Luigi Moio ai vertici dell'OIV
Professore ordinario di Enologia presso il Dipartimento di Agraria dell’Università degli studi di Napoli Federico II, Luigi Moio è responsabile, nello stesso Ateneo, della sezione di Scienza della Vigna e del Vino. Autore di oltre 250 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali, si occupa da circa 30 anni degli aspetti sensoriali, biochimici e tecnologici dell’aroma del vino.
Nell’OIV entra nel 1998, come esperto scientifico, nella delegazione italiana del Ministero per le Politiche agricole. Dal 2009 al 2015, presiede il gruppo di esperti di tecnologia, e dal 2015 al 2018 presiede la commissione di enologia. Dal 5 aprile 2019, è vicepresidente del Comitato scientifico e vicepresidente dell’OIV. Accademico dei Georgofili e dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, è Chevalier de l’Ordre du Mérit Agricol de la République Française, ma è anche un produttore: nel 2001, in Irpinia, insieme alla moglie Laura, fonda l’azienda Quintodecimo con cui produce le DOCG Taurasi, Fiano di Avellino e Greco di Tufo.
Autore anche di libri di divulgazione scientifica, il suo libro “Il Respiro del Vino” (Mondadori, 2016) è giunto all’undicesima edizione e sta per uscire in Francia.
D: "Luigi, sei stato recentemente eletto vicepresidente dell’OIV, in cui sei entrato nel 1998 e in cui hai ricoperto importanti incarichi. Quali sono stati i temi cardine su cui hai lavorato nel passato e quali quelli del futuro?"
R: "Tutto ciò che viene portato avanti dall’OIV, quale punto di riferimento tecnico scientifico del mondo vitivinicolo internazionale, è in sintonia con i tempi, ovvero corrisponde a specifiche esigenze di quel momento. A livello di Commissione Enologia, in venti anni abbiamo portato a termine più di duecento risoluzioni, tutte frutto di un grande lavoro di sperimentazione e confronto.
All’inizio della mia presidenza del Gruppo di esperti di tecnologia, ad esempio, uno dei temi più sentiti sul tavolo della discussione era l’eccessivo grado alcolico dei vini. Così, negli anni 2009/2011, abbiamo condotto nel mio istituto diverse sperimentazioni sulla dealcolizzazione del vino dimostrando che l’eliminazione dell’alcol fino al 20% può essere assimilata ad un intervento “correttivo” in quanto non modifica significativamente il profilo sensoriale del vino sia a livello olfattivo che gustativo. Gli stessi risultati sono stati ottenuti anche da diversi altri gruppi di ricerca nel mondo. Ciò ci ha consentito di portare avanti una risoluzione sulla riduzione dell’alcol fino al 20%, come pratica “correttiva”, e al di spora di questa soglia, una seconda risoluzione ad hoc per i vini dealcolizzati. Tali argomentazioni hanno suscitato ovviamente tante discussioni tra i Paesi membri, soprattutto nella contrapposizione tra il Vecchio e del Nuovo Mondo, ma poi dopo un lungo confronto si è giunti al consenso unanime con l’approvazione di entrambe le risoluzioni.
Subito dopo, una grande attività è stata rivolta agli allergeni, a seguito soprattutto dell’obbligo di riportali in etichetta. Si trattava di trovare delle valide alternative all’utilizzo delle proteine di origine animale - come l’albumina e la caseina – con proteine di origine vegetale per la chiarifica dei vini. Sono quindi stati avviati diversi studi per individuare prodotti di chiarifica efficaci di origine vegetale. Queste ricerche hanno portato all’individuazione di alcune frazioni proteiche di patata, quale valida soluzione.
Recentemente, con le nuove norme sull’etichettatura, è diventata fondamentale la classificazione delle sostanze utilizzate come “additivi” o come “ausiliari”, stando molto attenti ad un aspetto fondamentale per il futuro, visto che i prodotti che sono ritenuti dal Codex alimentarius degli additivi vengono poi considerati ingredienti e quindi vanno in etichetta. Un problema molto concreto quindi, per risolvere il quale, i gruppi di esperti dell’OIV hanno lavorato alacremente riclassificando tutti i prodotti enologici e distinguendo con accuratezza gli “additivi” dagli “ausiliari”, ovvero prodotti che, una volta utilizzati, non restano nel vino e che quindi non vanno riportati in etichetta. In questo senso nel nuovo Piano Strategico dell’OIV, è previsto un lavoro di revisione di tutte le pratiche enologiche approvate nel passato, eliminando quelle superflue e, di contro, in considerazione soprattutto dei cambiamenti climatici e del rischio di eccessiva maturazione di alcune cultivar di uva, la valutazione di altre funzionali al nuovo scenario mondiale.
Proprio il gruppo di esperti italiani ha poi lavorato per anni sulle strategie per limitate l’utilizzo della SO2 in enologia, a partire dal vigneto fino alla bottiglia. Un argomento questo che mi sta particolarmente a cuore perché le raccomandazioni inerenti le pratiche enologiche date dall’OIV devono essere sempre più orientate verso i principi della sostenibilità, della tutela ambientale e della salute dei consumatori, che sono sempre più attenti alla trasparenza, alla sicurezza ed alla salubrità del vino. Nel Piano strategico che stiamo elaborando per i prossimi cinque anni questo aspetto è basilare ed è previsto un intervento per ridurre, come dicevo prima, molte delle pratiche enologiche che sono state approvate nel passato.
