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Un fervido augurio per i futuri destini dei nostri vini nel mondo

21 Febbraio 2018
Un fervido augurio per i futuri destini dei nostri vini nel mondo
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Da l'Enologo - n°1/2 Gennaio/Febbraio 2018 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani

Ha origini remote, il rituale degli auguri. E di certo risale al mondo classico. Con una solennità che non è più del nostro tempo. La tradizione si è infatti via via indebolita, fino a perdere del tutto quell’atmosfera di mito e di leggenda che l’accompagnava.

Oggi ci limitiamo a dire (o a digitare) “Tanti auguri”. Al più, con l’aggiunta di qualche affettuoso aggettivo. Sono pochi – e sempre più rari – quelli che motivano gli auguri, utilizzando qualche parola in più. Insomma, tanti auguri e basta.

L'augurio di Riccardo Cotarella ai vini nostrani
L'augurio di Riccardo Cotarella ai vini nostrani

Così suonerà strano che io senta il bisogno di superare questa convenzionale barriera e aprire il mio animo ad un augurio meno frettoloso e meno generico. Sarà perché appartengo ad altri tempi e ad altre stagioni, ma un rapido e sintetico augurio, proprio non l’accetto.

Di qui questo “sproloquio” (quasi irritante nell’era del web), che partendo da uno sguardo al mondo – come non augurare a tutti i popoli pace, serenità, benessere – si restringe via via al nostro Paese, per lo più segnato da una conflittualità permanente, e non solo fra le forze politiche. Basti pensare al mondo del lavoro, a quello delle istituzioni e alle lotte per i diritti del cittadino.

A questo clima non è estraneo quel magico pianeta, denso di insospettabili sviluppi, che è il vino. Per il quale gli auguri sono anzitutto l’espressione di una realtà vincente, che ormai sembra non avere più confini. Il vino italiano ha conquistato traguardi che mai avrebbero alimentato anche i sogni più ambiziosi dei nostri nonni. E invece ce l’abbiamo fatta! Per cui l’augurio è quello di ulteriori conquiste sul piano dell’eccellenza, del prestigio, dei valori storici (e quindi della cultura), che è alle spalle di ogni nostra bottiglia.

E allora? C’è solo da confidare che il mondo scopra, giorno dopo giorno, il valore dei nostri vini, figli di una biodiversità senza limiti, ma soprattutto espressione di quella sapienza enologica, che ha le sue lontane radici, nel territorio, nelle tradizioni, nella fatica dell’uomo. E poi che tante nostre bottiglie, che ancora non trovano il loro giusto valore commerciale e mantengono purtroppo un gap inaccettabile e inspiegabile con quelle francesi, possano trovare il giusto riconoscimento sui mercati di tutto il mondo.

È tempo che l’Italia, in questo settore, faccia valere i suoi meriti. Ma l’Italia non produce solo Amarone, Brunello, Barolo e Chianti c’è una folla di vitigni autoctoni di grande qualità, che attendono ancora di essere rivalutati. Si tratta di allevamenti in aree poco note, per cui i vini – anche se di sicura qualità e di solide tradizioni – stentano a farsi strada. E questo fatalmente comporta non poche ristrettezze economiche per chi conduce questi vigneti, con ogni mortificazione sul piano della dignità del lavoro e della relativa gratificazione. Il mio augurio – sincero, convinto, carico di speranza – va quindi anzitutto a questi viticoltori. Che il crescente successo del nostro vino nel mondo porti ad una felice scoperta anche di quelli meno famosi, ma al pari oggetto di ogni sapienza e di ogni amorevole cura.

La penisola italiana è ricca di vitigni autoctoni che devono ancora essere rivalutati
La penisola italiana è ricca di vitigni autoctoni che devono ancora essere rivalutati

E veniamo a quella densa rete di enologi, produttori, cantine sociali, consorzi di tutela, mass media, istituzioni e politici, che a vari livelli e competenze danno vita al “fenomeno vino”. A tutti un fraterno abbraccio e una valanga di auguri, perché il prestigio (e la fiducia del mercato) del nostro vino possano sempre brillare come una stella di eccezionale bellezza.

Vorrei solo aggiungere un pensiero, carico di entusiasmo e di speranza, per i giovani enologi. I destini del nostro impegno e delle nostre conquiste sono nelle loro mani. L’augurio è che agiscano sempre nel segno della deontologia professionale, sordi ai lusinghieri richiami di ogni falso profeta così come a critiche pretestuose di qualche rosicone. L’Assoenologi ha dato vita a una Sezione Giovani, nella ferma convinzione che ogni nostra fortuna sia affidata a loro. Ma qualunque patrimonio, per essere ben utilizzato, richiede onestà d’intenti e sicura preparazione. Quando per malaugurata sorte queste condizioni sono venute a mancare, anche i più saldi imperi economici sono saltati.

I giovani enologi hanno in mano il futuro del vino italiano
I giovani enologi hanno in mano il futuro del vino italiano

Diventa così prezioso e produttivo “costruire” la formazione dei nostri giovani. Solo la consapevolezza dell’eredità che è stata loro trasmessa – grazie al sacrificio, all’orgoglio e alla fede di chi ci ha preceduti – porterà a ben operare. Siamo realisti. Le sorti del nostro vino è nelle loro mani. Di qui un fervido augurio di ogni fortuna ai giovani enologi.

Sarei tentato, a questo punto, di allargare ad altri destinatari questo mio messaggio augurale. Ma appartengo a una generazione che procedeva con abbracci e strette di mano, ogni qualvolta erano in gioco i sentimenti. Così mi limito idealmente ad abbracciarvi tutti. Con l’augurio che il futuro del nostro vino sia sempre più radioso.

di Riccardo Cotarella

Da l'Enologo - n°1/2 Gennaio/Febbraio 2018 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani

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