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Qual è il prezzo dei vini da Aglianico?

02 Febbraio 2017
Qual è il prezzo dei vini da Aglianico?
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Da l'Enologo – n°11 2016 – Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani

Le grandi caratteristiche qualitative dell’Aglianico sono da tempo riconosciute, tanto che molti anni fa l’onorevole Arturo Marescalchi, enologo piemontese fondatore dell’Associazione enotecnici italiani, dichiarò: “Devo asserire, domandando scusa ai miei Barbera e Barolo, che il Taurasi è il loro fratello maggiore”.

La diffusione del vitigno dell'Aglianico

L’Aglianico presenta una notevole concentrazione della sua presenza in Campania e Basilicata, dove copre rispettivamente il 35% e il 55% del vigneto regionale, ed ha una presenza significativa in Puglia e Molise. Si ritrova, comunque, con piccole superfici in quasi tutte le regioni italiane.

Evoluzione dell'Aglianico e della sua superficie e della sua incidenza sulla superficie vitata nazionale
Tabella 1 - Evoluzione della superficie dell'Aglianico e della sua incidenza sulla superficie vitata

Come riportato da Ian D’Agata nel recente volume Native Wine Grape of Italy (2014), l’Aglianico ha iniziato a diffondersi anche all’estero, sebbene in piccole estensioni, essendo ritenuto un vitigno idoneo a fronteggiare, con la sua maturazione tardiva, gli effetti del cambiamento climatico. Si trova così in Australia (Adelaide Hills, Barossa Valley, McLaren Vale), Stati Uniti (Alexander Valey e Paso Robles in California, ma anche in Texas e New Mexico), Argentina e Messico.

Tabella 2 Ripartizione della superficie totale dell'Aglianico tra le regioni italiane
Tabella 2 - Aglianico: ripartizione della superficie totale tra le regioni italiane

Diversità dei vini da Aglianico

L’Aglianico è il vitigno caratterizzante la base varietale di numerosi vini delle regioni dove è più presente. Infatti tra Campania, Basilicata, Puglia e Molise 20 vini a denominazione d’origine e 16 vini a indicazione geografica tipica sono caratterizzati dall’Aglianico o prevedono la tipologia varietale Aglianico. In particolare, in tutte e tre le aree di produzione più tradizionali, il Vulture, l’Irpinia e la zona del monte Taburno viene attualmente prodotto un vino Docg a base di Aglianico: Il Taurasi Docg (almeno 85% Aglianico), l’Aglianico del Taburno Docg (almeno 85% Aglianico) e l’Aglianico del Vulture Superiore Docg (100% Aglianico). Il Taurasi è un vino Docg dal 1993, l’Aglianico del Vulture Superiore e l’Aglianico del Taburno sono Docg rispettivamente dal 2010 e 2011. La ricorrente presenza dell’Aglianico nei disciplinari delle regioni più interessate dalla coltivazione fa sì che la produzione di vini che includono l’Aglianico nel loro uvaggio interessi un numero piuttosto elevato di aziende. 

calice di Taurasi docg
Calice di Taurasi D.O.C.G.

Un’indagine svolta tra il 2010 e il 2011 (Achille Della Porta (2012), I vini da Aglianico in Italia: un’analisi dell’offerta, tesi di laurea in Scienze agrarie presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, 2012) identificava infatti, 400 aziende che producono vini con Aglianico mettendo sul mercato più di mille etichette, di cui circa due terzi a denominazione di origine e circa un terzo a indicazione geografica. Aziende e vini si concentrano ovviamente in Campania (75% dei vini) e in Basilicata (17% dei vini). In Campania le provincie maggiormente interessate sono Avellino e Benevento. Nella popolazione di vini che contengono Aglianico quelli che sono nettamente caratterizzati da questo vitigno sono tuttavia la larga maggioranza e, in particolare, più di due terzi delle etichette censite corrispondevano a vini da sole uve Aglianico. La stessa indagine ha consentito di analizzare l’offerta di vini da una Aglianico sotto il profilo della gestione del vigneto, della vinificazione, dell’affinamento e del prezzo restituendo l’immagine di un’offerta piuttosto composita e con interessanti elementi di diversificazione. L’orientamento di gestione del vigneto predominante è quello convenzionale, che riguarda più dell’80% delle etichette censite, tuttavia il numero delle etichette da uve prodotte con tecniche di agricoltura biologica o biodinamica non si può considerare marginale. Dal punto di vista della vinificazione si può osservare che la produzione di vini fermi è certamente predominante, essendo le etichette di vini spumanti solo una ventina (2% del totale) con una dominanza di prodotti ottenuti con rifermentazione in autoclave. Maggiore bilanciamento si riscontra invece nella tecnica di affinamento, emergendo comunque un vastissimo uso del legno: più di due terzi delle etichette censite corrispondono a vini maturati in legno, sia pure per periodi di diversa lunghezza, e solo un terzo è affinato esclusivamente in acciaio.