Tutto il discorso attorno al vino, infatti, si sta spostando verso una maggior attenzione sul vigneto e sull’ottenimento di una materia prima ideale al fine di poter ottenere un vino riducendo il più possibile eventuali interventi correttivi. Questo è uno dei temi fondamentale del futuro e su cui si sta lavorando".
D: "In qualità di professore ordinario di enologia, come vedi la formazione dell’enologo in Italia rispetto agli altri Paesi?"
R: "L’esigenza del mondo del lavoro richiede laureati con conoscenze teoriche e capacità professionali sempre più evolute ed avanzate. Proprio con l’obiettivo di portare avanti un’attività meno interventistica e più di pianificazione e di prevenzione, è necessario avere una approfondita conoscenza tecnica e scientifica, sia sotto il profilo viticolo, sia enologico. Una completa e robusta conoscenza di tali aspetti sono presupposti indispensabili per l’ottenimento di vini di grande qualità e rispettosi della naturalità di ciascuna fase dell’intero ciclo di produzione: dall’uva alla bottiglia. Detto questo, credo che, a livello teorico, la qualità dell’insegnamento ex cattedra (cioè con il docente in aula in rapporto diretto con gli studenti) è in genere soddisfacente, in quanto i docenti impegnati nei diversi corsi sono di livello più che buono. Diverso è il discorso se si ragiona sull’esperienza formativa degli studenti. Carenze strutturali, e forse anche di esperienza, rendono non ottimale l’attività di sostegno alla formazione attraverso le esercitazioni pratiche in laboratorio, nella vigna e nella cantina.
Il corso di laurea in viticoltura ed enologia deve fornire una professionalizzazione avanzata attraverso un’attività di esercitazione continua e organizzata che faccia fare e, soprattutto, faccia riflettere sulle conseguenze del fare. Cruciale è, allora, il sostegno della comunità dei produttori, che è la sola che può fornire le risorse e le strutture necessarie per integrare quelle, sempre modeste, dell’Università. Sotto questo punto di vista le vecchie Scuole enologiche erano ottime. Oggi poi, il proliferare dei corsi di laurea in enologia certo non aiuta".
D: "Di fronte alla poca uniformità della formazione dell’Enologo nei diversi Paesi, in particolare in Francia, Germani e anche Spagna, come si è espressa l’OIV?"
R: "È la Commissione Economia che si occupa di questi aspetti, con il compito di armonizzare i programmi di formazione, suggerendo a tutti i Paesi membri in che modo formare l’Enologo. La Raccomandazione 563 del 2016 riguarda proprio questo ambito e contiene indicazioni molto precise e dettagliate per l’elaborazione dei programmi di formazione per Enologi.
Ti leggo le prime righe: “Il programma di formazione per enologi deve assicurare che l’enologo sia in grado di operare efficientemente in qualunque dei cinque ambiti di lavoro definiti dalla risoluzione OIV-ECO 492-2013 (vedi box), che sia all’altezza di gestire gli incarichi ivi descritti e che abbia una conoscenza approfondita e sempre aggiornata di tutte le pratiche che devono svolgersi sotto la sua supervisione”. Un documento fatto molto bene e adeguato al nuovo ruolo dell’Enologo".
D: "Qual è allora il ruolo dell’Enologo moderno e come è cambiata la sua formazione rispetto al passato?"
R: "L’Enologo è un esperto che deve possedere competenze profonde, acquisite mediante una specifica preparazione accademica. Fondamentalmente questa formazione poggia su cinque punti fondamentali:
1. la produzione dell’uva, dall’impianto del vigneto, alla sua gestione (e qui sta l’impegno fondamentale dell’enologo di oggi rispetto al passato);
2. la trasformazione dell’uva;
3. il controllo della produzione;
4. il marketing e la commercializzazione;
5. analisi dei dati e comunicazione.
Sostanzialmente quello che è cambiato rispetto alla formazione del passato è che mentre storicamente la figura dell’Enologo era confinata nell’ambito dei lavori di cantina e in laboratorio, l’Enologo moderno esce dalla cantina e va nei vigneti, dove deve contribuire attivamente a creare i grappoli d’uva idonei ad ottenere il vino che ha in testa. Nella moderna enologia non c’è più separazione tra chi produce uva e chi la trasforma. Il tutto fa parte di un unico progetto rivolto a produrre un vino non solo qualitativamente ottimo, ma anche sostenibile e rispettoso dell’ambiente.
Questo è necessariamente il domani e mai come oggi, in cui le tematiche di rispetto dell’ambiente e di sviluppo sostenibile sono priorità assolute, l’enologo con elevate conoscenze di livello universitario è una figura centrale ed indispensabile per la produzione del vino del futuro.
È per questi motivi che in diversi punti del nuovo Piano Strategico dell’OIV vengono trattati aspetti importanti sulla formazione dell’Enologo, fondamentali per un suo sempre maggior perfezionamento ed un suo adeguamento agli attuali scenari produttivi e di mercato".
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