Il Grillo: non più solo Marsala
Di Assoenologi con la collaborazione Di Attilio Scienza, Roberto Miravalle, Giancarlo Moretti E Lorenza Scianna
Sembrava inverosimile quando Pastena (1976) scriveva “Ad ogni modo il Grillo è ormai da considerare il grande vitigno per la produzione del Marsala, ma non è da credere che con esso, con adatta vinificazione, non si possano ottenere vini da pasto perfino di grande finezza; questa strada non è largamente battuta, ma, da molte prove, i risultati sono perfettamente accettabili”. Questo è ciò che si è concretizzato in questo ultimo ventennio. Unico neo: è un vino ancora poco noto al grande pubblico.
Cenni storici sul Grillo
Al Grillo sono state erroneamente attribuite delle origini greche, probabilmente perché la Grecia ha dato un impulso decisivo alla diffusione dei vitigni nel bacino mediterraneo, grazie alla realizzazione di un capillare sistema commerciale. È comunque altrettanto confermato che la viticoltura indigena greca proveniva dall’Egitto, dalla Fenicia, dal Caucaso e dal Mar Nero. Questa tesi trova supporto dai precetti indicati da Teofrasto, che il Cantoni (1882) definisce “appaiono radice delle ottime pratiche attuali”, riferendosi agli insegnamenti dei Fenici i quali avevano introdotto la vite e l’ulivo in Grecia.
Altre fonti storiche non fanno esplicito riferimento al Grillo, ma confermano che la vite prosperava in Sicilia almeno duemila anni prima di Cristo.
Ad emblema della millenaria coltivazione della vite e dell’influenza dei Fenici, prima, e dei Cartaginesi, poi, è stata identificata l’isola di Mozia, di fronte al porto di Marsala, “uno dei capisaldi dell’eparchia cartaginese in Sicilia”, dove “venne individuato e selezionato il vitigno presumibilmente utilizzato già nell’antichità, cioè il Grillo, per eccellenza uva autoctona di quell’area” . È un’ipotesi non documentata dato che “Mozia è un vino di memoria e di ricordi. Qui la vigna va mantenuta non tanto per produrre ma come monumento storico e culturale”.
Il territorio di Marsala, e di conseguenza anche la viticoltura, ha risentito nei secoli, nel bene e nel male, degli effetti del dominio delle varie popolazioni che si sono succedute a partire da quelle marinare, appunto i Fenici che, insediatisi a Mozia nel VII sec. a.C. insieme ai locali Elmini e ai Leonici, lasciarono tracce di un impianto vinicolo stabile, databile alla fine del IV sec. a. C.. Tra il IX secolo a.C. e il 1860, anno della caduta dei Borboni, si succedettero vari domini ognuno dei quali agì diversamente nel favorire o ostacolare la viticoltura locale.
Bisogna attendere il 1575 perché si faccia esplicito accenno alla viticoltura quando gli Spagnoli, per timore delle invasioni dei pirati, chiusero il porto incentivando le attività portuali e l’agricoltura, in particolare la viticoltura.
Marsala conobbe un momento di particolare equilibrio tra le attività di mare e quelle di terra, grazie all’inglese John Woodhouse, che nel 1733 portò alla ribalta il vino Marsala fornendone 80 barili all’ammiraglio Nelson, alla vigilia della battaglia di Trafalgar, per cui fu poi ribattezzato “Victory wine”.
Per conoscere quali erano le realtà viticole della zona bisogna attendere altri 150 anni e leggere il rapporto redatto dal deputato Damiani quando nel 1885, fotografando la realtà agricola, distinse la zona viticola litoranea da quella dell’entroterra, ossia dei paesi di collina. Nella prima era pratica nominare i vitigni per varietà, i vini erano molto alcolici, mentre nei paesi di collina, causa l’eccessivo frazionamento delle proprietà, i vitigni erano svariatissimi ed i vini ottenuti di qualità inferiore e poco alcolici.
