“Fair information practices” e lo sguardo accorto del consumatore informato
È stato un 2017 davvero fecondo per la normativa alimentare. Varie, infatti, sono le norme europee di nuovo conio, dapprima quella sul "controllo ufficiale" (Reg. Ue n. 625/2017). Altrettante quelle nazionali: in primis, i decreti sull'origine (latte, riso, grano), le sanzioni sui claims nutrizionali e salutistici (d. lgs. n. 27/2017), quelle su materiali e oggetti a contatto con gli alimenti (d. lgs. n. 29/2017).
Ci soffermeremo, tra molti, su un tema particolarmente delicato: le pratiche leali d'informazione (art. 7 del Reg. Ue n. 1169/11) e, soprattutto, sui risvolti sanzionatori attesi oramai da mesi e prossimi, si spera, all'emanazione.
Ed infatti, siamo davvero agli sgoccioli per il varo della disciplina sanzionatoria per la violazione del Reg. UE n. 1169/2011 (informazioni sugli alimenti ai consumatori), sulla cui imminente (?) pubblicazione in Gazzetta sono appuntate rinnovate aspettative per la tutela del consumatore.
Per questa ragione il tema della slealtà informativa dovrà essere affrontato non solo con gli occhi del giurisperito, ma con quelli sicuramente più severi di un consumatore ideale, che individueremo nella Signora Giovanna, con agguerrita prole al seguito, acquirente iconica dell'avveduta spesa alimentare.
Che ne sarà, allora, del malcapitato operatore di turno nel caso di un'informazione equivoca, scoperta magari proprio dalla "nostra" consumatrice?
Quali saranno le sanzioni all'atto dell'acquisto nel caso di subdole slealtà?
I soggetti responsabili
Dallo schema di decreto sanzionatorio (ci riferiamo alla circolante bozza), salvo sorprese, emerge all'art. 1, una rilevante diversità tra queste due figure:
-
"soggetto responsabile": ossia l'operatore del settore alimentare (OSA) di cui all'art. 8, parag. 1, del Reg. Ue n. 1169/11, con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell'UE, l'importatore avente sede nel territorio dell'UE; è, altresì, individuato come soggetto responsabile l'operatore del settore alimentare il cui nome o la cui ragione sociale siano riportati in un marchio depositato o registrato.
-
"Operatore del settore alimentare diverso dal soggetto responsabile" (il professionista che, ad esempio, non confeziona o non partecipa all'imballaggio, ma che "conosce" o "presume" la non conformità informativa).
Ciò significa che nell'ambito delle pratiche sleali potranno essere coinvolti, a vario titolo, soggetti diversi; la duplice nozione, invero, rimanda immediatamente al delicato concetto di "responsabilità alimentare", intesa dapprima come "spazio" di competenze (e adempimenti) per le figure coinvolte nella catena informativa. Di poi, quale "luogo" di conseguenze, anche di natura penalistica, in virtù della clausola "salvo che il fatto costituisca reato", prevista dalla bozza di decreto anche per la violazione dell'art. 7 del Reg. 1169/11.
Casi di pratiche illecite e ipotesi più gravi
Ciò premesso, è noto che le fair information practices impongano all'operatore l'utilizzo di informazioni accurate, clear and easy; in caso contrario, l'acquirente può essere tratto in errore, pregiudicata di fatto la sua scelta d'acquisto.
L'art. 7 del Reg. Ue n. 1169/11, infatti, prevede una serie molto nutrita di irregolarità, che riguardano primariamente le caratteristiche dell'alimento: l'identità, le proprietà, la composizione, la quantità, la durata di conservazione, il paese d'origine o luogo di provenienza, il metodo di fabbricazione o di produzione.
L'inganno, peraltro, potrebbe realizzarsi anche se un operatore attribuisca al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede.
