La Falanghina
Di Assoenologi con la collaborazione di Attilio Scienza, Roberto Miravalle e Roberto Di Meo
L’origine della Falanghina, al pari delle grandi varietà del Mediterraneo, sembra risalire agli albori della coltivazione della vite. Il poeta napoletano G. Cesare Cortese (1570-1640) cita la Falanghina nel suo Micco Passaro : “A la casa porzì l’era mannata / La falanghina da lo tavernaro / Pane de puccia da lo panettiero / Che senza spesa stea da Cavaliero”; poi nel Viaggio di Parnaso: “Vide da na Lattuca mortarella / Scire la Falanghina de Pezzulo”; e: “Scorre da na fontana Moscariello, / Da n’autra Mangiaguerra, e Falanghina, / chesta de latte fa no sciummetiello, / Chella de mele corre a la marina”.
Un altro letterato campano, G. B. Basile (1575-1632), elencando i vini che si servono nella celebre osteria napoletana del Cerriglio, scrive: “la Falanghina iusto ‘na falanga / perché scorra la varca a la marina”.
Molto più tardi, un frate francescano, padre Nicola Onorati, detto Columella per la sua vastissima conoscenza delle scienze naturali e dell’agricoltura, nella sua opera “Delle cose rustiche”, cita la Falanghina (1804).
L’ampelografo lombardo Giuseppe Acerbi l’annovera tra i vitigni coltivati sulla collina dei Camaldoli e nei Campi Flegrei (1825). Federico Corrado Denhart, nel 1829, ne dà una buona descrizione ampelografica inserendo la “Falanchina” nell’elenco del Real Orto Botanico di Napoli.
Più tardi Vincenzo Semmola la descrive: “Fiorisce ai principi di giugno, presto sfiora e manda via la corolla. Grappolo di mezzana grandezza, allungato, poco ramoso, raro. Bacca quasi rotonda, picciola, di un bel gialletto, ed a perfetta maturità più si colora; sugosa, molto dolce. Molto e costantemente fruttifero. Fa buon vino” (1848).
Il Di Rovasenda - 1877 - elenca una “Falachina bastarda” a Napoli ed un “Falerno” o Coda di volpe bianca sempre in provincia di Napoli.
D. Carusi, nel 1879, pubblica sul "Bullettino Ampelografico del Ministero Agricoltura, Industria e Commercio", il saggio: “Viti coltivate nella provincia di Benevento” e, tra le varietà, annovera una “Falanchina” o “Montecalvo”, dove il termine “Montecalvo” potrebbe indicare due località, prossime rispettivamente ad Ariano Irpino (AV) e Gioia del Colle (BA).
Una delle fonti documentali più importanti per la storia dell’ampelografia irpina risale al 1875, quando il Prof. Giuseppe Frojo, componente del Comitato Centrale Ampelografico per conto del Ministero Agricoltura e Foreste, pubblica la sua “Relazione intorno agli studi ampelografici del Principato Citeriore e del Principato Ulteriore”, include la “Biancazita” o “Falenghina” nell’elenco dei vitigni della provincia di Napoli.
Guglielmo Gasparrini, direttore dell’Orto Botanico di Napoli, la inserisce nel Catalogo dei nomi dei vitigni della provincia di Avellino (1883) identificandola erroneamente con il Trebbiano fiorentino.
Il prof. Serao della Cattedra Ambulante di Agricoltura di Napoli, sosteneva che “si potranno ottenere migliori risultati se si impiegheranno, nei nuovi impianti, vitigni di merito come la Falanghina, molto diffusa nelle zone di Pozzuoli e nell’isola di Procida”.
M. Carlucci, nella sua monografia per l’“Ampélographie” di Viala e Vermorel, afferma che la varietà è diffusa a Napoli e Terra di Lavoro (1909).
Più recentemente il vitigno è descritto da S. Bordignon: "Falanghina", in Principali vitigni da vino coltivati in Italia – Volume IV, 1965.
