Il vitigno Petit Rouge
Da l'Enologo - n°7-8 Luglio/Agosto 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
Attualmente, in Valle d’Aosta, il Petit Rouge è coltivato su un centinaio di ettari, circa il 20% della superficie vitata regionale. Circa 50 ettari sono destinati alla produzione di vini a Denominazione d’Origine, contribuendo per poco meno di un quarto alla superficie Doc valdostana; la restante superficie è dedicata alla produzione di vini da tavola o alla vinificazione per autoconsumo famigliare.
Note ampelografiche sul Petit Rouge
Generalmente la pianta di Petit Rouge presenta un germoglio con asse a portamento curvo, con tomentosità medio debole e con colore dorsale degli internodi verde o verde striato di rosso in modo più o meno intenso a seconda del clone. L’apice è aperto, di colore verde, privo di pigmentazione antocianica e presenta una tomentosità variabile. Il colore della pagina superiore del lembo della 4a foglia giovane è verde e la densità dei peli striscianti tra le nervature principali della pagina inferiore del lembo è debole.
La foglia adulta è medio grande, di forma pentagonale, trilobata, a volte intera. Il lembo è piegato a coppa con nervature talvolta ginocchiate, bolloso, glabro superiormente mentre inferiormente la tomentosità delle nervature varia a seconda dei cloni. La foglia è di colore verde scuro semilucido con denti irregolari, mediamente pronunciati, concavi-convessi. Il seno peziolare è a U, generalmente poco aperto. Il grappolo è medio grande, conico o cilindrico, alato, talvolta anche piccolo, mediamente compatto, peduncolo semilegnoso medio lungo. L’acino è medio, sferoidale, buccia pruinosa sottile e tenera di colore blu violaceo, polpa incolore, succosa e poco consistente, di sapore neutro. Il tralcio legnoso presenta una sezione circolare, con superficie striata di colore nocciola uniforme. Generalmente i viticci della parte apicale del germoglio risultano spostati lungo l’internodo anziché trovarsi sul nodo.
Un progetto di selezione clonale avviato negli anni '70 e coordinato dal Centro Miglioramento Genetico della Vite del CNR ha portato all’omologazione di quattro cloni: CVT AO 6, CVT AO 16, CVT AO 35, CVT AO 38. I costitutori rilevano una certa differenziazione morfologica, cui si accompagna un'ampia variabilità sotto il profilo produttivo. In particolare, il clone CVT AO 16 si distingue per la ridotta produttività, a vantaggio di un più elevato tenore zuccherino, mentre i cloni CVT AO 35 e CVT AO 38 sono dotati di grappoli di dimensioni maggiori, maggiore fertilità reale, ma tenore zuccherino più basso. Il CVT AO 6 si colloca in una situazione intermedia. I cloni più produttivi sono caratterizzati da una minore vigoria.
Note agronomiche sul vitigno Petit Rouge
Attualmente, in Valle d’Aosta, il Petit Rouge è coltivato su un centinaio di ettari, circa il 20% della superficie vitata regionale. Circa 50 ettari sono destinati alla produzione di vini a Denominazione d’Origine, contribuendo per poco meno di un quarto alla superficie Doc valdostana; la restante superficie è dedicata alla produzione di vini da tavola o alla vinificazione per autoconsumo famigliare.
L’areale di coltivazione previsto dal disciplinare corrisponde a quello storico: si estende a partire dai vigneti siti nel comune di Saint-Vincent e, risalendo la Valle lungo il fiume Dora Baltea, comprende tutti i comuni fino a quello di Avise. Pur interessando soprattutto il versante esposto a mezzogiorno, l'area DOC comprende, anche una parte del versante opposto.