È in quell’occasione che, oltre a evidenziare la necessità di migliorare le pratiche enologiche, Damiani riporta un lungo elenco di varietà trasmessogli dal Barone Mendola, tra cui il Griddu bianco, ossia il Grillo. Se ne riparla nel 1892 quando nella quarta seduta del Circolo Enofilo di Conegliano viene presentata la preparazione del Marsala: a parte la necessità di raccogliere uve surmature, viene fatto preciso riferimento al Grillo che insieme a Catarratto, Insolita, Vernaccia, Pignatello, Damaschino, serviva nella preparazione del “Sifone o Forzato”.
La veridicità di queste fonti è confermata prima da Del Giudice e Buscemi (1957) e poi dal Pastena. Quest’ultimo, in “La nuova viticoltura siciliana”, riporta che il Grillo era andato particolarmente diffondendosi alla fine dell’800 con la ricostituzione post-fillosserica, insieme a tanti altri vitigni, tra cui il Catarratto.
Lo si deduce dai documenti relativi a questo programma dato che, dopo l’invasione fillosserica del 1879, nel 1897 diede inizio alla ricostituzione del patrimonio viticolo: il Grillo, grazie alla generosa produttività, all’alto contenuto zuccherino delle uve e allo spontaneo e rapido marsaleggiare, risultava largamente coltivato nella provincia di Trapani. Queste sue peculiarità ne incentivarono la diffusione, tanto che nel 1900 era introdotto nel territorio palermitano, dove taluni lo ritenevano essere una varietà di Catarratto.
Negli anni ‘30 rappresentava circa il 60% del patrimonio viticolo siciliano. Il Rizzo lancia l’ipotesi che il Grillo abbia origini pugliesi, ma non è stata trovata conferma storica, anche se si è avuto segnalazione vocale che, sino agli anni ’70, era coltivato nell’area del Castel del Monte insieme al Bombino bianco.
Con analoga denominazione si ricorda la Grilla nera, uva “detestabile a mangiare, ma ottima pel vino”, citata dal De Crescenzi nell’Opus ruralium commodorum e riportata dal Cantoni, ma che non ha alcuna attinenza con il Grillo bianco e tanto meno sono presenti nella stessa area di coltivazione.
Origini genetiche del Grillo
Il Grillo è un vitigno autoctono siciliano originatosi dalla fecondazione spontanea tra il Catarratto bianco lucido e il Moscato di Alessandria, e si caratterizza per un profilo molecolare unico.
Analisi genetiche hanno permesso di individuare la coesistenza di due biotipi di Grillo. Il primo, biotipo B, rintracciato nell’isola di Mozia, con acini più piccoli e raccopiù incline a dare uve concentrate, tipico della zona del marsalese, il secondo, biotipo A, con acini più grossi e maggiore acidità, caratteristico della fascia costiera che da Marsala procede verso Agrigento.
Altri studi molecolari hanno dimostrato che il Grillo ha identità con il Rossese bianco, vitigno coltivato in Liguria e che ha delle vicinanze molto strette con il Marchione e il Damaschino . La presunta corrispondenza del Grillo con il greco Malagouzia, come indicato da Del Zan, non ha trovato conferma sia dai rilievi di campagna che dalle analisi di laboratorio.
Il vitigno del Grillo
Le poche descrizioni ampelografiche non differiscono da quella redatta da Mazzei e Zappalà.
Trattasi di un vitigno rustico, caratterizzato da vigoria elevata, con capo a frutto dotato di bassa fertilità delle gemme basali, che soffre di colatura nel caso di eccesso di vigoria e di andamenti stagionali primaverili freschi e piovosi, oltre che per il deficiente stato sanitario.
Germoglio di 10-30 cm:
Apice: aperto, bianco-verdognolo, cotonoso.
Foglioline apicali (dalla 1a alla 3a): spiegate; colore rosso-ramato; sublanuginose sulla pagina superiore, lanuginose su quella inferiore.