La Falanghina e l'origine del nome
Vincenzo Semmola, ampelografico della metà dell’Ottocento, ne indica la derivazione dal termine greco falangos e da quello latino di phalange, dal significato di “legata al palo” per i sostegni a cui venivano legate le uve nelle campagne del Monte Somma, di Posillipo, Camaldoli e dei Campi Flegrei. Ipotesi supportata anche da prof. Giuseppe Murolo che indicò questa forma di allevamento la linea di confine tra la viticoltura greca e quella latina. Il termine falanga si riferisce anche alla lunga lancia usata dai romani per armare la testuggine ed è espressione della viticoltura etrusca.
La genetica della Falanghina
Come molte altre varietà del Sud Italia si afferma che la Falanghina è stata importata dalla Grecia, un paio di millenni fa.
Tuttavia, questa ipotesi è lontana dall’essere confermata. Il genetista Vouillamoz ha stabilito che non ci sono legami con le varietà greche attuali.
Anche la “sinonimia” col Falerno, il celebre vino campano dell’epoca romana, è lontano dall’essere provata. A quei tempi non c’era il concetto di varietà, la vite veniva moltiplicata spesso per seme, inoltre Falerno corrispondeva ad una zona di produzione (Ager Falernum) dove probabilmente erano coltivate diversi tipi di bianca.
Nel 2005, uno studio estensivo condotto dall’ Istituto Agrario di San Michele all’Adige, Laboratorio di Genetica Molecolare, San Michele all’Adige (TN), unitamente al Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia Vegetale, della Facoltà di Agraria di Portici sulle relazioni genetiche tra le varietà campane hanno evidenziato:
a) Falanghina Campi Flegrei e Falanghina Pigna Piccola sono sinonimie (quindi è la stessa varietà).
b) Falanghina beneventana e Falanghina Campi Flegrei / Falanghina pigna piccola - sono invece “omonimie”, cioè varietà diverse che condividono il nome comune.
Quindi, a conferma anche delle osservazioni ampelografiche di Boselli e al. (2000), oggi sappiamo che ci sono due Falanghine geneticamente distinte: Falanghina Flegrea e Falanghina beneventana. La complessità del gruppo è probabilmente molto più ampia. Il Prof. Froio indicava una Falanghina bianca e una Falanghina bastarda. Bordignon nominava quest’ultima “Falanghina mascolina o Falanghina piccola”.
La Falanghina coltivata in provincia di Caserta appare ancora diversa e benché finora non ci siano conferme da analisi genetiche, fa supporre la possibilità che ci sia una terza Falanghina. Di sicuro la variabilità intravarietale è molto alta, anche nell’ambito più definito delle due identità genetiche: Falanghina dei Campi Flegrei e Falanghina beneventana.
Falanghina Flegrea
Come già accennato la variabilità intravarietale non permette una descrizione univoca e probante, perché le diversità morfologiche rimangono elevate anche all’interno delle due Falanghine.
La F. Flegrea di norma presente un germoglio con apice espanso, cotonoso, con foglioline apicali a coppa. Le foglie basali come il picciolo sono lanuginose di color verde pallido.
Il tralcio erbaceo è privo di lenticelle, a sezione circolare con contorno liscio, tomento aracnoide specialmente verso l'apice, colorazione rossa nella parte rivolta al sole.
Viticci: bifidi, lunghi e sottili, distribuzione intermittente.
La foglia adulta è cuneiforme, raramente orbicolare, grandezza media o piccola, trilobata e meno spesso pentalobata con seni laterali profondi, a lira chiusa con bordi sovrapposti, appena accennati i seni laterali inferiori; seno peziolare a lira o ad U; superficie del lembo ondulata; pagina superiore glabra, lanuginosa quella inferiore specialmente verso il margine fogliare; nervature verdi con striature rosse tanto nella pagina superiore quanto in quella inferiore.
Picciolo: corto, di media grossezza, glabro, sezione trasversale con canale poco evidente. Colorazione autunnale della foglia: giallastra.