Nell'ambito di un recente progetto di zonazione viticola della Valle d'Aosta è stata effettuata un'approfondita indagine (33 località) sulla risposta del Petit Rouge alle diverse condizioni pedo-ambientali della sua area di coltivazione. Questo lavoro ha confermato la particolare vocazionalità delle aree considerate di maggiore pregio nei testi storici: l'Enfer d'Arvier, il Monte Torrette e, più in generale, l'area occidentale della valle centrale (tra Nus e Avise) rispetto all'area orientale (sino a St. Vincent). Per ognuna di queste aree, si è potuto determinare il limite altitudinale di vocazionalità: dai circa 850 m nelle migliori esposizioni del Monte Torrette, tale limite scende a circa 800 m nell'area tra Avise e Nus, mentre non si consiglia di superare i 700-750 m nell'area orientale.
Tali evidenze, emerse dall'analisi delle curve di maturazione, sono state chiaramente confermate anche dall'analisi sensoriale delle relative microvinificazioni: il descrittore “gradevolezza”, ad esempio, è risultato sopra la media nel 69% dei vigneti dell'area occidentale (tra i pochi vigneti sgraditi, quelli posti ad una altitudine superiore a 850 m s.l.m.), ma in meno del 30% di quelli siti nell'area orientale. L’analisi sensoriale ha peraltro evidenziato interessanti correlazioni tra alcuni dei descrittori più significativi: tra quelli ascrivibili all'area “fruttato/floreale” (coefficienti di correlazione tra 0,6 e 0,8), tra gli stessi ed il descrittore “gradevolezza” (coefficienti di correlazione tra 0,7 e 0,8) e, soprattutto, tra “struttura” e “gradevolezza” (coefficiente di correlazione superiore a 0,95!).
Il Petit Rouge si caratterizza per l'elevato vigore, una buona rusticità e il ciclo vegeto-produttivo tendenzialmente medio-tardivo. Proprio la notevole rusticità, la buona resistenza al gelo, la costanza di produzione hanno assicurato a questo vitigno un ininterrotto successo presso i viticoltori valdostani. Il Petit Rouge riesce sempre a non deludere le aspettative, a tutti i livelli di resa: è in grado di fornire prodotti eccellenti con produzioni ridotte (si pensi ai migliori vini delle aree “classiche” come il Monte Torrette e l'area di Arvier), ma anche di fornire vini più che soddisfacenti anche con rese abbondanti.
Il punto debole del Petit Rouge
Un punto debole del vitigno Petit Rouge, già notato dal Bich, forse sopravvalutato da alcuni viticoltori (anche perché altrimenti non se ne spiegherebbe il costante successo, a fronte dell'oblio conosciuto da tanti altri vitigni autoctoni nei decenni passati), è la particolare sensibilità dei grappoli alle “scottature” durante le 6-7 settimane che precedono l'invaiatura. Un progetto sperimentale ancora in corso sembra indicare che, sebbene spettacolari in apparenza, i danni reali sono generalmente piuttosto limitati, soprattutto se si ha l'accortezza di evitare la sfogliatura della vegetazione esposta a ovest, in modo che questa possa proteggere i grappoli dall'irraggiamento diretto nelle ore pomeridiane.
Ruolo del clima sul vitigno Petit Rouge
Gli effetti dell’orografia sul clima della Val d’Aosta sono particolarmente potenti in quanto la valle è circondata dai più elevati rilevi dell’intero arco alpino. Ciò si traduce anzitutto in un rilevantissimo effetto endoalpino, per cui le masse di aria umida scaricano tutto il contenuto d’umidità in forma di precipitazione sui versanti montani esterni alla vallata (con un fenomeno noto come Stau), giungendovi ormai povere di umidità (effetto foehn). Da ciò deriva un ambiente asciutto, molto luminoso e con scarse precipitazioni (Aosta, con poco più di 500 mm di precipitazione annua, è meno piovosa di Palermo).
