Il Cesanese di Affile, del Piglio e di Olevano
Da l'Enologo - n°9 Settembre 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
Nell’areale di coltivazione del Cesanese è possibile tutt’oggi ritrovare alcuni segni delle antichissime tecniche colturali, ivi importate dai colonizzatori etruschi e greci, ed applicate sapientemente dai coltivatori romani in età repubblicana e imperiale, con ormai rari, ma bellissimi esempi di viti allevate a "conocchia" o maritate a olmo e frassino.
Cenni Storici del Cesanese
I Cesanesi sono coltivati nei territori di Affile, Olevano Romano, Piglio e dintorni. Questi luoghi erano abitati dagli Equi ed Ernici già dal 1000 a.C. e divennero colonia romana nel 306 a.C. Fu in questo periodo che venne coniato il termine Cesanese, vitigno che era coltivato nelle caesae, ossia nei “luoghi dagli alberi tagliati”.
Il Cesanese sembra appartenere al gruppo delle "Alveole" romane, dalle quali, descritto da Plinio, si otteneva una grande quantità di vino rosso da destinare alla zona dei Castelli. Fu proprio il Prosperi (1939) ad ipotizzare che le "Alveole" siano riconducibili alla famiglia dei Cesanesi, da cui scaturivano vini di antichissima tradizione, come testimoniato anche dai reperti archeologici e storici rinvenuti sul territorio, e descrive il Cesanese come l’unica varietà a bacca rossa coltivata nella campagna romana, sottolineandone una maggiore diffusione nei territori di Olevano Romano, Piglio e Affile. Si narra che l'imperatore Nerva, colpito dalla squisitezza del vino del Piglio, fece costruire in quella zona la sua residenza imperiale. Sembrerebbe che lo stesso Cesanese fosse il vino prediletto da Federico II di Svevia, nel corso delle sue battute di caccia. Testimonianze ancora più certe, lo danno come il preferito tra i vini dai papi Anagni Innocenzo III e Bonifacio VIII.
Il primo a descrivere separatamente il Cesanese "Comune" da quello di "Affile" fu il Mengarini (1888). Il Mancini (1893) descrive due varietà di Cesanese: ad acino grosso o "Comune" e ad acino piccolo o "D'Affile". Nell’Ottocento le aree di produzione del Cesanese e in particolare Olevano Romano, sono divenute meta prescelta di poeti, scrittori e soprattutto di pittori paesaggisti della corrente artistico-letteraria tedesca "Sturm un Drang" (periodo romantico). J. A. Koch, J.B.C. Corot, C. Rottman, F. Horny e T.C. Aligny, per citare alcuni tra gli artisti più famosi che hanno visitato, soggiornato e ritratto questi luoghi, hanno contribuito ad aumentare ed estendere la fama del Cesanese.
Nel 1973 sono state riconosciute ed istituite le Denominazioni di origine controllata (Doc) al Cesanese del Piglio, al Cesanese di Olevano Romano e a quello di Affile. Nel 2008 la denominazione Piglio è stata fregiata della Denominazioni di origine controllata e garantita (Docg). Verso la fine del '800 il Mancini riferisce che i viticoltori dell'area circostante Roma, erano tanto scrupolosi da applicare alla lettera i precetti di Columella (seconda metà del I secolo a.C.), tra i quali veniva continuamente citato, rivolto alla vite il famoso: "...fammi povera e ti farò ricco". In ciascun circondario le metodologie d'impianto, di allevamento e di conduzione dei vigneti differivano notevolmente. Storicamente l'impianto veniva fatto con lavorazioni di scasso del terreno, o scavando delle buche dette ‘caronara’ (in dialetto locale) di circa un metro in larghezza e con una profondità di 80 centimetri, per l’intera lunghezza del filare, nelle quali veniva disposta la vegetazione in quadrato. Qualora nel corso dello scasso, fosse emerso del tufo, era pratica comune usare dell’esplosivo.
Le superfici variavano dai 10x5 metri in pianura (con una densità di 200 viti per ettaro), a 8x4 metri in collina (circa 300 viti per ettaro). Negli impianti a tutore vivo, venivano usati in gran parte l'olmo, il frassino e l'acero. Quattro talee, anche di diversi vitigni, si mettevano a dimora attorno al tutore. Il terreno circostante era seminato a granturco (agricoltura promiscua). Nella 'conocchia' il sostegno utilizzato era la canna comune (Arundo donax). Ogni conocchia era costituita da gruppi di otto canne, a sostenere una vite.
Clima e suoli del Cesanese
La zona di produzione si estende per 217 km2 a sud- Est di Roma. I vigneti sono prevalentemente esposti a sud e ovest. Tutto l'areale è abbracciato su tre lati dalla catena appenninica che lo protegge dai venti freddi provenienti da est e nord-est; il clima è temperato, la nebbia è assente. Le gelate primaverili risultano storicamente rare, anche se nell'ultimo biennio (2016-2017) sono accadute con forte intensità (fino a -5 °C circa), provocando gravi danni.
Le zone di produzione del vino Cesanese ricadono in due regioni fitoclimatiche (Bollati, et al., 2015): regione temperata e regione temperata di transizione. La prima è tipica di areali sub-montani e montani, caratterizzati da piovosità annuale con valori fino a 1600 mm e da estati con siccità quasi assente; la seconda è tipica delle zone collinari, con piogge annue tra i 950 e i 1250 mm, con siccità estiva che può durare uno o due mesi. Le Tab. 1 e 2 riportano rispettivamente i valori degli indici bioclimatici e termopluviometrici, per l'area di produzione dei Cesanesi.