Grappolo a maturità industriale: lungo o medio (18-24 cm) di media grossezza, mediamente compatto, più spesso spargolo, cilindrico, qualche volta conico per la presenza di una corta ala, peduncolo corto e poco visibile, erbaceo tendente alla lignificazione verso l'attacco con il maturare dell'uva.
Acino: medio, sferoide, regolare, sezione trasversale circolare, ombelico persistente poco evidente, buccia pruinosa, di color grigio-giallastro distribuito regolarmente, spessa e consistente; succo incolore, giustamente acido, polpa appena croccante, di sapore neutro o quasi (leggero sapore di ginestra); pedicello piuttosto lungo e sottile, di colore verde, cercine poco evidente, verde; pennello corto e giallastro;
Vinaccioli: in numero di 2 o 3 per acino, piriformi, piuttosto grossi. Tralcio legnoso: di media lunghezza, piuttosto debole e fragile, poco ramificato, provvisto di lenticelle, sezione trasversale circolare, liscia; nodi sporgenti, glabri, di color marrone scuro; meritalli di lunghezza media (12-15 cm), glabri, di color marrone chiaro; gemme coniche e grosse.
Tronco: di media o buona vigoria. Germogliamento e fioritura: precoce; invaiatura: media.
Maturazione dell'uva: II epoca. Caduta delle foglie: tardiva.
Caratteristiche e attitudini colturali della Falanghina Flegrea
I Campi Flegrei sono una vasta area di origine vulcanica situata a nord-ovest della città di Napoli. Si tratta di una zona dalla struttura singolare: non un vulcano dalla forma tronco-conica ma una vasta depressione o “caldera”.
Le caratteristiche dell’area sono strettamente connesse alla sua natura vulcanica: due grandi eruzioni hanno determinato la sua formazione geologica. Quelle dell’Ignimbrite Campana (39.000 anni fa) e quella del Tufo Giallo Napoletano (15.000 anni fa).
Tufi gialli (detti appunto “napoletani”), ceneri, lapilli e pomici compongono il substrato sul quale oggi crescono vigne generalmente posizionate ad altitudini comprese tra i 50 e i 200 metri. La viticoltura dell’area flegrea è quasi esclusivamente “franca di piede”.
Costituisce infatti motivo di grande interesse produttivo una significativa superficie di vigneti dove sussistono piante centenarie non innestate, ancora su piede franco, che hanno cioè resistito alla fillossera grazie alla tessitura franco-sabbiosa dei suoli.
I suoli appunto hanno forma piroclastica, legata alle ultime eruzioni flegree comprese tra 5.000 e 3.500 anni fa. Hanno una struttura litologica stratificata generalmente a reazione neutra (pH 6,8) o subacida (pH 6,0) con importanti dotazioni in potassio, anidride fosforica e ossido di calcio.
L’area di produzione della D.O.C. Campi Flegrei si sviluppa su 7 comuni: l’intero territorio di Procida, Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Quarto, e parte di Marano di Napoli e Napoli. E’ una striscia di terra densamente abitata che taglia in diagonale dalla piana di Terra di Lavoro (a nord-est) fino al promontorio di Bacoli (a sud-ovest), rispetto al quale l’isola di Procida può essere considerata propaggine, e da cui si risale verso attraverso il litorale domizio-tirrenico. Il disciplinare prevede per la D.O.C. 8 tipologie, tra le quali une delle più significative è la Falanghina Campi Flegrei con una percentuale minima di Falanghina del 90%.
L’origine del nome “Falanghina” ha probabilmente un’antica derivazione romano-balcanica, dal latino phalanx, e cioè il palo a cui erano sostenute le viti, sistema che ancora oggi si incontra negli impianti più vecchi. Vigneti in cui la vite, che ha un portamento molto espanso cresce fino anche a due metri di altezza tutorata ad un palo di castagno (sistema noto in zona come “Spalatrone”).
Negli ultimi 15 anni il vigneto flegreo è stato oggetto di un forte rinnovamento nei sesti d’impianto e nelle forme di allevamento. Infatti alle forme di coltivazione tradizionali si affiancano impianti razionali, generalmente guyot (monolaterale e bilaterale), tesi all’ottenimento di risultati qualitativi superiori attraverso un migliore equilibrio vegeto-produttivo.
