La Freisa, tipico vino del Piemonte
Da l'Enologo - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
La prima documentazione su questa varietà, che ha appena festeggiato cinquecento anni, risale al 1517. Nella bolla doganale di Pancalieri (in provincia di Torino), sono citate delle carrate di fresie. ed un vino fresaurum. Le "frese" cinquecentesche erano poste tra i vini pregiati e stimate, in valore, il doppio del vino comune. Nel 1600 si trovano citazioni di "fresie" o "freise". Ritroviamo poi altre citazioni riguardo a questo vitigno all’interno di archivi signorili privati. Nel Seicento si segnala nei vigneti del conte Cotti a Neive (Cn), in seguito a Lu (Al) (Mainardi, 2003), diventando di lì a poco presente in varie parti del Piemonte e, dall’Ottocento, diffusa praticamente in tutta la regione.
Cenni storici del Freisa
La prima descrizione ampelografica della Freisa risale alla fine del 1700 ad opera del Conte Giuseppe Nuvolone Pergamo, direttore dell’Orto Sperimentale della Reale Società di Agricoltura di Torino. Che inserì la Freisa fra le uve nere piemontesi di prima qualità. Alla fine del 1800 la coltivazione della Freisa venne intensificata, per la sua caratteristica di resistere all’attacco della peronospora. Anche se quasi mai ebbe il ruolo di vitigno principale, tranne nei dintorni collinari di Torino e di Asti, la popolarità della Freisa era dovuta alla generosità della produzione, alla resistenza alle intemperie e alla relativa tolleranza nei confronti delle crittogame di origine americana (oidio e peronospora). Nel 1897 era segnalata come vitigno predominante nel circondario di Torino e come uno dei più reputati vini di bottiglia richiesti in città.
Negli stessi anni anche nel circondario di Asti il Freisa era considerato un vitigno ed un vino molto diffuso e che aveva davanti a sé "una felicissima strada". L'enologo Arnaldo Strucchi (1904) lo considerò un vino di lusso e scrisse che in alcune località del Piemonte l’uva Freisa era usata per preparare un vino dolce, spumeggiante del quale si faceva un discreto commercio con l’America.
Nel 1977 l’enologo Renato Ratti scriveva del Freisa: “è un tipico vino piemontese, maggiormente conosciuto nel tipo amabile e più o meno spumeggiante. Allieta il dessert in maniera insuperabile,… "Con il suo colore rosso rubino netto e con il profumo di lampone, il vino Freisa è portatore, sempre, di contenuta, festosa allegria”.
Il vino Freisa è collegato con una pratica colturale presente soprattutto nella fascia pianeggiante attorno a Torino sia nelle colline del Po fino ai contrafforti monferrini di Castelnuovo Don Bosco: l’alteno. La pratica agricola dell’alteno faceva coesistere più produzioni agricole sullo stesso terreno. La vite era coltivata a filari (taragne o baragne) con interfilare di circa tre metri. Lungo la fila c’erano piante da frutto, in genere pesche, susine, pere, impalcate alte che oltre a produrre frutti aiutavano a sostenere il filare. L’interfilare era coltivato con cereali a paglia in rotazione con orticole.
La pratica dell’alteno era ovviamente mal vista dai viticoltori “professionisti” che vedevano, nella viticoltura specializzata, la sola forma di conduzione possibile per produrre buon vino.
Freisa: sinonimi e biotipi
Spesso chiamata "Freisa di Chieri" (o, più di rado, "Freisa del Piemonte") o genericamente “Munfrina” (Monferrina) o “Munfrà”, “Spanna monferrina” o semplicemente “Spannina”, nel nord Piemonte. Nel recente passato si è sovente parlato di "Freisa piccola"(Fresia pica) e una "Freisa grossa” oggi ritenute modificazioni dovute all'ambiente. Sono sinonimi errati: "Freisa di Nizza" ("Neiretta" di Saluzzo), "Freisa Nebbiolo" o "Freisa Picotener" in Val d'Aosta, "Freisa di Moncucco". Origine del nome: Diversi Autori (I. D’Agata, J. Robinson) indicano nel sentore di fragola selvatica l’origine del nome. Quindi probabilmente dal francese “fraise”, lingua che ha influenzato fortemente il dialetto piemontese.
