Vino biodinamico: quando il vino viene fatto con le stelle – Seconda parte
Leggi la prima parte di "Vino biodinamico: quando il vino viene fatto con le stelle"
Nella valutazione delle motivazioni che portano a scegliere il prodotto biologico e ancor più il biodinamico, di cui si è trattato nella prima parte di questo articolo, si può aggiungere - citando Levy-Strauss (2002) - che siamo di fronte all’ennesimo mito di cui ha bisogno anche l’uomo moderno, desideroso di volare alto, oltre i limiti angusti e desolanti della realtà descritta dal suo rigoroso sapere scientifico.
Il pensiero mitico brucia le tappe al contrario del pensiero scientifico che procede distinguendo i fenomeni e collegandoli in ordine rigoroso, come afferma Antonio Tirelli (2006). Il pensiero mitico propone immediatamente spiegazioni totali attraverso l’intuizione e il trasporto psicologico. Il pensiero esoterico degli steineriani non solo fa produrre un buon vino ma ci riappacifica con la natura ferita e umiliata dall’incoscienza e dalla malvagità dell’uomo tecnologico. Un grande filologo italiano del ‘900, Carlo Dionisotti, affermava che “il contrasto tra passato e presente, tra tradizione e innovazione sia stato inasprito in Italia da una maggiore sproporzione fra termini opposti, dal peso eccessivo della tradizione storico-letteraria e da un insufficiente sviluppo della nostra cultura scientifica e tecnica”. Auerbach sosteneva che nell’età barocca, nelle corti francesi, era importante mostrare conoscenza di tutto e di niente: la non conoscenza era un segno di aristocrazia. Oggi, fatte le debite proporzioni, come dice l’agronomo-scrittore Pascale, questa strana situazione sembra ripetersi.
Idealismo senza professionalità
Alcuni giovani formati nelle facoltà umanistiche o in quelle delle scienze della comunicazione, in mancanza di lavoro nei loro specifici settori di competenza, entrano con miseri compensi nelle associazioni ambientaliste o nei movimenti new age “con il nobile intento di porre fine non solo ai loro problemi, ma anche a quelli del mondo”. Si trovano così a dover spiegare e scrivere sugli effetti della CO2, sul riscaldamento globale, sui pesticidi sugli Ogm, senza competenze specifiche e quindi sono costretti a “volgarizzare” per informare il consumatore, concetti di chimica, agronomia, genetica, che non conoscono facendo colossali errori di interpretazione e di valutazione.
I viticoltori biodinamici provengono spesso da altre attività e quindi sono spesso preda della paura irrazionale di dover affrontare gli aspetti spesso incomprensibili del comportamento delle viti, delle sue reazioni al clima, al terreno, di dover potare o concimare o trattare malattie di cui non conosce nemmeno il nome.
La scelta è allora quella di affidarsi al consulente esperto di viticoltura, il quale però lascia poco spazio alle decisioni del proprietario o di affrontare i problemi con soluzioni alternative all’esperienza o alla conoscenza scientifica, “lasciando fare alla natura” attraverso i principi della viticoltura biodinamica, che garantisce la sicurezza emotiva, in quanto riduce il rischio di scelte errate e fornisce la stima e la considerazione degli altri biodinamici, aggiunge quel tocco creativo personale, al di fuori dei canoni della coltivazione tradizionale indicati dal mondo scientifico. Per i cultori della biodinamica la natura agisce per il meglio e sicuramente meglio di quanto di quanto gli esseri umani possano fare. Questa sorta di naturale saggezza è una posizione di conseguenzialità che non ritiene cioè che il rispetto della natura sia dovuto in ossequio a qualche legge, ma al contrario è dovuto in vista delle conseguenze negative se l’ordine è rifiutato o benefiche se è rispettato. Il “lasciar fare alla natura” non è però una garanzia, rappresenta il ritorno alla cultura del “buon selvaggio” di Rousseau.
Trappola per gonzi o distinzione sociale?
Ci si chiede: a chi sono destinati i vini prodotti dalla viticoltura biodinamica o meglio i produttori di vini biodinamici a chi vorrebbero far bere i loro vini ? Penso si possano dare due risposte: una cinica del giornalista inglese Nicholas Faith cui il vino biodinamico non esiste, è solo un argomento di marketing, una trappola per gonzi. E un’altra, più elegante, di Pierre Bourdieu esposta nel suo libro “La distinzione: critica sociale del gusto” (2006), in cui, partendo dalla considerazione che è il senso estetico a dare un significato alla distinzione, i gusti rappresentano l’affermazione di una differenza.
