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Le due culture: antitesi o sintesi? L'uso della scienza e il futuro del pianeta

19 Ottobre 2020
Le due culture: antitesi o sintesi? L'uso della scienza e il futuro del pianeta

L'interazione tra cultura umanistica e scientifica è fondamentale, perché porta ad una dimensione integrata delle funzioni del vigneto con quelle del paesaggio attraverso l’azione demiurgica dell’uomo. È necessaria una sintesi, che ci consenta di analizzare ampiamente le problematiche di un luogo, di un vigneto, evitando che gli interventi colturali proposti sortiscano effetti parziali, perché rispondono solo in piccola parte ai problemi di un sistema complesso.

La dizione “le due culture” è entrata nell'argomentare culturale a seguito di un saggio dal titolo “Le due culture e la rivoluzione scientifica" scritto da Charles P. Snow, fisico e scrittore inglese, autore del famoso libro Death under Sail (1932). Questa espressione accese una discussione infinita mettendo l’uno contro l’altro due personalità, che sino ad allora avevano abbastanza pacificamente convissuto, a volte addirittura collaborato, quella scientifica e quella artistico-letteraria.

Dalle pagine iniziali del suo libro, Snow descrive, con stile provocatorio, letterati e scienziati dell’Università di Cambridge come rappresentanti di due “culture” contrapposte che non comunicano e si guardano con reciproca diffidenza e incomprensione, qualche volta con ostilità e disprezzo. Dall’analisi dell’autore le due culture presentano caratteristiche differenti: quella scientifica è obiettiva, richiede verifica, progredisce; quella artistica è invece soggettiva ed estranea al concetto di progresso.

Si è molto insistito su queste differenze intrinseche, anche se in tempi solo recenti: queste due posizioni hanno in realtà più punti di contatto di quanto si pensi comunemente, a partire dallo scopo. Per Paul Klee, ad esempio, “l’arte non riproduce il visibile, ma lo rende visibile”, mentre per Eugenio Montale "lo scopo esplicito della poesia è la scoperta della verità".

 

Perché abbiamo bisogno delle due culture per bere un buon vino

Il suolo di un vigneto è un topos, un luogo fisico molto complesso, per le sue componenti fisiche, chimiche e biologiche che ne determinano il funzionamento e permettono la vita delle piante. L’analisi delle sue caratteristiche è dominio di molte discipline che vanno dalla chimica, all’idraulica, alla entomologia fino alla microbiologia. Un vigneto è anche un oggetto della speculazione estetica: il paesaggio, le sue strutture esplicite e latenti, la sua storia e l’azione dell’uomo sulle sue caratteristiche funzionali.

Da un punto di vista concettuale il pensiero che è alla base dell’analisi di queste due realtà è molto diverso e nel tempo l’utilizzo di strumenti di indagine appartenenti a campi della conoscenza molto lontani ha creato una frattura tra i due, che ha fatto perdere quella visione unitaria essenziale, per la loro difesa e valorizzazione. Abbiamo bisogno delle due culture, quella umanistica e quella scientifica, per ridare una dimensione integrata alle funzioni complesse del vigneto con quelle del paesaggio attraverso l’azione demiurgica dell’uomo.

È necessaria una sintesi, che non è quella suggerita dai movimenti new age o dall’esoterismo magico steineriano, ma che ci consenta di analizzare le problematiche di un luogo, di un vigneto, non per approcci separati, sviluppati dagli studi della chimica o della microbiologia, ma in un modo integrato per evitare che gli interventi colturali proposti sortiscano effetti parziali, perché rispondono solo in piccola parte ai problemi di un sistema molto complesso.

  Un vigneto che si estende vicino ad un antico castello  
    Un vigneto che si estende vicino ad un antico castello  

L'unicità del terroir

Nella lingua ebraica antica il termine adamat indica il suolo e ha la stessa radice di adami, il nome del primo uomo. Nello stesso modo il nome delle prima donna hava (eva nella translitterazione) significa vivente o che genera la vita. La stessa metafora riecheggia nel nome latino di uomo homo che deriva da humu e ha la stessa radice di umiltà. Da un punto di vista concettuale il pensiero che è alla base dell’analisi di questa complessità, ha perso nel tempo quella visione unitaria, necessaria per accogliere i progressi della ricerca scientifica. Il pensiero debole aristotelico e cosmico è stato sopraffatto da quello forte cartesiano e scientifico e in seguito positivista, il quale, con la scomposizione dell’insieme natura-cultura, ha in modo irrimediabile fatto perdere unicità al rapporto vino- vigneto.

In viticoltura, per le forti componenti simboliche portate dal vino, il pensiero è ritornato unitario solo attraverso il concetto di terroir, mentre è ancora lontana la percezione che l’innovazione genetica, attraverso la creazione di nuove varietà, possa essere il passo risolutivo verso una viticoltura totalmente sostenibile.