Un ulteriore effetto orografico si lega al fatto che la viticoltura aostana si sviluppa in gran parte su terrazzamenti collocati sul versante che volge a mezzogiorno (il cosiddetto adret), il che consente sia di godere di un rilevante soleggiamento sia di consentire all'aria fredda prodotta dagli imponenti rilievi sovrastanti (brezza di valle) di defluire senza ostacoli verso il basso senza accumularsi in eventuali concavità della pendice sia infine di sfuggire alle intense gelate che interessano il fondovalle nel periodo da ottobre ad aprile come effetto finale dell’accumulo di aria che drena dall’alto e ristagna nel fondovalle (lago freddo) nelle ore serali, della notte e del primo mattino.
Al mantenimento di un ambiente ben ventilato contribuisce altresì l’attività convettiva diurna (brezze di monte) innescata dal soleggiamento e che si associa al frequente sviluppo di nubi convettive ad evoluzione diurna, le quali nelle fasi di maggior stabilità interessano solo le cime per scendere verso il fondovalle nelle fasi instabili. In complesso comunque la ventosità dell’area è relativamente contenuta e le velocità medie annue del vento nell’areale viticolo risultano comprese fra 1 e 2 metri al secondo. Il climogramma evidenzia un regime termico con gennaio come mese più freddo e luglio-agosto come mesi più caldi ed un regime pluviometrico a due massimi, non particolarmente pronunciati, dei quali il principale è in autunno (ottobre-novembre) ed il secondario è in primavera (aprile-maggio). Il minimo precipitativo estivo interessa il trimestre luglio-settembre e da luogo a condizioni siccitose non particolarmente accentuate e che comunque appaiono più vistose a luglio.
Le risorse idriche debbono fare i conti sia con la piovosità contenuta sia con la tessitura grossolana e la ricchezza di scheletro dei suoli, che portano ad una limitazione spesso rilevante nel serbatoio di accumulo dell’acqua. Nei suoli standard con riserva utile massima di 200 mm il completo svuotamento della riserva facilmente utilizzabile si verifica tardivamente (dopo il 20 agosto), il che si rivela favorevole all’ottenimento di vini di qualità. Specie nei suoli più grossolani non è pertanto da escludere l’insorgere di stress idrico in coincidenza con il minimo pluviometrico estivo, con conseguente possibilità di stress idrico. A tale condizione si può ove possibile rimediare con irrigazioni di soccorso in caso di disponibilità di risorse irrigue. In tal senso si rammenta che agricoltura valdostana, proprio in virtù della scarsa piovosità, ha beneficiato dell’irrigazione in tempi passati, come attestano ad esempio gli antichi i canali d’irrigazione scavati nel medioevo e che attingevano dai corsi d’acqua a regime glaciale tributari della Dora Baltea.
Forma di allevamento del Petit Rouge
La forma di allevamento generalmente adottata è il Guyot semplice, praticamente l'unica forma a spalliera utilizzata nella regione. La preferenza accordata dai viticoltori valdostani per questa forma di allevamento si giustifica con la ridotta fertilità basale caratteristica di quasi tutti i vitigni tradizionali; tuttavia, i livelli di fertilità osservati sul Petit Rouge, suggeriscono la possibilità di adottare il cordone speronato (perlomeno su determinati biotipi).
Tale alternativa presenta almeno due considerevoli vantaggi. Innanzitutto consente lo sdoppiamento della potatura invernale in due fasi: prepotatura a fine autunno-inizio inverno e potatura definitiva, più rapida, a fine inverno, in modo da ritardare il germogliamento e limitare al massimo i rischi di gelate primaverili. Un secondo vantaggio è rappresentato dalla riduzione di fertilità reale che consente l'eliminazione (o un sostanziale ridimensionamento) del diradamento dei grappoli, operazione praticamente ineludibile qualora si adotti il Guyot. L’opzione del cordone speronato, peraltro, incomincia ad essere adottata da alcuni viticoltori, con piena soddisfazione e senza particolari problemi.
