Il Trebbiano
di Assoenologi con la collaborazione di Attilio Scienza, Roberto Miravalle e Fabio Zenato
Tra i grandi vitigni regionali emerge, per ettari coltivati, il gruppo dei Trebbiani. Trebbiani che si distinguono grazie ad un aggettivo che li caratterizza e ne descrive il colore delle bacche, o il luogo di provenienza, o dove sono maggiormente coltivati. Troviamo quindi Trebbiani verdi, gialli, oppure Trebbiani Toscani, Romagnoli, di Spoleto, di Spagna, ecc. Una estesa analisi sui profili genetici condotta dall’Università di Milano ha rivelato come non esiste un progenitore comune, ma piuttosto ci si riferisce a caratteri morfologici simili.
Origine del nome Trebbiano
L’origine del nome Trebbiano è incerta. Si è già citata l’ipotesi “Tribulanum” di Plinio. Bacci ipotizzò l’origine del nome dal villaggio di Trebiano (La Spezia). Altri Autori suggeriscono la derivazione dal fiume Trebbia del Piacentino.
Molto recentemente (1996) Thomas Hohnerlein-Buchinger nel suo “Per un sublessico vitivinicolo: la storia materiale e linguistica di alcuni nomi di viti e vini italiani” ha sottolineato una forte similarità fonetica con il vocabolo franco drajbo, che significa germoglio vigoroso. Franchi e Longobardi ebbero un ruolo importante nel ricostituire la viticoltura nell’Italia medioevale.
Nel tredicesimo e quattordicesimo secolo i vini Trebbiano erano considerati “di lusso”. Questo aspetto può spiegare perché il nome Trebbiano era attribuito a così tante e diverse varietà.
La genetica
Una estesa analisi sui profili genetici condotta dall’Università di Milano ha rivelato come non esiste un progenitore comune, ma piuttosto ci si riferisce a certi caratteri morfologici simili.
Gli studi di Labra (con Winfield, Ghiani, Grassi, Sala, Scienza e Failla) descrivono i tratti morfologici comuni, quali: bacca bianca (non esistono Trebbiani a bacca colorata), tralci vigorosi, maturazione tardiva, grande adattabilità ambientale. Però non hanno parentela in comune.
Il dendrogramma della ricerca di base ha messo a confronto i diversi Trebbiani con vitigni simili, ove si conferma una certa distanza genetica. Fanno eccezione il Trebbiano Spoletino e il Trebbiano abruzzese che appaiono imparentati tra loro.
Il dendrogramma evidenzia inoltre che Trebbiano di Soave, Trebbiano di Lugana e Verdicchio hanno una identità genetica condivisa al 99% nel primo caso ed al 97% tra Verdicchio e Trebbiano di Lugana.
La coltivazione
I Trebbiani rappresentano il gruppo varietale più coltivato, subito dopo il Sangiovese. Un aggiornamento dell’UIV del 2015 ne conferma il ruolo, pur evidenziando la caduta motivata da un paio di aspetti guida: il ridursi generalizzato del “vigneto Italia” e lo spostamento molto rapido verso varietà di recente successo, quali Glera (dagli 8144 ettari del 2000 ai 26571 del 2015) e Pinot grigio (dai 6668 ettari del 2000 ai 24.501 del 2015). Seppur in tendenza negativa, i Trebbiani rimangono sempre il secondo gruppo coltivato.
In questo gruppo sono compresi Trebbiani che non si sono rivelati tali, ma risultano sinonimi di Verdicchio. (Trebbiano di Soave ed il Trebbiano di Lugana). Tuttavia, questi sono iscritti al Registro nazionale come tali, riportando ancora le descrizioni originali di Cosmo e Polsinelli del 1965. Quindi in termini normativi le dizioni “Trebbiano di Soave” e “Trebbiano di Lugana” sono ancora corrette, quali sinonimi accertati di Verdicchio, nonostante siano state accertate negli anni una significativa diversità fenotipica e alcune diversità genetiche.
di Assoenologi con la collaborazione di Attilio Scienza, Roberto Miravalle e Fabio Zenato
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