L'origine genetica del Freisa
In merito alla zona d'origine gli storici ritengono che la Fresia sia originario dei colli che si stendono fra Asti e Torino. Il profilo del Dna indica una relazione stretta di parentela (genitore/figlio) col Nebbiolo (Schneider et al., 2004). Secondo Lacombe et al. (2012) sarebbe un possibile semenzale dell’incrocio Avanà e Nebbiolo. E’ anche indicata una parentela col Viognier e una stretta vicinanza genetica col Réze, una vecchia varietà del Vallese.
Freisa: clima e suoli
La Collina di Torino è un sistema montuoso di origine tettonica con asse orientato sud-ovest /nord-ovest. I rilievi della collina si presentano come un insieme di corrugamenti più o meno accentuati, conseguenza della pressione orogenetiche provenienti da sud est, lungo il piano rappresentato da quella che oggi è la pianura Padana. Il terreno è composto da sabbie silicee, calcare e ossido di ferro, numerose sono le zone da cui emergono abbondanti depositi fossili di conchiglie.
Il vitigno del Freisa
Foglioline apicali: spiegate, glabre superiormente, con leggerissima pubescenza inferiormente, verdi con sfumature bronzate- carminate. Asse del germoglio: sovente ricurvo. Tralcio erbaceo: a sezione circolare, un po' angoloso, glabro, verde. Viticci: intermittenti, bifidi, verde-giallastri. Foglia: di grandezza media o meno, sovente un po' più larghe che lunghe, pentagonali, per lo più trilobate molto raramente quinquelobate, con seno peziolare sempre aperto.
Grappolo a maturità industriale: di grandezza media, allungati, quasi cilindrici, poco alati, piuttosto sciolti, con peduncolo ben visibile, piuttosto lungo, verde; pedicelli sovente rossicci; cercine rosso-violaceo, pennello rosso. Acino: medio subrotondo o leggermente ovali; buccia ben pruinosa, di color nero-bluastro piuttosto sottile, ma resistente; polpa succosa, di sapore dolce, ma un po' aspro, semplice; succo incolore.
Vinaccioli: da 2 a 3, piriformi, un po' rigonfi. Tralcio legnoso: robusto, di media lunghezza, con corteccia bene aderente, a sezione ellittica, con superficie liscia; nodi appiattiti, non pruinosi; meritalli mediamente lunghi, di colore nocciola piuttosto chiaro, rossastro ai nodi; gemme coniche appuntite.
Fenologia : germogliamento: un pò dopo la media (verso la metà di Aprile). Fioritura: media (metà giugno). Invaiatura: media (verso la metà di agosto). Maturazione dell'uva: di II epoca tardiva, un po' prima del "Barbera" (3a decade di settembre).
Caratteristiche ed Attitudini colturali
Vigoria: notevole, motivo per cui preferisce sistemi di allevamento e potatura non troppo ridotti e poveri (sui colli di Chieri il sistema caratteristico è quello a "taragna", cioè a spalliere piuttosto alte,
con 5-6 fili di ferro, con interfilari di 2,50-3 metri e più).
Produzione: regolare, generalmente abbondante; in qualche annata va soggetta a colatura e acinellatura. Posizione del primo germoglio fruttifero: 3° o 4° nodo. Numero di infiorescenze per germoglio: 2. Fertilità delle femminelle: trascurabile. Resistenza alle avversità: resiste abbastanza bene alle brinate tardive; ed è considerato vitigno più resistente alla peronospora degli altri della regione ("Barbera", "Bonarda"); più recettivo invece all'oidio. Comportamento rispetto alla moltiplicazione per innesto: in generale buono.
