Il vino nei quadri celebri
Da l'Enologo - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
E’ una tradizione che viene da lontano. Dalla Grecia di Zeusi, Parrasio e Polignoto alle pitture parietali di Pompei. Gli antichi chiamavano “xenia”, quelle che noi definiamo “nature morte”, perché rappresentavano quei trionfi di frutta e verdure che il padrone di casa offriva ai suoi ospiti. E la regola di ogni buon pittore era quella di rendere quei frutti con la massima fedeltà, “ut natura poesis”.
I Greci, invece, non furono tentati dal riprodurre la natura. Tema esclusivo della loro pittura è sempre e soltanto l’uomo, la cui figura domina a tutto campo. E anche quando i cibi e le anfore faranno le loro apparizioni sui puntu a grandi vasi di ceramica, costituiscono solo gli elementi di contorno in una scena dominata dall’atleta o dal guerriero.
Una scelta che peserà a lungo in quella scala di valori che accompagna il mondo dell’arte fin dall’antichità. La Natura morta ha occupato per secoli l’ultimo posto, dopo il mondo degli dei, la figura umana, il paesaggio.
Bisognerà arrivare a Caravaggio e alla genia di artisti che da lui prende il nome, perché la pittura ispirata ai frutti e al vino acquisti una sua dignità e un suo mercato. Ma perché questo avvenga ci vorranno prove eccezionali, come quel “Canestro”, che Caravaggio dipinge con la sapienza e la forza di un Cristo morente.
Scene di vendemmia nei quadri di vino
Un viaggio a ritroso in questo genere di pittura riserva insospettabili sorprese. A cominciare dalla presenza di una serie di arnesi di legno – opera di sapiente falegnameria – che danno vita all’affresco del XV secolo, nel castello del Buonconsiglio a Trento. La rappresentazione dei gesti che accompagnano la vendemmia è di un sorprendente realismo.
E sempre agli strumenti per la vinificazione e all’arte di fare botti sono da ricondurre altri due dipinti. Il primo, anonimo, di Scuola veneziana, datato 1618, dove figurano alcune botti cerchiate di legno (allora lo erano); e il secondo, di un paio di secoli dopo, a firma di Jean Francois Millet, pittore del mondo contadino, che fissa l’immagine di un bottaio al lavoro.
Un’impennata verso la grande pittura l’avremo solo con Francisco Goia, Purtroppo disponiamo solo di un frammento di tela del 1786, ora al Prado di Madrid, sopravvissuto a un originario ciclo di quattro dipinti, ispirati alle stagioni. Straordinaria e sentita, affianco al popolo, la partecipazione al rito della vendemmia della migliore società spagnola.
Assai intenso è anche l’olio su tela “La vendemmia del Medoc”, dei primi dell’Ottocento, ora al Museo di Bordeaux. Particolarmente felice la rappresentazione dei due vignaioli che trasportano sulle spalle la pesante bigongia carica di uva.
E ancora allo stesso secolo è da ricondurre l’acquerello di Bartolomeo Pinelli “I vendemmiatori che portano le uve al torchio”, oggi al Museo di Roma. È un racconto mosso e vivace, protagonista il popolo, pienamente coinvolto dalla festosità dell’evento.
Poi, ecco la sorprendente immagine di Dom Perignon, che, vecchio e cieco, assapora l’uva sotto gli occhi dei monaci, prima della pressatura. L’opera reca la firma di José Frappa ed è riconducibile alla seconda metà dell’Ottocento. Fa parte della ricca collezione Moet&Chandon.
Quadri di vino: ritrattistica dei bevitori
E veniamo alla ritrattistica. Vale a dire alla figura del bevitore e al suo accostamento ai più tipici contenitori del vino: la bottiglia, la brocca e il bicchiere. Qui, in genere, a tenere banco è l’uomo, la sua postura, la sua espressione. Che tende all’isolamento, al rifiuto anche dell’ambiente stesso che lo ospita. C’è tanta solitudine in questi dipinti, e il rapporto col vino sembra essere la sola via per superarla. Il tema della malinconia ritorna puntuale in “L’uomo con un bicchiere di vino”, di Scuola portoghese, presente al Louvre. È un’immagine pensosa, carica di rimpianto, ai confini di un compiacimento solitario per la “vita persa”.
Su tutt’altro fronte si colloca invece “Il giovane bevitore” di Philippe Mercier. Una rappresentazione vivace, percorsa da una sensualità che coinvolge anche l’osservatore più distratto. L’opera si colloca a metà del Settecento.
La presenza delle donne nei quadri celebri di vino
E passiamo al vino non più monopolio degli uomini, ma frequentato anche dalle donne. In misura assai modesta, bisogna dire, se appena qualche dipinto registra la loro presenza. Una donna che beve vino – e per giunta da sola – è infatti un’immagine poco edificante, anche per i pittori più spregiudicati. Per cui preferiscono rappresentarla a tavola, con altri ospiti, o nel pieno di una festa.