La cosmesi del corpo, l’arredamento di un’abitazione, la scelta di abiti firmati, la frequentazione di alcuni ristoranti alla moda, costituiscono altrettante occasioni per affermare la posizione che viene occupata nello spazio sociale. I produttori sono spinti dalla logica della concorrenza a produrre vini diversi che si incontrano con i diversi interessi culturali di cui i consumatori sono debitori alla propria condizione economica e sociale.
I consumatori di vini biodinamici sono infatti i nostalgici (di una agricoltura che non esiste più ma che è rimasta nei loro ricordi giovanili), gli ex sessantottini (che adesso hanno più di 60 anni, ma che hanno fatto carriera e spesso anche i soldi con i quali hanno acquistato un pezzo di terra dove fanno agricoltura biodinamica o qualcosa che gli assomiglia), i militanti di tutte la cause (insegnanti, artisti, sindacalisti, i contrari all’agroindustria, alla mondializzazione, agli Ogm, alle multinazionali), gli ecologisti della prima generazione (che vivono tutte le emergenze ambientali nelle scelte quotidiane di consumo e sono vegetariani o vegani), gli spiriti curiosi (che vogliono sapere cosa c’è in una bottiglia di vino diversa dalle altre e sono frequentatori di incontri di degustazione e ben informati sui vini proposti dalle guide). Spesso queste figure di consumatori diventano anche categorie di produttori biodinamici. Infatti, scorrendo gli elenchi di queste aziende, si trovano raramente dei viticoltori veri, quelli che hanno sempre coltivato la vigna e invece sempre più frequentemente industriali, scrittori, registi o attori che di campagna ne capiscono poco e che cadono con maggiore facilità nelle mani di qualche imbonitore.
Una questione di moda?
Spesso però l’acquisto di un vino biodinamico è frutto di un “riconoscimento” dell’oggetto senza comportare la conoscenza degli aspetti distintivi che lo definiscono in modo specifico, anche perché questi vini sono consumati il più delle volte quasi in semi clandestinità, in ristoranti di un certo livello, da persone non sempre intenditrici di vino e non sono disponibili nei tradizionali canali di vendita.
Questo rappresenta il vero limite alla diffusione dei vini biodinamici perché senza delle vere qualità intrinseche, ma solo perché sono di moda o per il riconoscimento fatto da taluni, sono destinati a vivere il tempo effimero delle mode e quindi a cadere rapidamente nell’oblio, sostituiti da nuove offerte di vini alternativi raccolti sotto le sigle più fantasiose e in rapida moltiplicazione (vini veri, da viticoltura biotica, vin natur, triple a, vini artigianali, vini del contadino, da vinificatori non professionisti, ecc.) che cercheranno di occupare la nicchia dei vini biodinamici.
La biodinamica salvaguardia la biodiversità?
Ci si può chiedere anche qual è l’effetto della viticoltura biodinamica sulle condizioni fisico-chimiche e biologiche di un suolo visto che tra gli obiettivi più importanti del metodo vi è la salvaguardia della biodiversità tellurica. Numerose ricerche pluriannuali svolte da organismi ufficiali sia negli Stati Uniti che in Europa hanno accertato che non vi sono differenze significative nelle caratteristiche dei suoli di vigneti coltivati in regime biodinamico e tradizionale, né sono state riscontrate differenze nella produzione e nella composizione chimica dell’uva.
In dettaglio le esperienze di J.Kahl dell’Università di Kassel sulla cristallizzazione sensitiva e sulla dinamolisi capillare provocata dalla dinamizzazione dei preparati biodinamici. Queste ricerche sono pubblicate su riviste autorevoli e non riportano né i metodi utilizzati nelle prove, né i risultati di cambiamenti effettivi nella struttura dei materiali, per cui è impossibile esprimere un giudizio.
