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Storia del Petit Rouge, rarità enologica della Valle d'Aosta

24 Luglio 2017
Storia del Petit Rouge, rarità enologica della Valle d'Aosta
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Da l'Enologo - n°7 - 8 Luglio/Agosto 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani

Le prime notizie, storiche, geografiche, ampelografiche ed enologiche riguardanti il vitigno Petit Rouge sono state fornite dal medico eporediese Francesco Lorenzo Gatta, socio libero della Reale Società Agraria di Torino, nel Saggio sulle viti e sui vini della Valle d’Aosta pubblicato nel 1838. Nel testo l’autore trascrive “i nomi proprii delle viti” adottati nel dialetto locale “scrivendolo colla ortografia francese per rendere meglio il suono del nome volgare”. Infatti, nel Saggio, il termine Petit rouge non è ancora presente se non nella forma dialettale di “Picciou rouzo” o “Picciourouzo”, termine ancora oggi utilizzato dai viticoltori più anziani.

A conferma, nella Ricerca sull’evoluzione, a memoria d’uomo, della tecnica e del linguaggio viticolo-enologico in centri rappresentativi del Piemonte e della Valle d’Aosta, la trascrizione di una intervista orale in patois, fatta, nel 1995, dal ricercatore Giulio Moriondo ad un esperto viticoltore nato nel 1905, riporta il termine dialettale “Picciou rodzo”.

Dal patois Picciou Rouzo al Petit Rouge

Tra la metà e la fine del 1800, nelle proprie Mémoires, il Canonico Jean-Louis Gorret, traducendo in francese il testo del Gatta, con il titolo Ampélographie valdôtaine ou nomenclature et description des divers cépages de vigne qui existent dans la Vallée d’Aoste, associò al termine dialettale “Picciou rouzo” il termine Petit rouge.

Nel tentativo di realizzare una classificazione tassonomica, il Gatta raggruppa alcuni “individui” di Petit rouge nella “specie Oriou” perché aventi caratteristiche comuni ma, talvolta, denominati in modo differente dai viticoltori a seconda delle località di individuazione o per particolari caratteri morfologici.

L’autore afferma che “la specie Oriou è indigena della vallata, e straniera per quanto mi consta agli altri paesi”. Il Petit rouge veniva vinificato assieme agli altri vitigni locali per ottenere “vini pasteggiabili, o comuni che dir si vogliano”.

A giudizio del Gatta “possono ritenersi per i migliori vini della valle superiore quelli di Aosta ... quelli di Arvier [tra i primi vini valdostani ad ottenere la Doc nel 1971], quelli di Saint-Pierre, poi di Sarre, di Chambave, di Nus ...”.

Zona denominata “Torretta”
Zona denominata “Torretta”

Nel comune di Saint-Pierre, in particolare nella zona denominata “Torretta”, il “Petit rouge”, in associazione al “Mayolet” e a qualche grappolo di “Oriou gros” fatto appassire “ tre o quattro mesi sopra i cannicci”, veniva utilizzato per la produzione limitata di “vini di lusso” che erano venduti “vecchi di cinque o sei anni in bottiglie”; di tale produzione, all’epoca, “circa la metà era mandata fuori del paese”.

Il Gatta descrive il Torretta come “vino vermiglio, gentile, odoroso, polputo, morbido, che ha molto spirito: esso va perdendo la parte colorante quando invecchia: prende un sapore delicato, che volge all’amaro aromatico, ed approssimarsi al belletto Nizzese, ma è più grato, più carico, più gentile: considerasi per molto serbatoio, e atto al trasporto”.

Nel 1877, la Commissione ampelografica della Provincia di Torino pubblicò il Catalogo dei vitigni allora coltivati nella Provincia di Torino di cui, a quel tempo, la Valle d’Aosta era parte. Nell’elenco, le differenze di nomenclatura del Petit rouge confermano le diversità di denominazioni già riscontrate dal Gatta nei vari comuni della regione. Nel 1879, il Circondario di Aosta partecipò alla Raccolta Ampelografica della provincia di Torino; in quell'occasione, assieme ad altri vitigni coltivati a quell’epoca nella regione, furono inviati due campioni di Petit rouge definiti dalla Commissione: “uva speciale della Valle d’Aosta, sulla quale si presero note” per indicarne la coltivazione esclusiva sul territorio valdostano.

Caratteristico della valle

Nel Saggio di una ampelografia universale scritto da Giuseppe dei Conti Di Rovasenda, pubblicato nel 1877, nell’elenco generale dei vitigni viene riportato il Petit rouge proveniente da Aosta, che “dà un buon vino; uva nera nel genere del Majolet, ma più grande”. Nella descrizione ampelografica, redatta osservando il vitigno nella propria collezione piemontese, questo viene definito: “uva nera a sapore semplice, foglie glabre sotto, intere od al più trilobate, acini sferici, germoglio glabro unicolore”.