La Falanghina Beneventana
Considerata fino a poco tempo fa, una sorta di biotipo, è stata portata agli onori della cronaca e al successo grazie all’impegno di una famiglia di S. Agata dei Goti, guidata dall’ing. Leonardo Mustilli. Vinificando la Falanghina in purezza con ottimi risultati, hanno gettato le basi del successo odierno.
La Falanghina beneventana si distingue per: grappolo è conico piramidale (la F. Flegrea ha il grappolo cilindrico); la foglia adulta è pentagonale, orbicolare, trilobata. Lembo: a gronda, contorto, a media bollosità.
Il peso del grappolo è medio, peso medio bacca: basso. Tenore in zuccheri del mosto: medio/alto mentre l’acidità totale del mosto è media o elevata.
È un vitigno molto vigoroso, tradizionalmente allevato con potature lunghe e ricche, di non elevata fertilità delle gemme e di buona produzione. Presenta una sufficiente affinità con i più diffusi genotipi portinnesti ma con risultati variabili nell’assorbimento minerale, in particolare del magnesio se innestato su SO4.
Mostra una sufficiente resistenza al marciume, nonostante l’epoca di raccolta cada tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre. In relazione all’ambiente di coltivazione, il tenore zuccherino può raggiungere livelli elevati mentre l’acidità titolabile si mantiene su livelli medio-alti alla raccolta.
Il clima della Falanghina Beneventana
Il clima della Campania è classificato di tipo mediterraneo, da oceanico a suboceanico.
Si rileva, comunque, un’elevata gamma di microclimi con notevoli differenze tra le zone costiere e le aree più interne, che presentano generalmente un clima invernale molto più umido e rigido, anche per l’influenza di catene montuose, spesso elevate.
I suoli della Falanghina Beneventana
Si fa riferimento cuore della Falanghina, il Sannio. Dal punto di vista litologico le formazioni sulle quali si sviluppano i suoli sono sedimenti carbonatici mesozoico-terziari, o sedimenti terrigeni terziari, sedimenti clastici e piroclastici quaternari. I sedimenti carbonatici sono dolomie, calcari dolomitici e calcari.
I sedimenti terrigeni sono costituiti da arenarie e da argille varicolori scagliose e si rinvengono affioranti su entrambi i versanti orientale e occidentale del Massico. Le coltri argillose sono costituite da argille rosso mattone, verdi e grigie. Costituiscono i materiali di maggior interesse per il loro contributo alla pedogenesi, in concorso con i sedimenti clastici e piroclastici quaternari che ammantano quasi tutti i rilievi, colmano le depressioni e sono intimamente misti al substrato pedogenetico.
I suoli dell’area sono i tipici Regosuoli. Il substrato predominate è costituito da rocce tenere arenarie, argille, calcareniti. L’orizzonte superficiale lavorato è generalmente poco profondo. Immediatamente sottostante è spesso presente un orizzonte a drenaggio lento, che costituisce la principale limitazione d’uso nel comprensorio.
Prevalgono i costituenti di dimensioni sottili (inferire a 0,02 mm) e quindi con buona capacità di campo per l’acqua e buona capacità di scambio cationico. Il carbonato di calcio è un costituente normalmente presente, anche in forma finemente diffusa o in forma di noduli di precipitazione. I terreni non risultano particolarmente ricchi di composti azotati ed organici, che possono essere integrati con le normali pratiche di fertilizzazione.
Sottozona Guardia Sanframondi o Guardiolo (ex Guardia Sanframondi o Guardiolo Doc)
La sottozona Guardia Sanframondi (o Guardiolo) si colloca nel quadrante ovestnord-ovest della provincia di Benevento, in un’area che fa da collegamento naturale tra la piana telesina (a sud-ovest) e l’Alto Sannio che si rannoda alle montagne molisane.