Come avviene la coltivazione del Freisa
Consigliata in tutta la regione: Piemonte, Valle d'Aosta e idonea in Lombardia, Basilicata e nella provincia di: Vicenza (Limitatamente all'area Doc Breganze).
L’area elettiva rimane comunque sulle colline di Torino e nell’alto Monferrato. La forma di allevamento è pressoché esclusivamente a spalliera, con potatura a Guyot, col capo a frutto spesso piegato ad archetto. O con doppio archetto nella “taragna” chierese.
I portinnesti di riferimento sono il "420 A", il "Kober 5BB", e in minor misura il "161-49", e la "Rupestris du Lot". I sesti d’impianto di riferimento oscillano tra i 2,30 e i 2,5 m. tra le file e tra 75 cm e 90 cm sulla fila, per densità tra le 4000 e le 5000 piante ad ettaro.
Selezione clonale e sanitaria
I cloni iscritti al registro sono ben otto a testimonianza dell’interesse per questa peculiare varietà: Cvt 15, Cvt 20, Cvt 154, Vcr 1, Vcr 3, Vcr 208, Cvt 157 , Cvt 177.
Le varianti di vino del Freisa
Il vino Freisa è ben conosciuto e considerato nelle colline del Monferrato e del Torinese. Infatti, il Freisa d’Asti ed il Freisa di Chieri sono denominazioni storiche, avendo ottenuto il riconoscimento rispettivamente nel 1972 e 1973, primo periodo di applicazione della normativa sulle denominazioni. Nell’ambito della provincia di Asti praticamente tutto il territorio (116 comuni, sono esclusi solo due comuni di pianura) è ammesso a produrre questo vino, anche se la maggiore produzione è concentrata in pochi comuni che gravitano intorno al territorio di Castelnuovo don Bosco, nella porzione di Monferrato che giunge a lambire la collina torinese.
Nel Freisa di Chieri i comuni compresi nella zona di produzione sono 12 e costituiscono praticamente il versante sud-est della collina che sovrasta la città di Torino. Al di fuori di questo territorio il vino Freisa e l’omonima uva sono poco conosciuti. Un’autentica curiosità è costituita dalla presenza del Freisa tra i vitigni ammessi a costituire la Doc Breganze rosso (Vicenza). Il Freisa inoltre produce o concorre alle Doc: Albugnano, Canavese, Colli Tortonesi, Collina Torinese Gabiano, Langhe, Malvasia di Castelnuovo Don Bosco, Monferrato, Piemonte, Pinerolese, Rubino di Cantavenna.
Fuori da Piemonte concorre alla formazione delle Igt: Alto Mincio, Basilicata*, Bergamasca*, Collina del Milanese*, Trevenezie, Provincia di Mantova, Provincia di Pavia*, Quistello*, Ronchi Varesini, Sabbioneta, Sebino, Alpi Retiche*, Terre Lariane, Veneto*. (* è ammessa la menzione di questa varietà in etichetta )
Il Freisa: alla scoperta del processo di vinificazione
Nelle zone classiche, la tipologia più diffusa è quella vivace, ottenuta con una leggera rifermentazione degli zuccheri naturali, in modo comunque da raggiungere una sovrappressione in bottiglia inferiore a 1 bar e con un residuo zuccherino nullo o contenuto in pochi grammi per litro. In tal modo è possibile attenuare l’aggressività del Freisa, dovuta alla presenza di una componente tannica rilevante, quasi sempre accompagnata da una acidità fissa piuttosto sostenuta. Per contro la presenza dell’anidride carbonica esalta la percezione del tipico profumo di lampone che caratterizza i vini giovani prodotti con questo vitigno.