 Vitigno Petit Rouge
Vitigno Petit Rouge

Successivamente, nel 1896, Louis-Napoléon Bich, presidente del Comice Agricole de l’Arrondissement d’Aoste (organizzazione agraria istituita per favorire lo sviluppo agricolo), pubblicò una Monographie des cépages de la Vallée d’Aoste et leur système de culture in cui viene confermato l’impiego degli “Oriou” e quindi anche del Petit rouge nella produzione dei migliori vini da tavola e di lusso della Valle d’Aosta e specificando:

ces cépages caractérisent spécialement la viticulture de la Vallée centrale”. Il Bich descrive il vitigno “Oriou Petit rouge” come “cépage très fécond, délicat, aimant les terrains silico-calcaires et les expositions soleillées de colline. Raisins serrés, grains ronds, donnant un vin délicat, fin, alcoolique (alcool au 12 p.%), parfumé en vieillissant, de longue conservation. L’Oriou Petit rouge produit les meilleurs crus de nos vallées, mais il a l’inconvénient de craindre la brûlure et d’être peu résistant aux invasions péronosporiques. Qualité de rendement et bonne à propager".

Una pubblicazione del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio del 1896, intitolata Notizie e studi intorno ai vini ed alle uve d’Italia, riprende, in parte, quanto detto da Gatta ricordando alcuni “vini fini e vini liquorosi” tra cui “il Torretta di Saint-Pierre, l’Enfer di Arvier, il Montouvert di Villeneuve …” affermando che “una volta questi vini erano assai pregiati e ricercati, ora invece non reggono la concorrenza dei vini liquorosi di Sicilia e Sardegna, che si vendono a buon mercato”.

 Petit Rouge della Valle d'Aosta
Petit Rouge della Valle d'Aosta

Nel 1902, Adrien Berget venne incaricato da Viala e Vermorel di verificare, per il Traité général de viticulture. Ampélographie, le varietà coltivate nei vigneti del Vallese e dei paesi limitrofi, tra cui la Valle d’Aosta. L’autore riassume tutte le conoscenze dell’epoca riguardanti il gruppo degli “Orious” e ne ipotizza l’origine valdostana in quanto l’ambiente storico di coltivazione era limitato alla Valle d’Aosta, ritenendo opportuno “considérer les Orious valdôtains comme véritablement autochtones”.

Come tutti gli autori precedenti, il Berget definisce l’areale di coltivazione tra “les altitudes de 776 à 575 mètres, qui sont celles d’Arvier et de Saint-Vincent”, l’associazione con altri vitigni per la produzione dei migliori crus: “ils étaient généralement associés au Majolet, plus précoce, qui apportait de la douceur au produit, et à la Corniola qui donnait de la couleur, de la finesse et du bouquet», le attitudini colturali: « les plus parcimonieuses et les plus fines, comme le petit Oriou ou Petit-Rouge, et le Voirard, dans les sols les plus secs et plus légers», le zone più vocate «les bons terroirs», e, infine, la descrizione ampelografica, dove distingue il «Petit–Rouge d’Aoste» dal «Petit-Rouge de Châtillon».

Nel 1964, il Petit rouge viene descritto da Giovanni Dalmasso e Luigi Reggio in una pubblicazione del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste intitolata Indici dei principali vitigni da vino coltivati in Italia e Guida viticola d’Italia. Come la maggior parte degli studiosi finora citati, anche loro si trovano in difficoltà nel “dipanare l’intricata matassa degli Orious valdostani” per individuare i sinonimi del Petit rouge.

Vino la Torrette
Vino la Torrette

Nel testo gli autori ribadiscono che gli “Orious costituiscono indubbiamente, ancora oggi, il nerbo principale della viticoltura valdostana” e “malgrado le importazioni sempre crescenti, specie in questi ultimi tempi, di vitigni piemontesi, veneti e perfino toscani, essi hanno resistito...”. Il vitigno viene descritto accuratamente dal punto di vista ampelografico, fenologico, agronomico ed enologico: “è bene accertato che, nella mescolanza, il Petit rouge è decisamente un elemento miglioratore sotto l’aspetto qualitativo, in particolare contribuisce ad elevare il grado alcolico; attenua in genere, ma lievemente, il colore; diminuisce l’acidità; conferisce, in misura notevole, morbidezza, profumo e aroma”.

Gli autori descrivono “un vino che prende il nome dallo stesso vitigno Petit rouge” e “i rinomati vini dell’Enfer e di Torretta che, come si è visto, traggono le loro denominazioni dalle località omonime”, concludendo: “Trattasi di vini che hanno conosciuto momenti di vera fama e che tutt’ora conservano il loro interesse se non sul piano commerciale per la loro modestissima quantità, certamente su quello delle rarità enologiche e turistiche”.

La più recente e completa caratterizzazione del Petit rouge è contenuta nel volume di Giulio Moriondo Vini e vitigni autoctoni della Valle d’Aosta, pubblicato nel 1998 dall’Institut Agricole Régional.

Da l'Enologo - n°7 - 8 Luglio/Agosto 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani

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