Foglioline basali (dalla 4a alla 6a): bollose, lembo contorto, spiegate; verde-giallastro, lucide sulla pagina superiore; lanuginose sulla pagina inferiore.
Asse del germoglio: a pastorale.
Germoglio alla fioritura:
Apice: medio, bianco-verdastro, aracnoideo.
Foglioline apicali: leggermente piegate a coppa; colore bianco-verdognolo, ramate, aracnoidee.
Foglioline basali: spiegate; verdi, con bordi bronzati, lucide; aracnoidee sia sulla pagina superiore che in quella inferiore, aracnoidee le nervature della pagina inferiore.
Portamento: eretto.
Foglia (Foto 1): medio-grande, pentagonale, pentalobata; seno peziolare a lira chiusa con bordi molto sovrapposti; seni laterali superiori a lira chiusa, con bordi leggermente sovrapposti, poco profondi, quelli inferiori a V; lobi revoluti; lobo terminale retto; pagina superiore verde scuro, glabra, lembo contorto, lucido, bollosità grossolana generalizzata, nervature debolmente violacee all’inserzione del picciolo, glabre; denti mucronati, corti, a base larga; pagina inferiore di colore verde biancastro chiaro, sublanuginosa, evidente la bollosità della pagina superiore, nervature di colore violaceo debole sino alla prima diramazione, poi verde chiaro, setolose.
Picciolo: medio, corto, verde chiaro con striatura rosata, setoloso.
Grappolo (Foto 2): medio-grande, cilindrico-conico, con due ali corte, mediamente compatto, peduncolo corto, semilegnoso, verde-chiaro; pedicello medio, verde-chiaro, con cercine evidente, verdastro.
Acino: medio, sferico, buccia di colore giallo-verdognola, ambrata se esposta al sole, trasparente, spessa e consistente, leggermente pruinosa, con ombelico evidente, polpa semicroccante, di colore verde chiaro, leggero sapore di moscato.
Vinaccioli: numero medio di 2 per acino; piriforme.
Tralcio: molto lungo, elastico, poco ramificato, con medio sviluppo delle femminelle; corteccia resistente; sezione circolare; parzialmente pruinoso, glabro, striato; nodi poco sporgenti; internodi medi (10-11 cm), color marron-rosso violaceo, uniforme.
Fenologia:
Germogliamento: seconda, terza decade di Marzo.
Fioritura: terza decade di Maggio – prima decade di Giugno.
Invaiatura: seconda - terza decade di Agosto.
Epoca raccolta: seconda - terza decade di Settembre.
Sensibilità a peronospora ed escoriosi, scarsamente sensibile a oidio e botrite.
Poco sensibile al mal dell’esca. Soffre il vento e le primavere fresche.
Selezione clonale del Grillo
Nonostante sia stato prevalentemente coltivato nell’areale marsalese, all’interno della popolazione esiste una discreta variabilità intravarietale che ha consentito l’individuazione di due fenotipi: A, con grappolo mediamente compatto, e B, con grappolo spargolo. All’interno di questi due gruppi sono stati individuati alcuni biotipi che sono stati omologati come cloni (Tab. 2).
Con la selezione si è puntato all’individuazione di biotipi non soggetti a colatura e ad acinellatura, in grado di migliorare la fertilità delle gemme basali.
Adattabilità ai vari portinnesti
L’argomento portinnesti o meglio di affinità d’innesto tra Grillo e i vari portinnesti utilizzati negli anni risulta essere stato un argomento preso in debita considerazione a partire dalla ricostituzione post-fillosserica.
Allora, la perdita di lavoro da parte di almeno 12.000 contadini, braccianti ed operai costituì un serio problema economico. Vari tecnici di dedicarono a cercare soluzioni, sempre più complesse anche per la comparsa della peronospora.
Mendola, nel 1882, non esitò a ricorrere all’impiego di viti americane resistenti. Del problema se ne fece poi carico il Vivaio Governativo di Viti americane, che ebbe il merito di essere diretto da due eminenti ricercatori: Paulsen e Ruggeri. Seguirono poi i contributi di Pastena e più tardi di De Vita ed al..
