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Il vitigno della Corvina e il suo percorso storico

28 Luglio 2016
Il vitigno della Corvina e il suo percorso storico
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Non si conoscono le origini precise della Corvina, ma sicuramente è un vitigno legato alla viticoltura veronese fin dall'antichità, essendo la varietà principale sia dell'uvaggio Valpolicella che del Bardolino.

Partendo dal Medioevo vi è l'evidenza della produzione vinicola del Garda sostenuta dai monasteri di S. Colombano di Bobbio e S. Giulia di Brescia (sec. IX e X). Vi è anche - come sottolineano Gloria Maroso e Gian Maria Varanini in Vite e vino nel Medioevo da fonti veronesi e venete - documentazione scritta sulla viticoltura urbana. Nelle campagne la viticoltura era diffusa in pianura e in collina. Nella pianura veronese occidentale (sono sempre notizie di Maroso e Varanini), nel 1414 su un totale di circa mille ettari di superficie coltivata dalla Curia di Nogarole, la terra cum vineas occupava il 3-4% mentre sulle colline, per quanto le fonti ci possono tramandare, nelle terre appartenenti al monastero di S. Giorgio in Braida proprio nella Valpolicella, su un totale di 93 appezzamenti il 38% sono interessati alla viticoltura e di questi una decina sono a vigneto specializzato ed eravamo nel 1310.

Le possibili origini

Nella stessa valle, nel 1354, su 122 appezzamenti che appartenevano a S. Zeno di Verona, 58 erano interessati alla vite. E sempre ai primi del 1300 a Bardolino, e ancora nelle terre di S. Zeno, il vigneto occupava il 10-12% della superficie. Non vi sono però notizie precise sui vitigni, sia perché le conoscenze in questo campo non erano precise, sia perché il nome dei vitigni “non passava”. Qualche varietà era stata nominata dal de' Crecenzi, altre sono ricordate negli statuti del 1276, ma si tratta di uve da tavola come la Luijana (lugliatica) la Pergola o Brumesta ed anche un’uva Veronum.

A metà Cinquecento, il nobile bresciano Agostino Gallo, scrisse Le venti giornate dell'agricoltura e dei piaceri della villa e nella “terza giornata” parla delle viti e ci riferisce di alcune varietà. Fra le rosse riporta: Vernacce nere, Groppelle, Pignole. Delle Groppelle veronesi ricorda che danno "vino saporito". Poi accenna anche a viti "non buone", come le Corvere, le Carverole e Uve cagne. Siamo sicuri che dietro alle Vernacce nere, Groppelle veronesi, Marzemine, Berghene, Rossese, Pignole non si nascondano anche gli attuali vitigni che via, via sono stati indicati con i nomi che oggi conosciamo?

Come per molti altri vitigni, il 1600 ed il 1700 passano senza effettive e sicure identificazioni varietali. I nomi erano attribuiti a famiglie piuttosto composite di vitigni o a particolari tipi di vini. Le Groppelle, le Schiave, che erano coltivate in provincia di Verona potevano celare come detto anche le nostre Corvine.

Gli studi ampelografici dell'Ottocento

Arriviamo quindi agli inizi del 1800, quando, prima timidamente e dopo con maggiore impulso, si affermano gli studi ampelografici. Una sicura citazione esiste nel Catalogo delle varietà di viti del Regno Veneto che Pietro di Maniago pubblicò nel 1823. Ci imbattiamo, così, nel Curvin e Corvin coltivato in provincia di Udine e definito “nera da botte".

Subito dopo, nel 1825, Acerbi pubblica Delle viti italiane e dedica un capitolo alla "Descrizione delle viti e delle uve della provincia Veronese, del dottor Ciro Pollini" e qui ai numeri 12, 13 e 14 si trovano sintetiche descrizioni rispettivamente della Corbina veronese, della Corvinella o Corbinella veronese e della Corvina veronese.