Gli studi internazionali
Studi condotti dalla Dok per molto tempo in Svizzera mostrano gravi lacune nel disegno sperimentale che non consentono quindi di evidenziare alcuna differenza tra i risultati ottenuti dalle applicazioni del metodo biodinamico nei confronti di quello biologico preso come testimone. Inoltre i lotti di terreno trattati con metodo biologico sono stati trattati con letame leggermente decomposto, mentre i lotti sottoposti a regime biodinamico si è utilizzato letame “compostato in modo aerobico”, senza tener conto che queste due diverse fonti di sostanza organica avevano effetti diversi nella chimica del suolo e quindi sulla risposta delle piante sottoposte ai due regimi di coltivazione.
I presunti vantaggi delle applicazioni biodinamiche sono attribuibili alle maggiori somministrazioni di potassio e azoto o per contro all’effetto tossico del rame applicato nella viticoltura biologica . I risultati di ricerche pluriannuali sviluppate a Darmstadt (Germania) tra il 1996 ed il 2005 sono apparse fortemente lacunose nella descrizione dei trattamenti applicati e parlano genericamente di un “diverso metabolismo degli aminoacidi nel suolo” senza riportare l’effetto di queste differenze sulle prestazioni delle piante.
Il Research Institute of Organic Agriculture di Frick in Svizzera, organo deputato allo sviluppo ed alla diffusione di tecniche di coltivazione biologiche, sostiene che se si prendono a caso prodotti bio e convenzionali dai banchi del mercato, non si trovano differenze nutritive apprezzabili.
Recentemente la Hochschule di Geisenheim confrontando i risultati della viticoltura tradizionale, bio e biodinamica afferma che si ottiene una produzione di uva molto più bassa nelle viticolture alternative, attribuibile non tanto ai danni dei parassiti, ma a una mancanza di azoto nella pianta che riduce il peso di grappoli. Non sono invece stati modificati i parametri fondamentali del mosto e anche gli effetti sul suolo appaiono insignificanti.
In questi ultimi tempi in Italia si sta sviluppando un nuovo atteggiamento sulle tecniche biodinamiche, più laico, dove non si parla più di corno silice o di corno letame o dell’uso della vescica di cervo e di altre pozioni magiche ma si fa sempre più ricorso a termini come biologico, naturale, sostenibile, senza perdere tempo dicono “nelle teorie antroposofiche che esplorano il cosmo…
Considerazioni finali
Probabilmente “la virtù sta nel mezzo”, nella possibilità cioè di utilizzare gli strumenti della ricerca per dimostrare l’efficacia di alcune “buone pratiche” nella gestione dei vigneti per raggiungere un prodotto di alta qualità organolettica e nutraceutica.
D’altra parte si può ritenere senz’altro positivo il ruolo epistemico della viticoltura biologica e biodinamica, con l’obiettivo di stimolare il viticoltore a una più profonda attenzione verso la natura, anche se al giorno d’oggi il viticoltore non è più vittima della chimica. Forse lo era 50-60 anni fa quando non si conoscevano i reali rischi dell’impiego di alcuni prodotti fitoiatrici, ma non ora, per una matura sensibilità ambientale, c’è molta oculatezza nel loro impiego. La modernità diventa ogni giorno più riflessiva, il che significa che si preoccupa delle conseguenze involontarie della industrializzazione, della globalizzazione e del rischio che queste comportano.
È verosimile che nei prossimi anni avremo a disposizione i risultati dei programmi di miglioramento genetico delle resistenze che molti Paesi europei, tra cui l’Italia, stanno sviluppando: l’impatto sulla produzione e sul consumatore sarà paragonabile a quello che è avvenuto 150 anni fa con l’arrivo della fillossera. Ci aspetta una vera innovazione culturale sulla quale possiamo riflettere senza pregiudizi per trovare una risposta convincente a tutti i dubbi che ci poniamo.
In questo approccio integrato alla produzione dell’uva e del vino che vede conciliare efficienza economica, protezione dell’ambiente e rispetto della salute del consumatore, alla qualità del vino, il contributo della viticoltura di precisione appare decisivo.
In particolare gli sviluppi della ricerca su nuovi sensori per la valutazione della variabilità spaziale nei vigneti e la relativa influenza sulla qualità dell’uva, la stima dell’efficienza della chioma sui fenomeni di maturazione e sull’intercettamento dei fitofarmaci, consentono se applicati ad una meccanizzazione dei trattamenti antiparassitari e della raccolta, di realizzare una viticoltura compatibile con la tutela dell’ambiente.
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