Il valore sul mercato: i prezzi dei vini da Aglianico

Rispetto ai prezzi, indicatore certamente importante della posizione di mercato di una famiglia di prodotti, l’indagine ha messo in evidenza un ventaglio di prezzi piuttosto ampio che include anche prezzi bassi ma nel quale di osserva comunque una concentrazione di etichette nei prezzi medi. Infatti, a fronte del fatto che circa un terzo delle etichette ha un prezzo inferiore ai 5 euro, più della metà si colloca tra i 5 e i 15 euro e più di un quinto oltre i 15 euro. La stratificazione dei prezzi certamente contribuisce a determinare un’immagine del vino da Aglianico non focalizzata sotto il profilo del pregio, ma che contempla la possibilità che il vino da Aglianico possa esprimersi pienamente sul piano dell’eccellenza.

Tabella 3 ripartizione per fascia di prezzo dei vini a base aglianico 2011 prezzi al dettaglio in euro
Tabella 3: Ripartizione per fascia di prezzo dei vini a base aglianico (2011 - Prezzi al dettaglio in Euro)

Sotto questo aspetto è interessante osservare che la distribuzione dei prezzi in base alle designazioni (Docg, Doc, Igt) è sostanzialmente coerente con il pregio atteso. L’80% delle etichette Taurasi Docg si collocava infatti tra i 10 e i 20 euro, mentre nel caso dei Doc circa la metà delle etichette si collocava tra i 5 e i 10 euro, con un 30% sotto i 5 euro. Nel caso dei vini Igt, si aveva una situazione invertita, con circa la metà delle etichette tra i 5 e i 10 euro e circa un terzo tra 5 e 10. Relativamente al gruppo dei vini Doc si osserva inoltre che le etichette appartenenti alle denominazioni che immediatamente dopo il periodo nel quale è stata svolta l’indagine sono diventate Docg mostravano una distribuzione dei prezzi simile a quella dei vini Taurasi. I vini Docg da Aglianico, quindi, presentano in prevalenza livelli di prezzo elevati. Si deve peraltro osservare che in tempi più recenti sono presenti sul mercato un numero significativo di etichette di vini a base di Aglianico con prezzi analoghi ai vini più prestigiosi del Piemonte, Toscana o Veneto, relative a vecchie annate o a produzioni di particolare pregio. Questo è certamente molto positivo in vista di una ulteriore valorizzazione sul mercato dei vini da Aglianico, che potrà passare per una crescita generale dei prezzi a parità di volume, e quindi anche di una crescita del numero delle etichette di alto prezzo, certamente utili alla qualificazione di tutta l’offerta e alla creazione di valore per i territori di produzione. La commercializzazione dei vini da Aglianico è appoggiata, comunque, da un atteggiamento della critica nazionale e internazionale certamente positivo. Per quanto riguarda l’Italia, l’analisi delle citazioni dei vini da Aglianico nelle guide ai vini italiani AIS, Gambero Rosso e Veronelli edite nel 2000 e nel 2010 rivela che non solo il numero di vini citati è aumentato notevolmente ma anche la distribuzione delle lor valutazioni si è modificata sensibilmente verso l’alto, essendo cresciuta la quota dei punteggi massimi e medi. La critica italiana ha dunque riconosciuto la progressione qualitativa dei vini da Aglianico e l’ha testimoniata in modo chiaro, sia pure con accentuazioni diverse tra le diverse guide.