  La terra coltivata di un vigneto  
    La terra coltivata di un vigneto  

Abbiamo bisogno delle due culture, per collocare in modo sostenibile, da tutti i punti di vista, il vitigno in relazione nell’ambiente dove è coltivato, per riportare la viticoltura a quella mitica “età dell’oro”, precedente alla cosiddetta "viticoltura moderna” del XX secolo.

Un esempio di questa incomprensione è rappresentato dalle antiche e nuove paure che aleggiano nell’opinione pubblica nei confronti delle scelte che deve fare la viticoltura moderna attraverso le Nbt (New Breeding Techniques), per ridurre l’impatto della chimica nella lotta ai parassiti e per contrastare gli effetti del cambiamento climatico. La mancanza di una sintesi culturale ha creato artificiosamente una contrapposizione nella produzione del vino, definito in modo alternativo naturale o artificiale. La distinzione tra naturale e artificiale, tra ciò che è naturalmente divenuto e quello che invece è tecnicamente prodotto, è costitutiva della storia umana.

Ancora oggi vi ricorriamo in quasi tutte le pratiche quotidiane. Ci stiamo muovendo verso una storia della vita orientata dall’intelligenza e non più dall’evoluzione, che comporta la totalizzazione della natura.

Sostituire l'intelligenza all'evoluzione

Sostituire l’intelligenza all’evoluzione significa far cadere ogni barriera tra naturale ed antropico (artificiale). In realtà l’artificialità è intervenuta assai presto a modificare la naturalità della vita e la distinzione tra i due termini è molto meno intuitivo di quanto possa a prima vista sembrare. Una fascia di natura umanizzata dove natura e artificio sono ormai indistinguibili, esiste da migliaia di anni sul Pianeta. Abbiamo cominciato da molto tempo a modificare attraverso selezioni e incroci molte specie di vegetali e animali. Quello che sta cambiando in modo esponenziale è l’efficienza, la rapidità d’effetto e l’intensità dei nostri interventi, non la loro qualità “teologica”.

  Bottiglie di vino al termine del processo di imbottigliamento  
    Bottiglie di vino al termine del processo di imbottigliamento  

Il dovere dei ricercatori: spiegare la scienza

Siamo appena usciti da un secolo che ha intrattenuto con la scienza quasi sempre un cattivo rapporto, anche se ciò era in apparenza paradossale. La potenza imprescindibile dell’accelerazione tecnologica ha creato scompensi e pericoli di massa i cui effetti e la cui eco emotiva sono difficili da assorbire nel breve periodo.

La cascata di invenzioni e di scoperte hanno nella diffusione mediatica un ritmo pressoché quotidiano e mattina dopo mattina stanno sgretolando il muro sotto una valanga di colpi. I risultati sembrano per ora solo parziali: ricombinazione di geni, genome editing, cisgenesi, mappatura del genoma, nuove tecniche di fecondazione, produzione di cellule in vitro, nuovi prodotti di nanotecnologie e bioingenieria. Sul punto d’arrivo strategico vi è solo ormai una certezza quasi assoluta: d’improvviso ci troviamo dall’altra parte. Perché allora, in un momento in cui la scienza sembra raggiungere ogni giorno risultati più spettacolari, cresce il malumore nei suoi confronti? Nel passato uno degli esempi più eclatanti di questo fenomeno fu l’ostracismo verso gli Ogm.

Ora la spaccatura si è creata sul fronte delle vaccinazioni. L’esperienza che fecero Darwin padre e figlio in una serra del Kent al suono di un fagotto (suonato dal figlio) per scoprire il mistero della Drosera, pianta carnivora, della quale non si comprendeva il meccanismo per il quale riusciva ad aprire le sue foglie per catturare gli insetti, non portò ad alcun risultato, ma come accade sempre nella scienza, aprì la strada ad altri tentativi che riuscirono a chiarire il mistero. Questo è il senso del futuro, che spaventa oggi molta gente, che rifiuta così, assieme alla scienza, anche il futuro.

La comunicazione distorta

I mezzi di comunicazione più che informare disinformano, alla ricerca della notizia clamorosa che omologa le piante trasgeniche al rischio alimentare, al monopolio delle multinazionali nella ricerca, alla perdita di biodiversità e ci danno un'immagine negativa del mondo contemporaneo. Basterebbe che dedicassero qualche riga dei loro scritti alla riflessione sulle condizioni di vita dei nostri antenati, anche solo di 100-200 anni fa, che consentiva loro di vivere mediamente di 25 anni, ci renderemmo conto che lo stato attuale di benessere della nostra società è il risultato del miracolo della scienza.

Gli uomini compirono questo miracolo non erano né dei né stregoni, ma solo uomini che avevano fede nel futuro e che utilizzavano solo il metodo di Darwin, perché quel metodo è la scienza. Scienza è sperimentare, scienza è verificare con intelligenza le cose, scartare quelle che non vanno, accettare quelle che funzionano. Questa incapacità, o meglio il rifiuto ad affrontare, come individui e come nazione, il problema del ruolo della scienza nel mondo contemporaneo, è la radice principale delle nostre paure. I valori della scienza, onestà, tolleranza, determinazione, indipendenza e buon senso curiosamente non coincidono con quelli del populismo, dove prevalgono paura, rabbia, intolleranza. Il fatto che generalmente la scienza venga considerata in modo negativo, rende assai difficile spiegarne il valore.

