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Sannio - Falanghina: Capitale Europea del vino 2019

02 Agosto 2019
Sannio - Falanghina: Capitale Europea del vino 2019
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Cinque sindaci di altrettanti Comuni del Sannio. Ma soprattutto cinque uomini carichi di amore e di ambizione per la storia e i destini del loro territorio. Spesso si lamenta la scarsa capacità di fare squadra sia dei politici, a vario livello, che degli operatori. E l’accusa diventa più robusta quando si tratta del Sud. Dove questi limiti risultano quanto mai evidenti. Così, sorprende - e non poco - la straordinaria intesa fra cinque Comuni (Sant’Agata dei Goti, Castelvenere, Guardia Sanframondi, Solopaca e Torrecuso) che hanno posto la candidatura a “Città Europea del Vino 2019 del territorio Sannio-Falanghina”, approvata nella seduta del 10 ottobre 2018, nella sede del Parlamento Europeo a Bruxelles.

La tentazione di ripercorrere l’iter faticoso e incerto di questo lungo cammino è forte. Ma, conquistato il traguardo, non avrebbe senso ricordare le difficoltà incontrate prima di centrare l’obbiettivo. Per cui, preferisco riandare all’antica storia di queste terre, che racchiude in sé non solo la magia dei suoi vini, quanto quella – straordinaria e suggestiva – del suo passato e il forte e orgoglioso carattere del suo popolo. In pratica, provo a raccontare a grandi linee il Sannio, un territorio assai radicato nel tessuto della Campania. E questo al solo scopo di rendere più legittimo e convincente il riconoscimento della Falanghina.

territorio Sannio falanghina
Il territorio di Sannio - Falanghina, oggi Capitale Europea del Vino 2019

E qui ricordo a me stesso che non sono uno storico, né un uomo del Sud (pur amandolo profondamente), ma che di contro l’affermazione del Sannio e del suo principale vino meritano questa mia “divagazione”. La natura dei luoghi in Campania non è meno sconcertante delle vicende che ne hanno segnato la storia. In un’Italia da sempre fatta di staterelli, privi di spazi fisici e di rilevanza politica. Napoli è la sola realtà a rappresentare per circa mille anni un grande regno. Una lunga vicenda che non è estranea alla coltivazione della vite, da ricondurre ad una decina di secoli a.C., con la prima colonia di Greci.

I soliti Greci, verrebbe da dire. Quelli che hanno aperto la via alla storia del pensiero, alla poesia epica, all’architettura, al teatro, alla scultura, alla mitologia, fino al vino. Perché è da loro che ha origine l’avventura dei grandi vini, non solo in Campania ma in tutto il Sud. Certo, la ricca varietà di viti, spesso geneticamente vicine, ha determinato nel corso dei secoli una situazione piuttosto confusa. La quale è emersa in tutta la sua sconcertante anarchia nel momento in cui si è dato l’avvio a una prima, seria indagine ampelografica nel momento in cui la scienza ha fatto ingresso nella vitivinicoltura.

Eppure, non è la prima volta che i vitigni della Campania vengono studiati e descritti. Già nell’antica Roma si poteva contare su un primo censimento. La Vitis Hellenica, l’Aminea Gemina, la Vitis Apiana, le uve Alopecie, costituiscono il tentativo di dare non solo un’identità a queste uve, ma di esaltarne le differenti caratteristiche. È possibile un inventario di questo lontano patrimonio viticolo? In teoria sì, sempre che si tenga conto, a fianco all’espansione e alla fama di alcuni vitigni (Aglianico, Piedirosso, Fiano, Greco, Falanghina, Asprinio, Biancolella), delle tante perdite, dovute a varie cause.

Sannio falanghina vitigno
Vigneto di Falanghina nel territorio divenuto Capitale Europea del Vino 2019

Ne consegue che un discorso su un vino della Campania - come la Falanghina – non può che muovere dalla sua particolare geografia, o meglio dalla trasversalità del suo territorio che annulla qualunque distinzione fra pianura, collina e montagna, e alimenta una sorta di contaminazione che non è estranea alla diversa presenza delle viti e alle loro fortune. Questo a non considerare fenomeni come il vulcanesimo e il bradisismo, che hanno da sempre interessato il territorio.

Un territorio, quello del Sannio, che racchiude in sé un campionario di vallate, dorsali, massicci montuosi, boschi e corsi d’acqua, in uno scenario di forte suggestione, che a nord sconfina in Puglia e a sud in Basilicata. Una realtà - almeno dal punto di vista della viticoltura - che ha del miracoloso. I terreni sono ricchi di materiale vulcanico, che in molte zone costituisce l’intero spessore dello strato coltivabile, a sua volta ricco d’argilla e di potassio. Due elementi tra i più felici per la coltivazione della vite.

