iniziativa ha avuto un successo clamoroso. Ecco, io vorrei che noi tutti potessimo farlo, ovviamente di fronte a un bicchiere di vino. Vi auguro di poter essere voi i primi comunicatori dello sviluppo della ricerca.
Intervento di Attilio Scienza tratto dal 71° Congresso Nazionale Assoenologi
Articolo tratto da l'Enologo – n°7-8 2016 – Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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