I vitigni veronesi
La Corvina veronese

La Corvina veronese è a foglie piccole, intagliate fin quasi alla base, coi lobi bislunghi acuti (la Corvina rizza?). Era coltivata in tutta la Valpolicella ed era apprezzata, soprattutto, per il vino “eccellente e generoso”. Non va però trascurata la seguente osservazione: “vi è anche una varietà di foglie meno profondamente incise”. E qui si aprirebbe un bel dubbio: siamo di fronte ad un tipo “virosato” e ad un altro più sano?

La Corvinella ha foglie poco intagliate, un po' pelose, con grappoli piccoli, bislunghi ed acini piccoli, uguali, tondi a buccia tenera. Era coltivata nella bassa pianura e dava “buon vino”.

La Corvinona aveva foglie intagliate fino a metà e lobi ovali ed acutamente dentati, con grappoli grossi, con acinitondi, piuttosto grossi, neri. Sul testo del nostro Istituto (ora Crea-Vit), su quegli acini tondi vi è un punto interrogativo, probabilmente come espressione di dubbio del Professor Cosmo. Era coltivata in Valpolicella e dava “buon vino”.

Ma non finisce qui con l’Acerbi, perché è anche ricordata, nel capitolo dedicato alla provincia di Vicenza e scritto da Giovanni Battista Garofalo, una Corbina di Breganze come uve a sapore semplice, con acini rotondi, a grappolo spargolo, con foglie trilobate. È definita “buona da mangiare, ha la corteccia molto dura, e si conserva nel verno. Da un abbondante prodotto quasi in tutti gli anni, ed ama i terreni leggeri”.

Molon, nella sua Ampelografia del 1900 dirà che può corrispondere alla Corbina nera. Si può quindi osservare che già dai primi anni del 1800, cominciano a comparire tipi diversi e diverse denominazioni attribuite a questa famiglia di viti e la stessa situazione si troverà nel 1883, e via via, nei diversi lavori degli ampelografi.

Mas e Pulliat, nel Le Vignoble pubblicato nel 1878-79 descrivono la Corvina e le attribuiscono i seguenti sinonimi: Corvina nera, Corvina veronese, Corvina gentile e Corvina rizza; per Corvinella o Corbinella veronese e Corvinona veronese pongono un punto interrogativo e quindi un dubbio.

Vi è anche da aggiungere che secondo questi autori, l'Acerbi avrebbe avuto una perplessità, ovvero che la Corbina e Corbina nera di Toscana potesse essere la Corbina di Verona. Si pongono, infine, un secondo interrogativo: se la Corvina di Udine (già incontrata nel di Maniago) e quella della Valtellina potessero essere assimilate sempre a quella di Verona.

Corvina veronese

Le tre Corvine

Dal loro lavoro si evince comunque che distinguevano fondamentalmente tre tipi: la Corvina, la Corvina gentile e la Corvina rizza.

Nel 1870, nell'Ampelografia Generale della provincia di Treviso è descritta una Corbina nera come “varietà producente vino ordinario” e viene indicata una sottovarietà dalla denominazione Corbina dal picciol rosso. Il vecchio dagherrotipo, la scrittura a mano e la descrizione approssimativa non permettono un giudizio sicuro.

Battista Bertani scriverà nei Lavori eseguiti dalla Commissione Ampelografica di Verona - Primi studi ampelografici fatti in quel di Caprino e di Bardolino - un minuzioso lavoro su questi vitigni. L’autore ricorderà che diffusa nel comune di Minerba vi è la Corbina con le sinonimie di Corbinella e Corbinetta, date come “molto differenti dalle Corvine dell'Alto Veronese e dalle Corbine del Vicentino e del Padovano”.

Ed ancora qui un punto interrogativo del professor Cosmo deve far riflettere. La foglia è di grandezza media, quinquelobata, con lobi irregolari e dentatura minuta; il grappolo è piramidale, allungato,alato, spargolo; gli acini rotondi e piccoli con la buccia spessa, coriacea, di colore molto intenso. Il vino del vitigno è definito il miglior vino locale; ma siccome è molto carico di colore e di tannino, così abbisogna di almeno 3 anni per maturare, e perciò nessuno usa confezionarlo da solo, volendo tutti ottener vino da commercio nell'annata. Però se ben fatto, da solo e invecchiato, diviene eccellente quanto non si potrebbe credere per paesi di pianura; e anche un intelligente, facilmente lo prenderebbe per un buon barbera, perché si somiglia immensamente”.