L’asse del Sannio e la sua eredità storica è comune ai maggiori vitigni del Sud. Dai greci ai romani. E il territorio è quello collinare, adiacente o prospiciente i massicci del Taburno e di Camposauro, lungo il tracciato dell’antica Caudium. La grande viticoltura del Sannio beneventano, nasce qui.

Uva falanghina
Uva Falanghina

Una nota a sé merita la Falanghina, della quale si registrano – per consolidata tradizione - due varietà: quella originaria dei Campi Flegrei e quella cosiddetta di “tipo beneventano”. Il nome pare derivi da phalangae, i pali di legno intorno ai quali cresceva la vite, un sistema ancora diffuso nell’area di Pozzuoli.

I migliori esiti della Falanghina vanno ricercati nel trattamento in purezza, che rappresenta il solo termine di confronto fra il vino flegreo e quello del Sannio. La prima sostanziale diversità è data dall’habitat del vitigno, che - nell’area compresa da Pozzuoli a Formia, lungo il tracciato della Domiziana - gode dell’azione iodica e salmastra del mare. Una componente che manca alla Falanghina del Sannio, la quale resta invece fortemente favorita dalla natura e dalla esposizione dei terreni.

D’altra parte, il rilievo che in passato ha avuto questo vitigno su entrambi i fronti quelli Fregreo e del Sannio, trova riscontro anche nel fatto che l’uva sannita risulta da sempre registrata fra le varietà del Reale Orto Botanico di Napoli, e vanta un ampio corteo di indagini sulle sue particolari potenzialità. Le mie frequentazioni in terra campana e l’amicizia che mi lega da anni a tanti personaggi che amano questa terra e la sua storia hanno rappresentato per me una sorgente inesauribile di notizie e particolari fondamentali per ripercorrere la storia dei vitigni campani specialmente della Falanghina

Ma dove veniva consumata (e soprattutto commercializzata) la Falanghina, fra i vini più richiesti, dopo il celebrato Falerno? La piazza è Pompei. E qui lo stretto legame con il Vesuvio viene incontro ad ogni passo. L’eruzione del ’79 d.C. non cancella l’impianto della città e delle sue botteghe. Pompei è il più grosso e attivo mercato vinicolo del Mediterraneo. Popolata di tabernae (oltre duecento), cauponae, lupanari, conta numerose ville fuori le mura e case urbane di grande fascino. Chi produce o commercia vino, ne trae notevoli guadagni. Si pensi che delle trentuno ville, portate alla luce alla periferia di Pompei, ben ventinove appartengono a famiglie che operavano nel settore vinicolo. Allora il mare bagnava Pompei, e nel fervore che animava il porto avrà di certo fatto spicco la figura di Caedicia Vietrix, donna leader nel commercio del vino, come dimostra la presenza della sua sigla su molti vasi, fra quelli rinvenuti lungo le coste del Mediterraneo.

vigneti Sannio falanghina
Vigneti di Falanghina nel territorio del Sannio - Falanghina

Ma come veniva trattata la Falanghina? Difficile a dirsi. Perché di certo esposta a tutti quegli ingredienti utilizzati per garantire la sua sopravvivenza. E qui il miele, le resine, l’acqua di mare sono variamente protagoniste. Poi, anche questo vino utilizzato soprattutto per tagli e venduto sempre sfuso, trova la sua identità e un preciso segmento di mercato.

Sicuramente anche nell’antichità il carattere fragrante, vivo e minerale hanno fatto della Falanghina uno dei vini preferiti. La crescente e recente affermazione dei vini del Sannio, va ricondotta ad alcuni protagonisti che – senza tradire la storia e la sapienza di chi ha prodotto vino per secoli - hanno saputo camminare con i tempi. Un percorso non facile, favorito spesso da quel ricambio generazionale, che ha fatto proprie le conquiste della più avanzata enologia.

Onore al merito allora a quei produttori privati o associati alle due grandi cooperative Guardiense e Solopaca magistralmente guidate dai rispettivi Presidenti Domizio Pigna e Carmine Coletto, che insieme a tanti enologi hanno saputo dare valore materiale e immateriale alla Falanghina del Sannio.

Altresì la fraterna e convinta partecipazione dei cinque sindaci che qui voglio ricordare - Carmine alentino (Sant’Agata dei Goti); Erasmo Cutillo (Torrecuso); Pompilio Forgione (Solopaca); Floriano Panza (Guardia Sanframondi); Mario Scetta (Castelvenere) - non ha mancato di rendere onore a tanta storia.

di Riccardo Cotarella

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