Anche nelle pagine delle riviste e dei testi stranieri possono essere trovate decine di riconoscimenti dell’interesse e delle potenzialità dell’Aglianico. Già nel 2002 su Decanter Tom Maresca dichiarava che l’Aglianico era una delle migliori uve da vino italiane, le cui potenzialità erano ben lungi dall’essere completamente sfruttate, pur ricordando che già nel 1982 Victor Hazan, nel suo pionieristico volume Italian Wines, aveva dichiarato che il Taurasi Riserva del 1968 di Mastroberardino era in miglior vino del XX secolo. Più di recente, nel 2011 Nathan Wesley su Wine Spectator scriveva che l’Aglianico è uno dei tesori del vino italiano e nel giugno 2013, rivolgendosi ad un ben più vasto pubblico sul New York Times, Eric Asimov testimoniava il valore straordinario del vino da Aglianico, riportando come pienamente veritiera la definizione di “Barolo del sud” e lodando la coerenza qualitativa di buona parte dell’offerta. D’altra parte i vini da Aglianico si trovano spesso ai vertici delle classifiche dei migliori vini del mondo e trovano un posto di rilievo nel già citato volume Native Wine Grape of Italy (2014); in questo volume Ian D’Agata colloca l’Aglianico tra i dodici migliori vitini del mondo e dichiara che “Aglianico has a knack for turning out in a full range of potentially stellar wines, from fragrant juicy light-bodied version to deep, rich, very ageworthy and complex behemoths” (pag. 162). Ancora nel settembre 2016 nell’edizione USA dell’Huffington Post si legge “Aglianico is one of Italy’s hidden gems. Little known in North America, it represents an incredible value for one of Italy’s finest and historic red wines”.

Prospettive di sviluppo dei vini da Aglianico

Le aziende che producono vini da Aglianico e la loro offerta rappresentano dunque un sistema complesso e articolato, che gode del riconoscimento della critica nazionale e internazionale e si presenta al mercato con una gamma ampia nella quale i vini di pregio elevato, superpremium e superiori hanno un ruolo importante e caratterizzante. Le potenzialità di questo sistema relativamente alla creazione di valore, tuttavia, non sono completamente sfruttate, come si può ricavare dall’analisi dei (non molti) dati disponibili. Si è osservato che i vini Docg mostrano un profilo di prezzo coerente con la categoria ma questo avviene in presenza di una notevole sottoutilizzazione del potenziale produttivo di questi vini.

tabella 4 evoluzione del numero di vini a base aglianico valutati da tre guide italiane di ampia diffusione e della ripartizione in percentuale dei loro livelli di valutazione nel periodo 2001-2010
Tabella 4: Evoluzione del numero di vini a base aglianico valutati da tre guide italiane e della ripartizione dei loro livelli di diffusione in percentuale nel periodo 2001-2010

Per quanto riguarda il Taurasi e l’Aglianico del Taburno, le due Docg campane, nel triennio 2013-2016 l’utilizzazione del loro potenziale è stata intorno al 60% (dati Agroqualità presentati al Vinitaly 2016). Questo significa che il livello del prezzo viene tenuto alto grazie anche ad una (saggia) autolimitazione della produzione che consente di mantenere l’offerta in equilibrio con una domanda che rimane limitata. Di fatto i grandi vini rossi da Aglianico non hanno agganciato il trend che invece negli ultimi dieci o quindici anni ha premiato altri rossi italiani, Brunello di Montalcino e Amarone della Valpolicella per fare due esempi. In un periodo nel quale la produzione di questi vini del centro nord è cresciuta notevolmente il Taurasi ha visto una riduzione della sua produzione che se all’inizio del nuovo secolo si collocava non troppo al di sotto dei 20.000 ettolitri/anno nelle ultime annate è scesa intorno ai 15.000 ettolitri.