Resistenza alle avversità per il Petit Rouge
Il Petit Rouge resiste bene ai freddi invernali; ma è sensibile all'eccessiva umidità sia nel suolo che nell’aria, ed è sensibilissimo alle scottature dovute al sole, caso frequente per il fatto che il vitigno viene per lo più coltivato in esposizione di mezzogiorno e in terreni leggeri, che possono beneficiare del calore proveniente dal riverbero del sole sulle rocce retrostanti; piuttosto delicato alla peronospora, ma specialmente all'oidio; e nelle annate in cui essi infieriscono, alle tignole. Non tollera l’eccesso di umidità nel suolo ed è molto sensibile al mal dell’esca.
Le condizioni ambientali nell'areale di coltivazione del Petit Rouge sono buone e non richiedono un numero elevato di trattamenti; tuttavia il Petit Rouge può essere soggetto a botrite, in particolare nelle annate più tardive e sui biotipi più compatti, così come nel caso di cattiva gestione agronomica (eccessivo affastellamento e file eccessivamente ravvicinate). Ovviamente può essere soggetto a oidio e peronospora, ma non lo considererei particolarmente sensibile dal punto di vista genetico.
Alcuni, rari, biotipi (sani) sono caratterizzati da colature estremamente accentuate e costanti nelle diverse annate; tuttavia generalmente per il Petit Rouge la colatura è semplicemente indice e risposta della pianta ad una condizione di potenziale sovrapproduzione. E’ soggetto a scottature del grappolo. Vi sono dei cloni putativi che presentano, nella fase terminale della maturazione, fenomeni di shrivelling, con necrosi di parte dei pedicelli. Questi fenomeni sono piuttosto costanti nelle diverse annate e comportano un leggero appassimento e ovviamente un abbassamento del peso del grappolo. Per quanto riguarda le gelate, abbiamo già detto che il Petit Rouge ha un'ottima tolleranza alle basse temperature invernali e apparentemente possiede una resistenza superiore alla media anche rispetto alle gelate di primavera.
Geopedologia del vitigno Petit Rouge
Le aree doc della Vallée comprendono sostanzialmente i bassi versanti e buona parte del fondovalle. Queste aree sono state modellate dai ghiacciai che hanno eroso i versanti e generato depositi morenici. Assolutamente rilevante è la variante antropica, che in aree relativamente difficili e complesse da utilizzare ha sottoposto ad interventi di gradonatura buona parte dei versanti occupati da depositi detritici a pendenza media e forte. Un altro intervento estremamente diffuso è quello dello spietramento, molto diffuso sui conoidi; anche in questo caso si produce una sorta di gradonatura della superficie connessa ai mucchi di spietramento che separano i singoli appezzamenti.
Sotto vigneto prevalgono di gran lunga suoli non o poco evoluti. Nei suoli non evoluti al di sotto della porzione di suolo scassato dall’uomo, spessa 50 – 90 cm si rinviene il substrato inalterato; raramente si rinvengono tracce o frammenti degli orizzonti naturali nella parte scassata.
In termini di profondità i suoli sotto vigneto ricadono in prevalenza nelle classi moderatamente profonda (50 – 100 cm) o profonda (100 – 150 cm); la scarsa presenza di suoli sottili (25 – 50 cm) è ovviamente connessa alle operazioni di scasso. La variabilità tessiturale dei suoli è bassissima. Circa il 70% dei terreni risultano franco-sabbiosi ed il 30% sabbioso-franchi. Il contenuto in scheletro (ghiaia) varia molto in funzione del tipo di deposito: nel till glaciale varia dal 20 al 40%, nelle falde detritiche e nei conoidi varia dal 40 a più del 70%. Tuttavia queste percentuali per falde e conoidi in particolare risultano profondamente alterate dagli spietramenti, che in molti casi negli appezzamenti coltivati hanno abbattuto le percentuali a valori attorno al 10 – 20%.
Anche la reazione (pH) dei suoli è poco variabile, variando da neutra ad alcalina. Il tenore in carbonati è prevalentemente compreso tra 10 e 20% ma presenta una maggior variabilità, con almeno il 25% dei profili privo (o quasi) di carbonati.
Da l'Enologo - n°7-8 Luglio/Agosto 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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