Inizialmente fu data importanza al comportamento agronomico del vitigno sui vari portinnesti, e in funzione del momento storico, ne furono testati diversi, mettendo in secondo piano le eventuali problematiche connesse alla moltiplicazione in vivaio.
La combinazione d’innesto su 420 A ha il vantaggio di attenuare i fenomeni di colatura e di acinellatura, a cui va soggetto il vitigno, e di adattarsi ai terreni sciolti, siliceo-calcarei, anche se non molto freschi, oltre che nelle terre rosse. Negli anni il suo impiego è andato contraendosi causa la sensibilità al ristoppio, e nonostante venga tuttora considerata la combinazione migliore, da diversi anni è stato rimpiazzato dal 140 Ru.
Il Grillo innestato su 41 B, 1447 P o il 17-37 Mill.gt si adatta ai terreni compatti, fortemente calcari, silicei o siliceo-argilloso, permeabili, discretamente freschi, mentre con il 1103 P è consigliato per terreni poveri e siccitosi.
I vari 101-14 Mill.gt, 3309 C e 161-49 C lamentavano invece dei deperimenti, causa la mancanza di affinità.
Prove relativamente recenti di comportamento su altri portinnesti indicano il 110 R come il più stabile ai fini produttivi e qualitativi dei mosti, mentre con l’SO 4 si verificano le condizioni opposte. Il 41 B è quello che ha fornito le più basse produzioni sia di uva che di legno di potatura, a differenza del 161-49 C e del 775 P, che si confermano dei discreti produttori d’uva nonostante quest’ultimo induca notevole vigoria. Il 161-49 C e l’SO 4 si confermano dei buoni produttori di zuccheri (mediamente 19.2 °Babo) in grado di mantenere soddisfacenti livelli di acidità (6.1 e 6.2 g/L, rispettivamente).
In vivaio il Grillo non induce alcuna anomala reazione quando viene innestato su 420 A, 775 P e 1103 P, mentre tende a manifestare eccessivi ingrossamenti sul punto d’innesto in combinazione su 140 Ruggeri, in particolare, e poi, con decrescente frequenza, su 110 R e SO 4.
La coltivazione del Grillo
I vari dati statistici assegnano alla provincia di Trapani la più ampia superficie coltivata a vite e tra le varietà prevalenti primeggiano i Catarratti e il Grillo, il quale, dopo una sensibile contrazione registrata nel 2000, evidenzia un progressivo incremento, sino a raggiungere i 6.821 nel 2017. Significativa per l’area è anche la quota di vino riconosciuto DOC (11%), ma è ancora consistente la quota di vini sfusi prodotti da 5.559 Ha (ISTAT, 2010).
A conferma che il Grillo era coltivato anche in altre zone viticole siciliane, si cita il Garoglio che lo includeva nella produzione dell’Eloro bianco, (nel Ragusano), dei vini della zona marittima di Menfi, e nella zona di Taormina.
Il Grillo lamenta problemi di colatura, localmente meglio noti come “vite che scorre”, da cui l’utilità di far sfogare la vigoria. Per rimediare a questo inconveniente, (anche se non va trascurato il deficitario stato sanitario del materiale standard) era pratica, nella potatura ad alberello, lasciare una branca con capo a frutto lungo.
Attualmente si preferisce potarlo a Guyot semplice o doppio sfruttando la sua fertilità di tipo medio, oltre che per favorire la meccanizzazione. Utilizzando questo sistema di potatura, in particolare il Guyot doppio, Di Lorenzo et al. (2018) hanno dimostrato che è la superficie fogliare totale della pianta, e non il singolo tralcio, a condizionare il numero di fiori/grappolo e la relativa allegagione, quindi la produzione.
È stato registrato che il massimo di superficie fogliare si ottiene con una carica di 18 gemme/ceppo distribuite su due tralci, con uno sviluppo totale di 11.305 cm2 di foglie.