Prevalgono qui pendii lievi, collocati tra i 100 e i 300 metri di altitudine, caratterizzati da terreni argillosi misti a suoli di natura alluvionale, con componenti sabbiose e limose.
La sottozona Solopaca si colloca nel quadrante nord-ovest della provincia di Benevento, principalmente sulle dolci colline della Valle Telesina, fino ai confini con la provincia di Caserta. L’area si sovrappone parzialmente a quella della sottozona Guardia Sanframondi, sviluppandosi su 12 comuni: l’intero territorio di Solopaca, Castelvenere, Guardia Sanframondi, San Lorenzo Maggiore e parte dei comuni di Cerreto Sannita, Faicchio, Frasso Telesino, Melizzano, San Lorenzello, San Salvatore Telesino, Telese e Vitulano.
La sottozona Solopaca Classico, invece, fa riferimento al solo comune di Solopaca e segue un suo distinto disciplinare produttivo. Qui prevale una viticoltura intensiva, agevolata da pendenze morbide e da un clima tendenzialmente più caldo rispetto ad altre sotto-aree, con altitudini stabilmente inferiori ai 200 metri e terreni fertili, di origine alluvionale, con componenti sabbiose e limose che si alternano a giaciture argillose.
La sottozona Sant’Agata dei Goti si colloca nel quadrante sud-ovest della provincia di Benevento, in un’area di confine tra la Valle Telesina, il versante caudino del Taburno e l’imbocco della Valle di Maddaloni, in provincia di Caserta. Le altitudini sono simili a quelle che caratterizzano le sottozone Guardia Sanframondi e Solopaca, mentre cambiano giaciture ed esposizioni: aumenta la percentuale di argilla e calcare, i siti si fanno sensibilmente più acclivi, gli orientamenti delle colline sono perlopiù verso ovest.
La sottozona Taburno si colloca nel quadrante centro-meridionale della provincia di Benevento, sulle pendici orientali del massiccio montuoso di origine calcarea Taburno-Camposauro. La zona più densamente vitata è quella che si estende nella fascia nord-est, sul versante che guarda a nord-ovest verso la Valle Telesina. E’ influenzata dalla presenza del fiume Calore, con la maggior parte dei siti esposti ad est, caratterizzati da suoli prevalentemente argillosi e calcarei e da altitudini medie intorno ai 400 metri.
Sensibilmente diverse sono le condizioni pedoclimatiche nel quadrante sud della denominazione, sul versante che guarda verso la Valle Caudina, tra i comuni di Montesarchio e Bonea. E’ una zona più fresca, che ospita una serie di siti ad altitudini superiori ai 500 metri, talvolta a ridosso dei 600, con terreni che si fanno ancora più poveri, maggiormente caratterizzati dalle componenti calcaree.
La coltivazione della Falanghina Beneventana
La viticoltura sannita è stata oggetto di un forte processo di ammodernamento. Sesti d’impianto, forme di allevamento e sistemi di potatura, e tecniche di coltivazione da adottare nei nuovi impianti sono stati orientati verso criteri qualitativi.
Il tendone, forma di allevamento adottata in passato nella quasi totalità dei vigneti, con sesti ampi e elevato cariche di gemme per ceppo e per ettaro (100 – 150mila ad ettaro e 28 gemme a ceppo distribuite in 4 “archetti”), capace di indurre produzioni unitarie abbondanti, è stata in gran parte sostituita da forme d'allevamento a ridotto sviluppo per un maggior controllo della produttività.
I nuovi impianti e i reimpianti sono stati realizzati in gran parte a spalliera, con prevalenza del Guyot e della cortina pendente; la distanza tra le viti è stata ridotta, scendendo sulla fila al di sotto del metro, con conseguente aumento della densità di impianto, fino a 6000 ceppi per ettaro, con importante riduzione del numero di gemme per ceppo. Il rinnovo degli impianti è stato accompagnato da un ammodernamento e adeguamento delle tecniche di coltivazione, finalizzate al costante controllo della vigoria delle viti mediante una scelta ragionata, del sesto e del portinnesto, della gestione del suolo e delle concimazioni, per mantenere le piante in equilibrio e in situazione di nutrizione ottimale, basandosi sulle indicazioni fornite dalla diagnostica fogliare e dalle analisi fisico-chimiche del terreno e sul comportamento vegeto-produttivo delle piante.
