Quando si parla di "evocazione" di una DOP?
I nomi registrati come DOP e IGP sono protetti da qualsiasi usurpazione, imitazione, evocazione. E' quello che sancisce l'articolo 13, comma 1, lettera b del Reg. ( UE )1151/2012 ed ancor prima il Reg ( CE ) 510/2006 ed il Reg ( CE ) 2081/1992. La previsione è stata ripresa dall'articolo 2, comma 2 del D. Lgs 297/2004.
L'evocazione tra due denominazioni
Si parla di "evocazione" quando qualcosa ci richiama alla mente un'altra cosa con lo scopo di sfruttarne la reputazione.
Nell'agroalimentare, quella dell'evocazione è una "vexata quaestio" sulla quale fortunatamente è intervenuta la sentenza della Corte di Giustizia che il 21 gennaio 2016, a nostro avviso, ha fatto estrema chiarezza sulla materia. La domanda di pronunzia era stata presentata a seguito di una controversia insorta tra una società finlandese e l'Autorità per l'Autorizzazione e la Vigilanza nel settore sociale e sanitario in merito alla decisione assunta da tale Autorità di vietare la commercializzazione della bevanda "Verlados" in quanto evocativa della denominazione "Calvados" registrata come indicazione geografica francese. Dopo attenta disamina, la Corte, con la sentenza de quo, ha stabilito che sussiste evocazione quando:
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tra due denominazioni esiste una similarità fonetica;
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le due denominazioni contengono lo stesso numero di sillabe;
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quando il termine utilizzato incorpora una parte di denominazione protetta.
La fattispecie si realizza perfettamente per "Calvados " e " Verlados":
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il numero di sillabe è lo stesso;
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esiste una similarità fonetica;
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entrambe le denominazioni contengono il suffisso "dos ".
La sentenza si applica evidentemente a tutte le indicazioni geografiche registrate, in quanto la normativa comunitaria, per ciò che concerne la tutela, è assolutamente identica per tutte le filiere.
Usare il nome geografico è evocazione?
L'illusione che fosse stata fatta chiarezza una volta per tutte è durata poco, in quanto purtroppo qualcuno non vuole comprendere...
E così c'è ancora chi ritiene che sussista evocazione quando, pur non realizzandosi la fattispecie contemplata nella sentenza, venga usato un nome geografico incluso in una denominazione protetta. Sarebbe assurdo, oltreché illegittimo pensare che un toponimo (ad esempio "Modena") sia esclusivo appannaggio di un'unica denominazione e che tutti gli altri produttori, operanti sullo stesso territorio, siano privati del diritto di utilizzare legittimamente il detto toponimo, con buona pace della ferma richiesta da sempre avanzata dall'Italia in ambito comunitario per ottenere l'indicazione obbligatoria del luogo di produzione in etichetta.
I fatti e gli atti delle Amministrazioni Pubbliche dimostrano come sia legittimo, purché veritiero, riportare in etichetta il luogo di produzione. Di più, l'articolo 26 comma 2 del Reg. (UE) 1169 /2011 prevede l'obbligatorietà dell'indicazione del luogo di origine qualora il consumatore possa essere indotto a ritenere che il luogo di origine sia altro. Ma, ove l'uso di un toponimo già incluso in una DOP o IGP costituisse evocazione e quindi fosse vietato, si arriverebbe al paradosso di dover ritenere che Regioni, Ministero ed Unione Europea abbiano agito da sempre "contra legem".
I provvedimenti del Ministero delle Politiche Agricole
Esemplifico: nella 17ª revisione dell'elenco dei prodotti tradizionali pubblicata con DM 14 luglio 2017, a firma del ministro del MIPAAF Martina, peraltro indiscutibilmente molto attento alla tutela del Made in Italy, sono inclusi, come negli anni passati, molti prodotti che riportano qualificazioni geografiche presenti in DOP ed IGP riconosciute.