L’alberello veniva preferito per ambienti soggetti a prolungata siccità durante il periodo estivo e, in quelle realtà, i vini tendevano naturalmente a marsalare più velocemente. La densità media oscillava intorno alle 7.000 viti/ha. Successivamente con l’introduzione della meccanizzazione e l’adozione dei filari potati a Guyot si sono allargati i sesti e la densità oscilla intorno ai 4.000 ceppi/Ha, con una carica media di 10-12 gemme/ceppo.
In questo modo si tende al controllo della produzione data la generosità del vitigno (il peso medio grappolo si aggira sui 350-400 g, ma non è infrequente che superi anche gli 800 g) e della qualità, puntando a livelli zuccherini compresi tra 18 e 21° Babo e con acidità superiore ai 7 g/L.
La pratica della “vendemmia verde”, messa in atto per controllare la produzione, si è rivelata una pratica controproducente, poiché induce una maggiore espressione vegetativa ed una più alta fertilità nell’annata successiva. In compenso riduce i tempi di potatura invernale ha specie se è stato eliminato il capo a frutto.
Non si condivide il luogo comune di considerare il Grillo come il “vino di mare” perché ben si presta ad essere allevato nella zona litoranea, su terreni sciolti e poco fertili e tanto meno è corretto ritenerlo un vitigno che facilmente marsaleggia e pertanto il più adatto alla produzione del Marsala.
In realtà, grazie ai profumi ed alla finezza aromatica, la cui entità varia con la produzione/ceppo e con l’epoca di raccolta, si presta bene agli in ambienti collinari ove le condizioni climatiche, in particolare l’escursione termica, esalta la componente aromatica, garantendo vini più profumati e freschi.
Specie nei terreni salini perché la produzione viene contenuta, anche se vengono accentuate le note amarognole. La naturale vigoria deve essere regimata collocandolo o in terreni sciolti e in coltura seccagna, a cui ben si adatta, oppure in terreni pesanti dell’entroterra.
Efficace ai fini del controllo della colatura, come è stato documentato, è la potatura a Guyot anche con un carico di 10-12 gemme/ceppo: in tal modo si instaura nella pianta un equilibrio tra vigoria e sviluppo della superficie fogliare, favorendo l’allegagione.
I suoli del Grillo
Il territorio trapanese si può dividere in tre zone agrarie: collinare, altopiano mazarese e di piano o marittima. La struttura dei vari terreni destinati a vite talora si diversifica anche all’interno dello stesso appezzamento, comunque è assodato che i terreni presenti lungo il litorale, da Trapani al fiume Belice e dalle foci di questo sino a Partanna, hanno origine quaternaria.
Sono dei tufi calcarei litoranei e i depositi alluvionali costituiti da sabbie più o meno cementate con abbondanti resti di conchiglie che assumono colore giallastro o rossiccio. Sono presenti in potenti banchi lungo le pianure costiere.
La facies pliocenica occupa una parte dell’entroterra di Trapani e di Mazara del Vallo, ed è prevalente a Salaparuta: in queste realtà prevalgono i suoli bruni e bruno-calcarei, dotati di buone attitudini agronomiche anche se molto ricchi di carbonato di calcio. Appartengono al triassico parte del litorale dei comuni di Castellamare del Golfo e di Alcamo, dove i terreni si sono originati da scisti argillosi con intercalazioni di strati calcarei ed arenaci.
Una parte dell’entroterra presso Alcamo appartiene al giurassico, dove i terreni hanno composizioni calcaree più o meno marnose, con intercalazione di scisti marnosi varicolori. I vigneti, specie lungo la zona litoranea sud (Sciacca, Castelvetrano, Mazara, Marsala, Trapani) e nord (Balestrate, Partinico, Carini), insistono su terreni sciolti e calcarei, mentre se coltivati nella zona collinare predominano i terreni tendenzialmente argillosi con scheletro non abbondante.