L’irrigazione solitamente non è una pratica usata nella provincia di Benevento. Può essere adottata solo in casi di soccorso in annate sfavorevoli.
Nell’ultimo ventennio la coltivazione della Falanghina beneventana è stata estesa anche alle altre province della Campania, sviluppando con successo la produzione di vini di qualità nel casertano, nell’area del Vesuvio e soprattutto in provincia di Avellino con la DOC Irpinia Falanghina.
Negli anni più recenti si sta assistendo ad una diffusione importante del vitigno in provincia di Avellino. Qui i terreni sono per lo più di matrice argillosa, ben dotati di calcare, talvolta ricchi di ceneri vulcaniche, di carbonati e di elementi minerali. Tali prerogative si combinano con le condizioni climatiche continentali dell’entroterra campano, contrassegnate da buona piovosità (almeno 700-800 mm/anno), temperature medie più basse e significative escursioni termiche soprattutto in alta collina, dove viene coltivata fino a oltre 600 m. di altitudine.
La Falanghina, i cloni iscritti al Registro
Sono quattro i cloni disponibili che rispondono al nome “generico” di Falanghina. Il primo, del 2004 è il VCR 2 proveniente dal Beneventano ha grappolo conico piramidale. Seguito nel 2007 dal VCR 449 con simili caratteri morfologici. L’Ampelos EVA1 è dichiarato dal costitutore “biotipo beneventano”.
Il Falanghina VITIS 17, ha pure origini beneventane, grappolo piramidale, frequentemente alato, proprio della F. beneventana. Attualmente la F. Flegrea non ha cloni disponibili.
Nel 2018 sono state riprodotte circa 450.000 barbatelle “standard” e 630.000 barbatelle certificate.
I vini della Falanghina
La Falanghina (le Falanghine) sono la base dei vini a Denominazione di Origine Controllata
Campi Flegrei, Capri, Costa d'Amalfi, Falanghina del Sannio, Falerno del Massico, Galluccio, Irpinia, Molise o del Molise, Penisola Sorrentina, San Severo, Terre Tollesi o Tullum, Vesuvio, Pentro di Isernia o Pentro.
Il nome “Falanghina compare sulle etichette di molti Igt, quali: Allerona*, Barbagia*, Basilicata*, Benevento o Beneventano*, Bettona*, Campania*, Cannara*, Civitella d'Agliano, Colli Aprutini*, Colli Cimini*, Colli del Limbara*, Colli del Sangro*, Colli di Salerno*, Colline Frentane*, Colline Pescaresi*, Colline Teatine*, Daunia*, Del Vastese o Histonium*, Isola dei Nuraghi*, Lazio*, Marmilla*, Murgia*, Narni*, Nurra*, Ogliastra*, Osco o Terre degli Osci*, Paestum, Parteolla*, Planargia*, Pompeiano*, Provincia di Nuoro*, Puglia*, Roccamonfina*, Romangia*, Rotae*, Salento*, Sibiola*, Spello*, Tarantino* Terre del Volturno*, Terre di Chieti*, Tharros*, Trexenta, Umbria*, Valle d'Itria*, Valle del Tirso*.
Partecipa inoltre alla formazione di altri vini a indicazione geografica quali: Dugenta, Epomeo, Frusinate o del Frusinate, Terre Aquilane o Terre de l'Aquila, Valli di Porto Pino.
* è ammessa la menzione di questa varietà in etichetta.
Aspetti enologici
La Falanghina è classificata come vitigno di seconda epoca, in quanto la raccolta è più tardiva e si concentra di solito nella seconda metà di settembre, ma può essere anticipata all’inizio di settembre nelle annate più calde ed asciutte oppure essere posticipata alla prima metà di ottobre nelle vendemmie più tardive.