D’altra parte un’indagine svolta al Vinitaly nel 2013 collocava Taurasi in 17ma posizione nella classifica di notorietà dei vini Docg italiani. Ma non risulta poco soddisfacente solo la prestazione del vertice dell’offerta; infatti, le analisi di performance competitiva dei diversi vini italiani sul mercato nazionale dei vini di livello popular premium/premium rivelano una prestazione dei rossi campani (tra i quali la componente da Aglianico è dominante) relativamente modesta ove invece i bianchi campani mostrano una performance di assoluto rilievo, come a suo tempo messo in evidenza nel corso degli Stati Generali del vino in Campania del 2009. Questo dato è particolarmente interessante perché chiarisce che nell’insieme degli elementi che fino ad ora hanno impedito una piena valorizzazione del vitigno sul mercato ci sono degli elementi specifici legati alla valorizzazione enologica del vitigno e non solo la debolezza del sistema promozionale/distributivo delle aziende del sud. Di fatto sebbene molti vini da Aglianico rappresentino esempi eccellenti, ottenendo un adeguato successo, l’offerta nel suo complesso non convince pienamente il pubblico - consumatori finali e intermediari - con un riflesso negativo sulla sua prestazione sul mercato, determinando un difetto di reputazione che nuoce anche ai prodotti di maggior successo. Maggiori risorse da destinare allo sviluppo della distribuzione e, più in generale, ad un incremento della pressione promozionale già in atto potrebbero giovare.

vitigno di Aglianico
Vitigno di Aglianico

Più significativi benefici si potrebbero ottenere procedendo preliminarmente ad un’analisi precisa dei punti di forza e di debolezza dell’offerta dei vini da Aglianico in modo da avere solide indicazioni sui profili sensoriali da ricercare, prezzi, temi di comunicazione. Ad una identificazione dei punti di forza e di debolezza basata su un solido procedimento scientifico si potrebbe arrivare applicando in modo integrato tecniche di analisi sensoriale, edonistica e cognitiva al fine di mettere a disposizione della comunità dei produttori una mappa multidimensionale delle diverse espressioni sensoriali dell’Aglianico, ossia di una mappa nella quale ai diversi modelli sensoriali che l’attuale produzione di Aglianico esprime vengono associate tecniche di produzione e gradimento da parte di diversi settori del pubblico, valutato in diverse condizioni di informazione. Un’informazione così strutturata consentirebbe alla comunità dei produttori di avviare su solide basi i processi di negoziazione sociale della qualità che, pur nella libertà dei singoli, possono condurre a quel miglioramento collettivo dell’offerta in un quadro affinità sensoriale) che è necessario per la crescita della reputazione collettiva di una famiglia di prodotti e quindi del suo successo commerciale. Le informazioni che verrebbero raccolte con l’analisi integrata cui si è fatto cenno consentirebbero infatti una sistematica valutazione critica dei diversi approcci alla coltivazione del vigneto e alla trasformazione che sono stati individualmente sviluppati in tanti anni che potrebbe condurre ad un sostanziale miglioramento della qualità dei processi produttivi.

Le informazioni cui si è fatto riferimento risulterebbero peraltro di cruciale importanze per fare crescere il numero dei vini di eccellenza. Come risulta dalla letteratura scientifica, la loro affermazione sul mercato è fortemente legata al riconoscimento da parte del pubblico di una autenticità che non dipende solo da un patrimonio di tradizione ma anche dal comporsi di elementi quali la coerenza stilistica, l’impegno per la qualità, il legame tra profilo sensoriale e luogo di produzione, un metodo di produzione che fa esprimere la materia prima. È chiaro che perché si moltiplichino i casi nei quali si attua in modo felice la combinazione di questi elementi è necessaria allora una diffusa e profonda consapevolezza delle relazioni tra vitigno, ambiente, tecnica colturale, pratiche enologiche e espressione sensoriale, consapevolezza che solo dalle analisi prima indicate può venire. Certamente perché l’indagine proposta possa avere luogo sarà necessaria un’ampia condivisione degli obiettivi nell’ambito della comunità dei produttori, essendo necessaria mettere in comune anche conoscenze e saperi taciti che sono normalmente considerati segreti aziendali. Si dovrebbe però considerare che la crescita di prodotti collettivi, quali sono istituzionalmente e sostanzialmente i vini a denominazione, è un ambito nel quale l’esigenza di co-opetition, ossia la collaborazione nella competizione, si manifesta in modo esemplare e nel quale, d’altra parte, i benefici della co-opetition stessa possono essere particolarmente elevati.

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