Altra originale condizione si osserva lungo la zona costiera, dove non è infrequente che la vite sia coltivata a poca distanza dal mare: in quelle condizioni non mancano i casi di terreni molto ricchi di salsedine, a cui il Grillo dimostra di sapersi ben adattare. Gli effetti della salsedine sono spesso alquanto evidenti, specie dopo il verificarsi di giornate ventose (maestrale), tanto che gli ingiallimenti fogliari sono molto evidenti, e che, erroneamente, possono essere confusi con la clorosi.
Climatologia per il Grillo
Il clima dell’areale Marsalese e di Mazara del Vallo è tipicamente mediterraneo che varia tra il semiarido e il caldo arido in funzione dell’annata, con temperature estive piuttosto elevate e miti durante l’inverno. La temperatura e la piovosità risultano sensibilmente condizionate dalla intensità dei venti, comunque in agosto, meno frequentemente a luglio, si raggiungono in media i 32°C, con frequenti punte intorno ai 37-38°C.
Le precipitazioni medie annue si mantengono intorno ai 470-550 mm, prevalentemente concentrate tra ottobre e marzo, mentre tra aprile e settembre ne cadono mediamente circa 100 mm. L’indice termico di Huglin raggiunge livelli medi di poco superiori ai 2600 °C.
La zona è inoltre sottoposta a forte e persistente ventosità, poiché, in mancanza di rilievi significativi e non superando i 600 m s.l.m., risente alternativamente dell’influenza di masse d’aria provenienti dalla Penisola Iberica e di correnti tropicali di origine africana. Da qui nasce la necessità di prevedere delle reti frangivento - un tempo si ricorreva a pareti erette con la comune canna da cui “cannata”.
Nel periodo autunno-invernale masse d’aria temperato-umide di origine atlantica arrivano sulle zone litoranee causando fenomeni piovosi di intensità e di durata variabile. Nella zona interna, in corrispondenza della fase di maturazione, grazie alla altimetria compresa tra 200 e 600 m s.l.m., si instaurano con più frequenza le condizioni di escursione termica diurna che consente di mantenere nelle uve bianche maggiori quantità di acidi, di esaltare profumi e aromi.
I vini con il Grillo
Tradizionalmente il Grillo viene utilizzato in uvaggio nella preparazione del Marsala, ma tendono ad aumentare le produzioni ottenute in purezza, anche con uve vendemmiate a maturazione avanzata, tipo le uve “percotte”.
La tecnica delle uve “percotte” era stata abbandonata ma grazie all’iniziativa dell’Istituto della Vite e del Vino di Palermo, con la collaborazione dell’enologo Tachis, è stata ripresa per riprodurre il vino prodotto dai Fenici. Di fatto sono state seguite le indicazioni tramandate da Catone il Censore il quale nella sua “De Agricoltura” parla di uve “percotte”. Le “percotte” non sono altro che uve sovramature fatte appassire al sole e raccolte quando gli acini sono raggrinziti e in tal modo gli acini botritizzati garantiscono un vino molto alcolico, dal colore giallo dorato, quasi ambrato, molto profumato grazie anche alla delicata percezione dell’infavato.
Il Grillo è protagonista della DOC Marsala, sin dalle origini di questo vino speciale. Lo troviamo in etichetta sulle DOC: Alcamo, Contea di Sclafani, Delia Nivolelli, Erice, Mamertino, Marsala, Menfi, Monreale, Salaparuta, Sicilia. Entra nella composizione della DOC Sambuca di Sicilia bianco e partecipa alla formazione di molti vini ad indicazione Geografica Protetta, quali: Avola, Basilicata*, Camarro, Murgia, Salento, Salina*, Tarantino*, Valle Belice*, Valle d’Itri. (* è ammessa la menzione del vitigno in etichetta).
La vinificazione del Grillo
“Anche se dipingo una mela, c’è la Sicilia” (Renato Guttuso). Se è vero che negli ultimi anni stiamo assistendo ad un cambio climatico piuttosto evidente, nella distribuzione delle piogge, nelle temperature medie e nella identità delle stagioni, è altrettanto vero che il Grillo è nato e cresciuto in una regione caratterizzata da clima caldo arido.
