Il 52° Vinitaly conferma il suo primato nel mondo
Da l'Enologo - n°4 Aprile 2018 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
Continuo a privilegiare il dialogo, le parole, più che i numeri. Ma devo dire che il crescente successo del Vinitaly si misura soltanto “cifre alla mano”. Che è poi il solo modo per valutare fino a qual punto sono cresciute le varie “voci” dell’evento. Dai visitatori alle aziende partecipanti, ai buyer. Un ricco corpus che non lascia dubbi sull’incidenza del Vinitaly, sul piano economico. E non solo.
E qui mi sia concessa qualche considerazione su quello che i nostri vini rappresentano, al di là di ogni felice riscontro commerciale. La loro immagine è carica di storia, miti, leggende. Un coacervo di emozioni e di memorie che pesano tanto – e forse più – della qualità stessa. Fino a porsi come elemento-principe nelle scelte del consumatore.
C’è insomma la magia di un racconto che, dalle Langhe all’Etna, dall’Oltrepò Pavese alla Sicilia, conferisce una sua connotazione e una sua identità a ogni vino. Ebbene, questo straordinario patrimonio - che non impallidisce al confronto con i vini di Francia - è stato per anni affidato solo alle tradizioni familiari e al comprensibile orgoglio di quelle aziende che potevano far leva su un illustre passato. Così abbiamo avuto a lungo un messaggio di enorme presa, ma limitato ai canali di un topos o di una cantina.
Per cui spetta al Vinitaly (ed è a mio avviso un grande merito) avere affiancato alle finalità mercantili il recupero – e direi il riscatto, la divulgazione – di tanta storia. Che è poi quella cultura che dall’Asia Minore è passata in Grecia, e di qui dalle coste della Calabria a Roma. Perché il vino italiano è il solo a poter contare su trascorsi tanto remoti e tanto illustri.
Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere, ha affidato le sorti dell’evento non solo al marketing, entro i confini della fiera, ma alla magia del territorio, attraverso il “fuori salone”, costruito su misura per i winelover, in libera uscita da Verona. Il riscontro è superiore a qualunque previsione. Più di trentacinquemila appassionati hanno gustato i nostri vini, al di là dell’ambiente fieristico.
Siamo a quella componente che non rientra nei confini del mercato tout court, ma che rappresenta un segmento non trascurabile di quanti vanno alla scoperta dei nostri vini.
Così, ancora una volta, sono le cifre a tenere banco. Perché la presenza di centinaia di migliaia di visitatori provenienti da 140 Paesi unitamente a centinaia di espositori da circa 30 nazioni è un record che il mondo ci invidia. Mi piace sottolineare anche che saranno presenti circa 30.000 top buyer esteri, su un totale di circa 50.000 presenze estere. Fondamentale anche l’incremento annuo degli espositori stranieri che vede crescere l’area internazionale del 25% annuo. Ma i numeri, pur nella loro straordinaria forza dimostrativa, richiedono spesso una lettura meno sintetica. Sono traguardi eccezionali, dietro i quali c’è l’impegno costante e la capacità imprenditoriale sia delle cantine che di quanti hanno in mano le sorti del Vinitaly. Far crescere ad ogni edizione l’immagine e gli esiti di questa convention, non è impresa da poco. Specie se dalla partecipazione dei Paesi stranieri ci spostiamo a quella delle singole aziende.
Qui il boom ha superato ogni auspicabile previsione, il che ci consente di affermare a gran voce che il Vinitaly è il primo salone al mondo per vini e distillati. Ma lo è anche per quel fitto programma d’iniziative culturali (convegni, seminari, approfondimenti tematici, incontri, degustazioni) così largamente presenti, da indurre gli interessati a operare spesso delle scelte nel fitto calendario degli eventi.
Insomma, non solo business, ma anche un’intelligente politica che stimoli l’interesse del mercato attraverso una serie d’incontri e di presentazioni dei nostri vini nei lontani Paesi dell’Asia. È questa una strategia che il Vinitaly ha messo in atto già da qualche anno, forte di alcuni strumenti: contatti diretti e frequenti in loco con gli operatori del settore; corsi di formazione sulla storia e le caratteristiche dei nostri vini; comunicazione nella lingua dei Paesi interessati (un tempo solo in inglese).
Da l'Enologo - n°4 Aprile 2018 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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