A titolo meramente indicativo, ma assolutamente non esaustivo, si riportano le denominazioni di alcuni prodotti inclusi nell'elenco:
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formaggio caciotta di Asiago, in presenza dell'Asiago DOP già precedentemente riconosciuto a livello nazionale come denominazione di origine con legge 125 /1954;
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salami di Norcia in presenza del prosciutto di Norcia IGP;
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sopressa co l'ossocolo del Basso Vicentino, sopressa co la brazola del Basso Vicentino, sopressa col toco del Basso Vicentino, in presenza della Sopressa Vicentina DOP;
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guanciale amatriciano, in presenza del Prosciutto Amatriciano IGP;
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melanzana bianca di Senise, in presenza del peperone di Senise IGP;
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salsiccia di Bra in presenza del Bra DOP. E se è vero in quest'ultimo caso che i prodotti appartengono a due diverse categorie merceologiche, è altrettanto vero che la denominazione riconosciuta a livello comunitario è costituita esclusivamente dalla qualificazione geografica;
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tomino del Chianti e cece piccino del Chianti in presenza delle due DOCG Chianti e Chianti Classico che hanno ottenuto il riconoscimento DOC già con d.p.r. 9/1967. Ed è incontestabile che la qualificazione geografica Chianti abbia un enorme appeal nel mondo intero.
E non riteniamo di dover enucleare tutti i casi perché la lista sarebbe lunghissima. Peraltro chiunque, scorrendo l'elenco dei 5047 prodotti tradizionali, può constatare quanto numerose siano le qualificazioni geografiche già in uso a prodotti DOP o IGP, qualificazioni che le Regioni ed il Ministero hanno dimostrato, approvando l'elenco, di non ritenere evocative delle denominazioni riconosciute.
Cosa fa l'UE?
Ma se volgiamo l'attenzione ad un livello ultra nazionale ed esaminiamo il modus agendi della Commissione Europea, non possiamo non costatare come l'UE ritenga legittimo l'utilizzo della stessa qualificazione geografica per più denominazioni.
Per parlare solo di tre casi italiani, basta citare:
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il riconoscimento della DOP Chianti per l'olio, avvenuto nel 2000 pur in presenza del riconoscimento del vino Chianti risalente al 1967 ;
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il riconoscimento dell'Aceto Balsamico di Modena IGP, avvenuto nel 2009 pur in presenza del riconoscimento della DOP Aceto Balsamico Tradizionale di Modena avvenuto nel 2000;
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il riconoscimento della IGP Coppa di Parma avvenuto nel 2011 pur in presenza del riconoscimento del Prosciutto di Parma DOP.
Eppure in nessuno dei tre casi succitati i consorzi delle denominazioni storiche ritennero di opporsi a livello nazionale come sarebbe stato loro consentito, ovvero mostrarono di ritenere illegittimi i riconoscimenti.
Alla luce di tale analisi, risulta evidente che, se è lecito consentire l'utilizzo delle qualificazione geografiche quali "Chianti", "Asiago", "Parma" ecc. per i prodotti tradizionali e per altre DOP riconosciute successivamente, sarebbe illegittimo vietare ad un qualsiasi produttore di indicare in etichetta la località in cui effettivamente produce. Peraltro la tesi che un nome geografico contenuto in una denominazione protetta non possa essere usato da nessun altro produttore, innescherebbe un processo pericoloso ed assurdo per tutta l'UE.
Poichè l'imparzialità è principio cardine dell'azione amministrativa, si giungerebbe alla conseguenza paradossale di dover chiedere la cancellazione di un gran numero di denominazioni già riconosciute e l'eliminazione dall'elenco dei prodotti tradizionali di denominazioni utilizzate legittimamente da oltre un quarto di secolo.
Preme infine sottolineare che, poichè la normativa nazionale in materia di tutela di DOP ed IGP non è più restrittiva di quella comunitaria in quanto l'articolo 2 del d.lgs 297/2004, riprende l'art.13 del Reg. (CEE) 2081/92 che è stato pedissequamente traslato nell'art.13 del Reg. (UE) 1151/2012, è evidente che la problematica dovrebbe riverberarsi su tutte le produzioni dell'UE in quanto la normativa su DOP ed IGP ha la sua fonte nell'UE. Pertanto l'Italia dovrebbe richiedere la cancellazione delle denominazione anche degli altri Stati Membri in tutti i casi (e non sono pochi) in cui vi sia una stessa qualificazione geografica.
Cio' posto, ci lascia basiti la sola idea che qualcuno, vietando ad altri l'utilizzo di un toponimo già attribuito ad una DOP o IGP, implicitamente affermi, e neache tanto velatamente, che le Autorità Pubbliche a qualsiasi livello (regionale, nazionale e comunitario) abbiano da sempre violato in maniera tanto eclatante la legge.
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