  Un grappolo d'uva appena raccolto  
   Un di un grappolo d'uva appena raccolto

Perché il valore della scienza non viene spiegato in termini adeguati?

Il fatto che ufficialmente la scienza venga considerata in modo negativo e criminalistico rende assai difficile spiegarne il valore. Mentre qualche tempo fa gli scienziati esprimevano con franchezza le loro idee, ora è loro consentito fare qualche professione di fede, veemente quanto imbarazzata, magari alla radio la domenica mattina, perché queste esternazioni possono essere professionalmente dannose e non ben accette dall’opinione pubblica. Non estranei sono i mezzi di comunicazione di massa, che spesso disinformano più che informare, alla ricerca della notizia clamorosa che omologa le piante transgeniche ai frequenti rischi alimentari, al monopolio nella ricerca delle multinazionali, alla perdita di biodiversità, con toni catastrofici.

Anche l’Università ha le sue colpe, in quanto ha sottovalutato il ruolo della cosiddetta terza missione, quella della divulgazione, che dovrebbe affiancare e rendere esplicite le altre due, quella della ricerca e della formazione superiore.

L’innovazione genetica è sempre stata accolta con molta circospezione dalla viticoltura europea. Basti ricordare le battaglie appassionanti condotte in Francia e in Italia sull’innesto e sugli ibridi soprattutto tra il 1800 ed il 1900.

È verosimile che nei prossimi anni avremo a disposizione i risultati dei programmi di miglioramento genetico delle resistenze che molti Paesi europei, tra cui l’Italia, attualmente il Paese leader, stanno sviluppando: l’impatto sulla produzione e sul consumatore sarà paragonabile a quello che è avvenuto 150 anni fa con l’arrivo della fillossera. Ci aspetta una vera innovazione culturale sulla quale possiamo riflettere senza pregiudizi per trovare una risposta convincente a tutti i dubbi che ci poniamo quotidianamente e spesso risolti dalla ricerca.

Con il covid-19 cambia l'atteggiamento

Tra le poche conseguenze positive, forse l’unica, della pandemia Covid 19, c’è una rinnovata attenzione nei confronti del sapere e della scienza. La scienza sembra uscire bene da questo periodo di emergenza sanitaria, il linguaggio è stato prevalentemente tecnico e le competenze sono tornate al centro dopo un passato recente di post verità, di ultra semplificazione e irrisione degli esperti. La situazione di emergenza ha scomposto la percezione della scienza a più livelli: la scienza è indispensabile per capire la malattia, è utile per sapere come utilizzare i mezzi di prevenzione. Gli esperti rimandano al metodo scientifico lento, fatto di osservazioni e tentativi. Nel frattempo, il rapporto tra scienza e politica si è intensificato anche se l’inclusione della scienza nel processo politico non è ancora un passaggio naturale.

  Una vigna durante la stagione autunnale  
   Una vigna durante l'affascinante stagione autunnale  

Perché si esita ad invocare la scienza?

Difficile pensare che questo sia solo il risultato di linguaggi distanti. Qualcosa di nuovo si è comunque messo in moto, la consapevolezza di quanto sia necessario un nuovo paradigma di comunicazione sui temi scientifico, la necessità di adottare pedagogie innovative per rafforzare le conoscenze e le competenze di tutti, nessuno escluso.

Per coprire il gap che separa la faglia tra le due culture si può utilizzare la parola “interdisciplinarietà “, la saggia raccomandazione di studiare un oggetto, un’epoca, un problema, facendovi convergere tecniche diverse, elaborate in campi di sapere diversi, in sostanza significa “ricerca di qualità”. Si tratta allora di creare degli studiosi capaci di ricercare la qualità attraverso occasioni d’incontro tra specialisti di discipline diverse. Ma queste occasioni si creano all’interno di ottime università, popolate da ottimi docenti e da ottimi studenti: la ricerca di alto livello nasce su questo terreno, non altrove.

Sul fronte della formazione, questo significa che, prima di promuovere collaborazioni tra esperti di discipline diverse e la scrittura di libri in équipe, l’università dovrebbe continuare a curarsi della buona salute delle singole discipline e della buona qualità degli studiosi che le professano.

A questo proposito Piero Angela ritiene molto attuale e vivo il problema soprattutto in Italia, dove la scuola tende a separare nettamente i due ambiti di studio e le modalità con cui gli individui vengono formati, rimangono molto simili a quelle del tempo in cui Snow scriveva. Conclude citando una frase di Toraldo Di Francia, “non bisogna fare soltanto una tecnologia a misura d’uomo ma anche uomini ed intellettuali a misura di tecnologia“.

di Attilio Scienza

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