Quando l’uva Falanghina raggiunge la maturazione, presenta un’acidità fissa abbastanza sostenuta, anche se l’elevata quota di potassio riscontrabile, influenza l’equilibrio acido del mosto salificando. Sia la tipologia Campi Flegrei, sia la tipologia beneventana per tale prerogativa sono considerati molto versatili nella vinificazione: vengono utilizzate con successo nella produzione di vini spumanti, vini passiti e vini fermi sia freschi e giovani, sia più strutturati e da vendemmia tardiva.
Particolarmente interessante è la spumantizzazione delle uve di Falanghina che grazie ad una combinazione di fattori, quali: terreni argillosi, ben dotati di calcare e freschi ma anche terreni ricchi in minerali per la presenza di ceneri vulcaniche; temperature medie non troppo elevate, significative escursioni termiche, adeguata piovosità, possono essere particolarmente adatte alla produzione di vini spumanti ottenuti sia col metodo Martinotti, che col metodo classico. I vini della categoria spumante di qualità metodo classico, associati o meno al riferimento ad una delle quattro sottozone, devono permanere su lieviti di fermentazione per almeno 12 mesi a decorrere dal 15 novembre dell’anno di produzione delle uve.
La vinificazione
La vinificazione prevede generalmente l’utilizzo di protocolli classici con pressature molto soffici mediante presse pneumatiche orizzontali, decantazione statica a freddo del mosto. Fermentazione alcolica in acciaio alla temperatura di 15-18°C e affinamento sulle fecce fini dopo il primo travaso.
Buoni risultati si ottengono con una breve crio-macerazione delle uve diraspate, in quanto va ad arricchire la complessità aromatica del vino finito, seppur incrementando l’intensità cromatica del mosto.
Profilo sensoriale della Falanghina
Il vino Falanghina dei Campi Flegrei presenta in genere un colore giallo paglierino con riflessi verdognoli.
La varietà non è caratterizzata da aromi primari, e cioè da profumi riconducibili direttamente al vitigno.
All’aroma di un vino Falanghina giovane contribuiscono sentori agrumati e di frutta a polpa bianca (mela golden, pesca), note floreali (biancospino) e balsamiche (salvia, menta) che si sviluppano nel orso dell’attività fermentativa.
Al palato risulta fresco e sapido. Persistenti le sensazioni sulfuree e minerali. Il carattere aromatico della Falanghina dei Campi Flegrei, considerata anche la buona acidità di questo vino, nel corso dell’invecchiamento si modifica positivamente. Le note di fruttato-fresco, in particolare, si attenuano a favore di un quadro organolettico più complesso con sentori di frutta a polpa gialla più matura, gradevoli note di miele, e lieve fumè. Al palato l’acidità rimane persistente e mantiene piacevole il sorso.
Il vino Falanghina ottenuto dalla varietà beneventana presenta un colore giallo paglierino con riflessi verdognoli in gioventù. Il profumo è fine molto intenso e persistente, dominato da note fruttate, di mela, agrumi, pesca e frutti esotici, note floreali di ginestra, biancospino. Al gusto è un vino piacevole e fresco, con acidità sostenuta e buona persistenza. In alcune versioni, soprattutto in Irpinia raggiunge un buon livello di densità e struttura con maggiore persistenza delle sensazioni.
La Falanghina è ottima come aperitivo. La versione ferma si sposa con la cucina mediterranea e viene servita con antipasti, riso o pasta con frutti di mare. Giusto l’abbinamento con pesce grigliato o fritto, crostacei ma anche carni bianche. Tra i formaggi, sono da scegliere quelli a pasta molle o caprini giovani; ma anche minestre di legumi o zuppe con funghi per le versioni che hanno invece più di qualche anno in bottiglia. Le vendemmie tardive ampliano le possibilità di abbinamento anche con formaggi più stagionati, e nella versione passito sono particolarmente indicate su dolci a pasta lievitata con crema gialla e sulle crostate di frutta.
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