O ancora se il responsabile:
- suggerisca che l'alimento possiede "caratteristiche particolari", quando in realtà tutti gli alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche (in particolare evidenziando in modo esplicito la presenza o l'assenza di determinati ingredienti e/o sostanze nutritive);
-
suggerisca, altresì, tramite aspetto, descrizione o illustrazioni, la presenza di un particolare alimento o di un ingrediente, mentre di fatto un componente (naturalmente presente) o un ingrediente (normalmente utilizzato) del prodotto è stato sostituito con uno diverso.
A fronte di un così complesso palinsesto, non sembra giusto rimettere alla sola attività dei “controllori” il copione degli illeciti dell’art. 7 del Reg. Ue n. 1169/11. Tale norma, infatti, è evidentemente polimorfa, al punto da presentare criticità applicative che richiedono particolare perizia all’atto del controllo, non essendo le ipotesi illecite tutte riconducibili a mere omissioni tecniche.
Peraltro, anche la sanzione italiana risulta alquanto "tortuosa"; l'art. 3 della circolante bozza di decreto sanzionatorio, infatti, reca il seguente profilo afflittivo per i casi di slealtà informativa:
"Salvo che il fatto costituisca reato e ad esclusione delle fattispecie specificamente sanzionate dalle altre disposizioni del presente decreto o da altre disposizioni di legge speciale, la violazione delle disposizioni di cui all’art. 7 del regolamento sulle pratiche leali d'informazione comporta per l'operatore del settore alimentare l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da € 3.000,00 ad € 24.000,00".
In proposito, stante la clausola di cedevolezza penale, andrebbe considerato l'eventuale sviluppo delittuoso che si lega a una pratica informativa sleale, grave e consapevole. Immediato, pertanto, è il richiamo alla frode in commercio di cui all'art. 515 c.p., caratterizzata tuttavia dall'inerenza del dolo e, quindi, dall'interesse a frodare il consumatore (il trattamento sanzionatorio, tuttavia, è potenzialmente meno gravoso rispetto a quello amministrativo, almeno dal punto di vista pecuniario, in presenza di una multa fino a € 2.065…).
Nei casi di estrema gravità, inoltre, non è escluso un rimando a un delitto di più onerosa impronta sanzionatoria: l'art. 517 c.p. (vendita di prodotti industriali con segni mendaci), che punisce con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a € 20.000 chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità del prodotto.
La corretta qualificazione del fatto
Alla luce di quanto detto, le pratiche sleali informative necessitano di una rigorosa valutazione da parte degli organi di controllo, in ispecie sulla corretta qualificazione dell'illecito e, quindi, sulla natura della sanzione applicabile.
Trattandosi di violazioni connesse ad obblighi informativi, precisiamo che il Legislatore confermerà la scelta già adottata con il "deposto" decreto n. 109/92, ossia quella di prevedere sanzioni di prevalente natura amministrativa. Pur tuttavia, come già visto, non può escludersi uno slittamento del fatto nell'area penalmente rilevante, il che imporrà al controllore la comunicazione di una notizia di reato (ad es. per violazione dell’art. 515 o 517 c.p.), dunque un sostanziale "passaggio di consegne" alla competente Autorità giudiziaria.
La corretta identificazione dell’illecito condizionerà anche la fase pre-sanzionatoria, dunque le eventuali attività di natura "cautelare" durante l'accertamento: ad esempio, l'adozione di un sequestro amministrativo (di cui all'art. 13, l. n. 689/81) o penale (es. artt. 354 cpp o 321 cpp).
In buona sostanza, l'attività del verificatore non potrà prescindere dalla corretta individuazione della condotta illecita, anche in relazione alla sua natura.
Ciò, tuttavia, non sarà del tutto agevole, visto che la fattispecie sanzionatoria italiana, così come prevista nella bozza, introdurrà - oltre alla clausola di salvezza penale - anche la valutazione incrociata di eventuali disposizioni previste da leggi speciali.
Si pensi al caso di pratiche informative sleali sull'olio o sui "regimi di qualità", che beneficiano di leggi e sanzioni specifiche, con evidenti rischi di squilibri e disparità di trattamento, sebbene sia pressoché identica la condotta illecita dell'operatore.