Vi è poi il Corvinon del quale non vengono riportati sinonimi; veniva coltivato assai nella parte settentrionale della provincia e soprattutto in collina. La foglia è descritta come grande e quinquelobata con seni poco profondi, con grappolo grossissimo, leggermente conico, alato e acino grande e ovale. Il vino è definito “aspro e di lunga vita, leggermente aromatico e spiritoso”.

A seguire, vi è la Corvina comune detta anche Corba con la sinonimia, nella parte di levante della provincia e nella parte di ponente ed in alcuni luoghi della provincia di Brescia, di Corva.

Era il vitigno più diffuso della provincia, tanto che nella parte alta rappresentava fra un terzo e la metà delle viti. Veniva distinto per il germogliamento piuttosto tardivo, per la sensibilità alle crittogame, adattabile comunque sia nella pianura che in collina; con le gemme basali poco fertili, talché venivano consigliate potature lunghe. La foglia è descritta come media, poco alata, sufficientemente spargolo; con acini grandi, ovoidi a buccia grossa; il vino aromatico, alcolico.

Infine vi è la Corvina rizza, senza sinonimi, a vegetazione debole, precoce, con foglia piccola, assai frastagliata, quinquelobata, dentatura piccola e spiccata; grappolo piccolo cilindrico e vino alcolico, aromatico, un po’ aspro ed astringente.

Nel Bullettino Ampelografico, Fascicolo XVIII, del 1884 vi è un poderoso lavoro della Commissione ampelografica della provincia di Pavia ed in particolare del Circondario della Lomellina nel quale C. Giulietti descrive moltissimi vitigni e molti ne ricorda accomunati dalla derivazione del nome. E così fra le Vermiglie e del Croà (o Corvà e Corvato) ricorda le Corvine del Veneto.

Rammenta la Corvia nera o Refosco a Udine, la Corvara a Vicenza, la Corbina a Vicenza e Padova, la Corbinella a Verona che poi sarebbe quella descritta dall'Acerbi. La Corvina a Udine e a Verona, anche questa descritta dall'Acerbi, il Corvino a Treviso, la Crovaja a Vicenza, il Corbinone a Verona.

Ci dice, poi, che vini di Corbina o Crovino vennero presentati nel 1865 all'Esposizione di Torino, a Ferrara nel 1875, a Vienna nel 1876, a Verona nel 1876, alla fiera di Gianduia in Torino nel 1877. “Sicché è a dirsi che la Corbina o Crovina è fra le uve migliori e più importanti del Veneto, che qui è la loro stazione, e qui deve farsene studio”.

La regina delle uve veronesi

L'Alberti nel 1896 distingue le uve veronesi secondo i loro meriti colturali ed il loro valore enologico in “tipi fondamentali, complementari e locali” e colloca la Corvina fra le fondamentali, dicendo “a buon diritto fu proclamata la regina delle uve veronesi”.

Nella monografia di Sormani - Moretti (1904), il Perez descrive una Corvina nera e nostrana che sarebbe il vitigno più pregiato della provincia di Verona e accenna all'esistenza di molte sottovarietà “non tutte peranco bene studiate, modificazioni recate dallo stesso terreno al ceppo originario e forse alcune sinonimie”. Cita una Corvina pelosa, diffusa nella zona di Roncà, e così chiamata per le foglie più tomentose del normale. Cosmo dirà che forse è la Corbina che si coltiva in provincia di Vicenza e Padova.

vino veronese
La Regina delle uve veronesi

Il già citato Molon nella sua Amopelografia (1906) rammentava molte di queste notizie e, come anche G.B. Zava (1901) nell' Elenco descrittivo dei vecchi vitigni coltivati nel Veneto, citò la Corba o Corvina, Corvinella, Corbina, Corbinella, Corbineta, Corbinela, riunendo il qualche modo i diversi tipi di Corvine coltivate in provincia di Verona.