Per quanto riguarda i terreni, i depositi vulcanici e le arenarie sono quelli più diffusi. Le caratteristiche dei suoli che ne derivano sono: spessore >1 m, struttura argilloso calcarea, pH da neutro a sub-acido, alta capacità di scambio cationico, bassa densità, capacità di drenaggio da buono a povero, e buona capacità di trattenere l’acqua (150-160 mm/m). Inoltre questi suoli sono ricchi in potassio e dunque particolarmente adatti alla coltivazione della vite. Secondo Bollati et al. 2015, attualmente i vigneti sono coltivati su terreni vulcanici (66%), arenarie (13%) e depositi alluvionali/lacustri (12%). Un 92% dei vigneti si trova tra i 200 e i 400 metri (media 322 m) e l’81% dei vigneti è coltivato su pendenze dallo 0-10%, con il 25% di esposizione a sud-ovest.
Nella zona del Piglio i terreni sono riconducibili principalmente alle terre rosse, derivate dal fenomeno di erosione dei Monti Ernici, operato sia da fenomeni glaciali che dall'azione delle acque meteoriche. Nella maggior parte dei casi, queste terre assumono una colorazione rosso scuro imputabile alla presenza di ossidi di ferro e di alluminio liberi. Queste terre, originate per decalcificazione di rocce sedimentarie calcaree, possono assumere caratteri fisici molto vari: terre rosse pesanti con tessitura argillo-limosa; terre rosse sciolte (poco diffuse) aventi detriti di natura calcarea (rosse detritiche). L’altitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra i 220 e i 980 m s.l.m. con pendenza variabile e l’esposizione generale è orientata verso ovest e sud-ovest. Il clima dell’area è di tipo temperato di transizione ed è caratterizzato da precipitazioni medie annue di comprese tra i 1098 ed i 1233 mm, con aridità estiva e subaridità (pioggia 73-123 mm) variabili da 1 a 2 mesi. La temperatura media annua è compresa tra i 13,5 ed i 15,6°C; freddo prolungato ma non intenso da novembre ad aprile, con temperatura media inferiore ai 10°C per 3-4 mesi l’anno e temperatura media minima del mese più freddo dell’anno che oscilla tra 2,1 e 3,3° C.
Il comprensorio di Affile è situato sulle pendici dei Monti Affilani che fanno parte della catena pre-appenninica costituita daI tre gruppi calcarei dei Ruffi, Prenestini e Affilani. I terreni dell’area sono riconducibili principalmente alle terre rosse, derivate dal fenomeno di erosione dei Monti Affilani. L’altitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra i 350 e i 950 metri s.l.m. con pendenza variabile e l’esposizione generale è orientata verso ovest, sud-ovest e sud. Il clima dell’area è di tipo temperato ed è caratterizzato da precipitazioni medie annue molto abbondanti comprese tra i 1431 ed i 1606 mm, con aridità estiva assente (pioggia 123-160 mm). La temperatura media è compresa tra i 12,0 ed i 13,6°C: freddo intenso in inverno, con temperatura media inferiore ai 10°C per 5-6 mesi l’anno e temperatura media minima del mese più freddo dell’anno che oscilla tra 0,1 e 1,3° C.
La zona geografica della Doc Olevano è delimitata ricade nella parte Centro Orientale della regione Lazio, in Provincia di Roma e comprende un territorio di media e alta collina. I terreni dell’area sono riconducibili a diverse classi dette “formazioni”. Sono presenti calcari bianchi e avana con componente organogena e detritica (resti di bivalvi e alghe calcaree), fortemente frantumata e costituiscono l’elemento morfologico più importante del territorio di Olevano Romano e dintorni. Seguono le marne contenenti una sensibile quantità di argilla, prevalentemente nella parte superiore del terreno, mentre sullo strato inferiore sono presenti fossili di Orbulina Universa. La formazione Argilloso-Arenacea, che costituisce quasi tutto il territorio di Olevano Romano, è composta da un’alternanza di argille e arenarie che sono preponderanti verso l’alto della formazione, dove si passa da una giacitura stratificata a una massiva. Le vulcaniti di età Quaternaria coprono le formazioni più antiche e sono particolarmente sfruttabili per l’agricoltura, in quanto ricche di elementi nutritivi; sono costituite da scorie, alternate a pomici e cineriti, derivanti da più fasi esplosive del Vulcano Laziale. L’altitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra i 211 e i 571 m s.l.m. con pendenza variabile e l’esposizione generale è orientata verso ovest e sud-ovest. Il clima dell’area è di tipo temperato ed è caratterizzato da precipitazioni medie annue molto abbondanti comprese tra i 1431 ed i 1606 mm, con aridità estiva assente (pioggia 123-160 mm). La temperatura media annua è compresa tra i 12,0 ed i 13,6°C; freddo intenso in inverno, con temperatura media inferiore ai 10°C per 5-6 mesi l’anno e temperatura media minima del mese più freddo dell’anno che oscilla tra 0,1 e 1,3° C.
Da l'Enologo - n°9 Settembre 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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