Così “Lydia con il bicchiere di vino” di Francine Van Hove – 1781, Galleria Blondel di Parigi – costituisce quasi un’eccezione. Specie se si tiene conto che il calice stretto fra le mani della donna è accostato al seno, nudo e invitante. La luce sapiente rende l’immagine quanto mai sensuale. Ben più ampio – ma anche meno puntuale per quanto riguarda il ruolo del vino – risulta il panorama delle feste e delle celebrazioni animate da una folla di partecipanti. Si pensi a “L’Epifania” di Gabriel Metsu, pittore fiammingo di sicuro talento, in esposizione al Museo di Monaco; oppure, all’”Amore del vino”, opera di Etienne Jeaurat, al Louvre, carica di pittoreschi e piccanti riferimenti.
Il vino nei quadri celebri nella Parigi di Fin De Siècle
Anonimo resta invece “Il personaggio intento a bere”, dove il gusto per la rappresentazione di uno spettacolo popolare finisce per relegare il vino a un ruolo di contorno. Un destino che si fa sempre più frequente nei quadri ambienti nei caffè e nelle locande. Il che non esclude che proprio in questi ambienti, frequentati da facili donnine, siano nate opere di sicuro valore.
Si pensi al “Caffè di notte”, 1888 di Van Gogh. La sala è quella del Caffè Alcazar, che dispone anche di qualche camera, dove il pittore alloggia. Ma il prezzo purtroppo è aumentato, e Vincent è costretto a lasciare. Di qui una tela dai colori accesi, violenti, carica di sdegno, dove le bottiglie di vino sono appena presenti sui vari tavoli.
Ancora due opere meritano di essere ricordate. Recano la firma di Nicolas Tournier e di Georges de la Tour. Il primo, dipinge, sulla fine del Cinquecento, la “Riunione di Bevitori”, fra discreti suonatori (l’accostamento musica-vino è destinato a trionfare in Caravaggio); e il secondo, “Il baro con l’asso di quadri in mano”, al Louvre. Alla sinistra del protagonista, i tre poli di attrazione di una vita sregolata: il vino, le donne e il gioco.
Il tema dei bevitori solitari e discreti troverà la sua celebrazione anche nei “Giocatori di carte” di Paul Cezanne, al Museo d’Orsay di Parigi. Due uomini, un borghese e un contadino, vis à vis per una partita. L’arbitro è la bottiglia di vino, al centro fra i due.
Il realismo del racconto va dalla pesantezza delle braccia del campagnolo sul tavolo, alla comprensibile incertezza dell’uomo nel giocare la sua carta. È opera fra le più intense legate al mondo del vino.
L'amore nei quadri di vino
E l’amore? È fuor di dubbio che il vino sia mediatore nei rapporti sentimentali. Solo che trattandosi di vicende piuttosto intime, incontrano qualche difficoltà a farsi pittura. Anche perché l’influsso del vino agisce nel bene e nel male. Manda cioè a rotoli una storia d’amore o ne costruisce qualcuna assai intensa. Insomma, è verità e inganno. L’arte – specie quella figurativa – va così alla ricerca del racconto da rappresentare, fra colori, luci, piani prospettici, equilibri tonali.
È il caso de “Il bevitore e la serva” di Jacob Ochtervelet, Scuola olandese, seconda metà del Settecento. La scena ha un che di teatrale, con l’uomo che, seduto, allunga la mano sulla donna che si avvicina per porgergli del vino.
Ma più ancora la scena si carica di spinte erotiche ne “La mezzana” di Jan Vermeer van Delft (Museo di Dresda), dove l’ambientazione di una taverna offre l’atmosfera ideale per quella mano che si allunga bramosa sul seno della ragazza. Le felici cromie finiscono per assorbire quasi del tutto l’improvviso raptus.
E allungare le mani vogliose è anche il tema che ritorna nell’“Autoritratto” (1636) di Rembrandt. L’uomo stringe con la destra un lungo e incerto contenitore di vino, e con la sinistra palpeggia i fianchi della sua Jaskia.
Ma se appena andiamo a ritroso verso l’antichità classica, fra Grecia e Roma, il vino riesplode prepotente in tutta la sua forza, popolare e coinvolgente. Le immagini di baccanti, baccanali e satiri andranno ben oltre quei confini per ispirare le opere di Gervex, di Rubens di Tiziano., di Jean Rooux, la cui “Signorina Prevost”, ballerina dell’Opera, è ritratta in veste di baccante, mentre solleva un grappolo d’uva.
Il cerchio tende così a chiudersi, anche se si è tentati di ripercorrere ancora unavolta l’avventura fra l’uomo e il vino. Perché siamo a un percorso senza fine. Che dai grandi nomi dell’arte si apre via via a una folla di pittori, che - a tutte le latitudini - hanno celebrato il vino con umiltà e amore. Ed è un pozzo senza fondo.
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