Egli stesso descrisse la Corbina che divise in: Corbina comune, Corbina rotonda (che lo Zava attribuiva alla provincia di Treviso), Corbinone e Corbina riccia.

Anche Lo Porchio (1923) descrisse la Corvina veronese sotto il nome di Corvina reale e giustificò il nome con la grandissima diffusione del vitigno ed i suoi indiscussi pregi. Citò, poi, come sottovarietà Corvina riccia e Corvinone.

Marzotto nel 1925 descrisse Corvina veronese con caratteri che la fanno perfettamente riconoscere, la Corvina grossa e Corvinone e, sempre, la Corvina riccia e, poi, anche una Corbina comune che per Cosmo risulterà assimilabile alla Corbina vicentina.

E arriviamo, finalmente, agli anni 1960 ed alla esauriente monografia di Cosmo e Polsinelli. Vi erano certezze sul valore qualitativo di questo vitigno, ma ancora dubbi su varietà, sottovarietà, tipi, sinonimie.

Per Cosmo, "il gruppo delle Corvine veronese si stacca nettamente da altre Corvine o Corbine coltivate in varie plaghe del Veneto", come la Corvina vicentina, Corbinella padovana, Cruina di Asolo.

Recenti studi molecolari del nostro Centro di ricerca hanno dimostrato la diversità fra la Corvina (con vari tipi che rientrano nella variabilità intravarietale e molto probabilmente la Corvina riccia era un tipo colpito da virosi) ed il Corvinone. È una conclusione intuita anche da molti degli studiosi citati, i quali però non disponevano degli strumenti diagnostici che oggi ci permettono giudizi oggettivi e più sicuri. Ora però si affaccia, per le nostre ricerche filogenetiche, qualche altro più interessante argomento. Si è visto che le Corvine di Udine, sono state qualche volta denominate anche Corvine-Refosco e così il proseguimento di questi studi stanno evidenziando una netta similarità genetica fra detti vitigni. Ciò significa antiche origini comuni che non sono sfuggite all'occhio attento degli antichi studiosi e che allargano alle sponde adriatiche il vecchio areale di diffusione di questa importante famiglia viticola.

La Corvina veronese è stata iscritta al Registro Nazionale delle Varietà al n° 70 in data 24-12-1969 ed è idonea alla coltivazione nelle provincie di Brescia, Verona e Sondrio.

Attualmente è coltivata praticamente solo nel veronese, nella zona di produzione dei vini Valpolicella e Bardolino, di cui costituisce la base.

Fa parte, come già sottolineato, di un numeroso gruppo di vitigni un tempo diffusi in tutto l’arco collinare che va dal Garda al Carso e indicati con nomi simili: Corbine, Corbinelle, Corvinoni, Corbinoni, eccetera. Attualmente i suoi sinonimi più conosciuti sono: Corbina, Corgnola, Corvina comune, doppia, nera, nostrana, reale, rizza, gentile, eccetera.

Nell’ambito del vitigno Corvina veronese fino al 1993 era compreso anche il Corvinone, ma studi degli anni ‘80-’90 condotti da Cancellier e Angelini hanno dimostrato senza ombra di dubbio che si tratta di un vitigno distinto anche se vicino geneticamente. Per risolvere il problema, a partire dal 1989 sono iniziati i controlli sui diversi biotipi di Corvinone in selezione clonale, confrontati con cloni di Corvina veronese coltivati negli stessi vigneti. I rilievi ampelografici ed ampelometrici, le analisi isoenzimatiche e quelle chimiche delle uve e dei vini condotti su tutti i materiali hanno portato ad identificare con esattezza il Corvinone e ad iscriverlo nel Registro Nazionale delle Varietà al n° 328.

Anche le analisi del Dna più recenti di Crespan sempre di questo Centro per la viticoltura confermano la diversità varietale di Corvina veronese e Corvinone ed evidenziano anche un legame di parentela diretta di tipo genitore-figlio fra i due vitigni.

La Corvina veronese comunque è una varietà costituita anche attualmente da una popolazione abbastanza diversificata soprattutto per le caratteristiche del grappolo e dell’acino.

Articolo tratto da l'Enologo – n°7/8 2016 – Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani

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