Tradizionalmente una porzione di mosto veniva separata all’inizio della fermentazione alcolica, non appena il sollevamento del cappello di vinaccia ne avesse reso possibile la spillatura, e ripetutamente filtrata con sacchi olandesi, una tecnica di preparazione di filtrato dolce del tutto simile a quella conosciuta qualche decina di chilometri più a sud per la preparazione del Moscato d’Asti. In primavera il vino era imbottigliato aggiungendo una modesta percentuale di mosto dolce ed andava incontro ad una rifermentazione naturale e incontrollata che portava qualche volta a prodotti gradevoli, più spesso a prodotti alterati, soprattutto quando alla fermentazione degli zuccheri si associava la fermentazione malolattica non completata precedentemente. Oggi la rifermentazione è condotta in autoclave e la stabilizzazione è garantita, nella maggior parte dei casi, dalla microfiltrazione.
Oggi si tende ad una vinificazione prettamente classica, da rossi medio-strutturati, data la sua stretta parentela con il Nebbiolo. Come questi presenta anche un quadro antocianico con prevalenza di peonina e cianina. L’uva alla pigia-diraspatura tendenzialmente soffice, deve presentarsi con ottimale maturità fenolica e tecnologica, con l’acino possibilmente ancora “croccante”. Si procede quindi con una FA a T° controllata partendo da 22-23°C, per arrivare a 28-29°C, senza dimenticare arieggiamenti sistematici volti a mantenere regolare la FA. In annate dove la maturità fenolica non ha raggiunto il livello ottimale, si possono valutare 1-2 delestage per incrementare la frazione colorante.
Verso fine FA, si possono percorrere 2 differenti strade: svinare con lieve residuo zuccherino per ricercare uno stile più giovane e morbido; oppure lasciar andare a secco per poi svinare dopo una breve MpostF su vini destinati ad un affinamento più importante.
La Fml ed il successivo invecchiamento vengono tendenzialmente svolti in acciaio, salvo rari casi di breve passaggio il legno vecchio. Una tradizione ancora viva e che trova un discreto riscontro sul mercato è quella del “chiaretto” di Freisa, versione ottenuta da una svinatura precoce con prosecuzione della vinificazione in bianco. Il prodotto che si ottiene ovviamente non presenta una eccessiva tannicità, garantisce un profumo fruttato intenso (di lampone), soprattutto se fermentato a temperatura controllata, e gode di una discreta serbevolezza del colore.
Il Freisa è un vitigno caratterizzato da un abbondante patrimonio polifenolico: i flavonoidi totali superano quasi sempre i 3000 mg/kg (uva). Questo fattore posiziona la cultivar su una fascia alta rispetto la media (accanto a Nebbiolo e Bonarda e Grignolino, superiore a Dolcetto e Barbera). (Gerbi et al., 2005a).
Un’altra caratteristica è il contenuto di quasi 1000 mg di antociani (espressi in malvidin-O- glucoside) /Kg/bacche. Nonostante l’alto tenore contenuto in antociani, il Freisa è un vitigno soggetto a perdita di colore, a causa della presenza di un’importante quantità di antocianine poco stabili: infatti in maggior quantità troviamo la Peonina (50%), un’antocianina disostituita perciò facilmente ossidabile, e la Cianina (18%), anch’essa poco stabile.
Segue la Malvina (17,5%), antocianina trisosituita, quindi meno suscettibile a fenomeni ossidativi. In misura minore contribuiscono Delfinina e Petunina. Èquindi molto importante evitare per quanto possibile il contatto tra l’aria ed il prodotto, specialmente durante le fasi di inizio della vinificazione, al fine di preservare la maggior quantità possibile di sostanza colorante. Per questo aspetto, il Freisa è simile a Nebbiolo ed Avanà e non distante da Grignolino, mentre evidenzia un patrimonio antocianico completamente diverso da Dolcetto, Barbera e Bonarda (che sono vitigni a prevalenza malvina).
Le note sensoriali del Freisa
Il Freisa tende a produrre vini di media acidità e buona struttura e persistenza. Colore rosso rubino vivo, profumo delicato di note di frutti di bosco, in particolare lampone e rosa ribes nero, lampone e viola. Il sapore è fresco, pieno, con tenue retrogusto amarognolo e lievemente tannico, di buon corpo.
Da l'Enologo - Aprile 2018 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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