La possibile diffida
Ove non si proceda direttamente alla contestazione, nella bozza di decreto è prevista la possibilità della diffida (art. 1, co. 3, d. l. n.91/2014, l. n. 116/2014, quando venga accertata per la prima volta l’esistenza di violazioni sanabili, anche nel caso delle fair information practices (art. 7 reg. Ue n. 1169/11).
Ed infatti, i soggetti preposti all’accertamento potranno procedere, prima di comminare la sanzione, alla preventiva messa in mora del soggetto responsabile, prescrivendo le modalità per adeguarsi alla norma e stabilendo un termine congruo per adempiere.
Il mancato adempimento entro i termini stabiliti comporterà tuttavia l'irrogazione della sanzione edittale senza che si possa far ricorso al pagamento nella misura ridotta di cui all'art. 16 della l. n. 689/81.
A proposito delle Autorità competenti
L'art. 26 della bozza di decreto dispone sull'Autorità competente all’irrogazione delle sanzione; ad oggi, infatti, saremmo di fronte ad una "convivenza" tra Autorità competenti. Ecco la previsione:
- Il Dipartimento dell'ICTQRF del MIPAAF è designato quale autorità competente all'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente decreto.
- Restano ferme le competenze spettanti all'AGCM ai sensi del d. l. vo 2 agosto 2007, n. 145 e del d. l.vo 6 settembre 2005, n. 206 e quelle spettanti, ai sensi della normativa vigente, agli organi preposti all'accertamento delle violazioni.
Insomma, una situazione oggettivamente complessa, che vede da una parte ICTQRF e AGCM, quali competenti Autorità (ma al plurale…); dall'altra, invece, le competenze, rectius i "poteri" spettanti agli organi preposti all’accertamento delle violazioni, ai sensi della normativa vigente (com'è noto, estremamente articolata).
Approccio unitario alle "pratiche" e necessità di un consumatore consapevole
In definitiva: siamo di fronte a un quadro normativo a tinte fosche, in cui chiari e scuri si alternano di fronte all'interprete. Trattasi di un contesto, però, dove un consumatore particolarmente attento può svolgere comunque un ruolo necessario, specie per le pratiche informative che possono risultare sleali ictu oculi.
Quali, allora, i "criteri" per sanzionare le irregolarità sulle fair information practices?
Decisiva, a nostro avviso, è l'applicazione omogenea della regola sanzionatoria interna (art. 3 della bozza) in base alla corretta individuazione della condotta illecita "a monte" (art. 7 del Reg. Ue n. 1169/11); questo perché sono diverse le ipotesi illecite contenute nella norma europea.
L'omologazione dei criteri di accertamento del fatto, allora, potrà essere uno dei percorsi sul quale innestare le fasi del "controllo ufficiale", il che non sembra andare a scapito dell'autonomia investigativa.
Un approccio unitario agli illeciti sulla slealtà informativa, del resto, potrebbe evitare asimmetrie nell'irrogazione della sanzione.
Fondamentale, allora, sarà l'individuazione di comuni e precisi parametri soggettivi e oggettivi cui vincolare l'eventuale contestazione del fatto illecito; il che significa, ad esempio, valutare l'intensità del dolo o il grado della colpa, e misurare l'effettiva diligenza professionale degli operatori coinvolti.
D'altro canto, sembra indispensabile per gli addetti al controllo un vaglio immediato della gravità della violazione, dell'entità dei danni recati all'acquirente o anche al competitor commerciale (la slealtà informativa, del resto, può creare altrettante lesioni della concorrenza).
Di una prospettiva così delineata ne potranno beneficiare addetti al controllo e operatori coinvolti, ma ancor più i consumatori. Nell'auspicio, tuttavia, che il loro grado di conoscenza si attesti sempre più su quello di Giovanna, nostro "modello" di acquirente informato, impermeabile (o quasi) alle intemperie alimentari.
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