Se ci accostiamo ad un calice di vino Marsala Vergine, attraverso il suo profilo organolettico, possiamo rintracciare due delle potenzialità metaboliche del vitigno: la sintesi fenolica, in particolare flavanoli (catechine e proantocianidine), acidi idrossicinnammici legati all’acido tartarico e piccole quantità di flavonoli che possiamo leggere attraverso il colore ambrato, il gusto leggermente astringente, e l’elevata potenzialità nella sintesi degli zuccheri.
Nulla invece sul carattere varietale all’olfatto, essendo questo, troppo viziato dallo stile di vinificazione. Interessante l’interazione genotipo/ambiente presente oggi nei vini, che si esprime con grande finezza olfattiva nelle marne bianche agrigentine, con piena maturazione aromatica e sapidità nelle sabbie rosse nell’intorno di Mazzara del Vallo e con potenza aromatica e pienezza al gusto nei terreni sabbiosi e di medio impasto del marsalese.
Così, anche per gli altri territori dove tradizionalmente è coltivato il Grillo, la varietà, in vinificazione, anche nelle due accezioni fenotipiche spesso coesistenti, è comunque riconoscibile soprattutto da marcatori olfattivi varietali legati alla presenza di aromi tiolici.
Il quadro aromatico di un vino giovane spazia dal frutto della passione, alla pesca gialla, ai fiori di ginestra, alla salvia ecc. Ed è una recente scoperta che ha contribuito molto alla diffusione e all’interesse commerciale sviluppatosi intorno alla varietà. Eravamo più abituati ad un vino dal profilo neutro, aggraziato semmai, da note floreali derivate dai terpeni e da aromi di frutta bianca matura conferite dai norisoprenoidi. Nulla di più ovvio in ambienti caldi e luminosi.
In invecchiamento i vini sviluppavano note minerali, spesso dovute ad invecchiamento precoce. L’interesse crescente verso il profilo aromatico dei vini bianchi e verso la shelf life in bottiglia, ha imposto nuove regole nella gestione del vigneto e della vinificazione della materia prima. La riflessione parte dai limiti di un ambiente caldo: alte temperature e luce diretta mortificano e modificano gli aromi, oltre a spingere la pianta verso la sintesi fenolica, elementi in contrasto con gli obiettivi enologici di cui sopra.
L’attenzione è stata rivolta al microclima della pianta. Agendo attraverso cimature e conseguente emissione di femminelle, si può creare una chioma che protegge il grappolo dalla luce diretta e abbassa leggermente la temperatura dell’acino. Se gestite bene, queste tecniche colturali coadiuvate da sub irrigazione dove serve, creano una competizione più lunga tra la fase vegetativa e riproduttiva della pianta, sinergia molto importante al fine di raccogliere per maturazione e non per concentrazione dell’acino.
I migliori risultati in termini di complessità aromatica si hanno con uve ben mature. Altresì, possono aiutare nell’espressione degli aromi tiolici e nella longevità del vino le concimazioni azotate, nelle diverse forme compatibili con lo stadio fenologico della vite. Nonostante questi accorgimenti, alla raccolta, le uve presentano una frazione significativa di polifenoli totali.
Il problema delle sostanze fenoliche in vinificazione potrebbe essere risolto promuovendo l’azione delle PPO nelle diverse fasi di lavorazione delle uve, mantenendo il contatto dell’uva con l’ossigeno, dalla raccolta alla pressatura.
Purtroppo, però, gli aromi tiolici sono molto sensibili alla presenza delle PPO. La reazione di ossidazione enzimatica coinvolge gli acidi idrossicinnamici con formazione dei rispettivi chinoni (responsabili dell’imbrunimento del mosto), il doppio legame del chinone reagisce col gruppo -SH del precursore tiolico, cisteinilderivato che viene neutralizzato. I migliori risultati attualmente si hanno lavorando in fase di ammostamento con ausilio di CO2 e basse temperature. Attività volte a limitare la presenza di O2 e a rallentare l’attività enzimatica.
Operando in questo modo, se le uve sono sane e non necessitano di aggiunte di SO2 per problemi microbiologici, l’uso di anidride solforosa come antiossidante, può essere ridotto fino a fine fermentazione alcolica, con conseguente minore estrazione delle componenti fenoliche e minore produzione di acetaldeide in vinificazione.
La criomacerazione prefermentativa può aumentare l’espressione aromatica. La raccolta meccanica,se effettuata nelle ore più fresche della giornata e con mezzi adeguatamente sanificati, si è rivelata uno strumento di qualità, con abbattimento di tempi di sosta delle uve al sole e tempestività nelle operazioni di raccolta e vinificazione.
L’acino di Grillo è turgido e se la macchina è regolata bene, l’indice di ammostamento risulta molto basso, con le dovute oscillazioni in funzione della maturazione e della temperatura delle uve alla raccolta. Il mosto imbrunito, trasportato nei mezzi e versato in tramoggia, può essere allontanato prima di procedere alla pigiatura. Nelle fasi di pressatura, dopo avere inertizzato il mezzo, meglio effettuare pressature lunghe a step crescenti. Generalmente, la resa del mosto di sgrondo è abbastanza alta.
La presenza di rame nel mosto, essendo un catalizzatore delle reazioni a carico delle PPO, deve essere limitata il più possibile. Le temperature di fermentazione variano in funzione dei lieviti utilizzati, tuttavia, per ottenere vini freschi e profumati, raramente si superano i 18-20°C.
Il Grillo, nelle diverse zone di coltivazione, mantiene una buona acidità fissa, si può raccogliere anche con valori di 8 g/l di acidità totale espressi in acido tartarico per un alcol potenziale di 12,5 %vol. Il contributo dell’acido malico diminuisce con la maturazione e in funzione delle temperature. Il quadro acidico importante lo rende incline anche alla vinificazione di basi spumante sia per una rifermentazione in autoclave che in bottiglia.
Ovviamente, il mosto deve essere ben chiarificato e privato della frazione fenolica che interferirebbe con la finezza del perlage. In tal caso, anche l’ossigenazione a mosto risulta interessante potendo rinunciare a parte dell’aroma primario. Le ultime tendenze del mercato convergono verso vini macerati, ossia fermentati in presenza di bucce. Anche questa vinificazione risulta molto interessante, nonostante richieda maggiore attenzione alla maturazione fenolica dell’uva.
L’espressione del Grillo cambia volto, il colore varia dal giallo dorato ai toni dell’arancio, in funzione di quanto ci si spinge con la macerazione in presenza di ossigeno; il bouquet spazia dai fiori di camomilla agli agrumi canditi, alla frutta secca ecc. Il sapore è avvolgente, leggermente tannico e può risultare molto armonico. Si tratta ovviamente di vini quasi da meditazione.
Infine, anche nell’ottenimento di vini passiti, il Grillo, in purezza o in combinazione con altre varietà aromatiche, si rivela abbastanza idoneo all’appassimento per la presenza di una buccia non troppo sottile, per la sua acidità e la sua componente fenolica che conferiscono rispettivamente vivacità e corpo al vino. La sua versatilità è dunque il suo grande valore. Chissà se il barone Mendola aveva immaginato un genotipo così tipicamente siciliano…
“Quando un genotipo è nato, acquista subito una tale indipendenza anche dal suo stesso autore, che può esser da tutti immaginato in tant’altre situazioni in cui l’autore non pensò di metterlo, e acquistare, anche a volte, un significato che l’autore non sognò mai di dargli!” (Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca di autore).
Di Assoenologi con la collaborazione Di Attilio Scienza, Roberto Miravalle, Giancarlo Moretti E Lorenza Scianna
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