Come sopravvivere alla guerra del vino
Da l'Enologo – n°11 2016 – Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
Di Stefano Castriota
Nel corso dell’ultimo mezzo secolo il mercato mondiale del vino è cambiato radicalmente. Fino agli anni Sessanta il vino è prodotto e consumato prevalentemente nel Mediterraneo: al consumo concentrato in Italia, Francia, Spagna e Portogallo si aggiungono nella produzione alcune colonie francesi del nord Africa come l’Algeria, la Tunisia ed il Marocco. A partire dagli anni Settanta, però, si assiste al ridimensionamento della produzione nell’Europa Mediterranea ed al crollo del nord Africa divenuto indipendente dalla Francia nonché alla prepotente entrata nel mercato dei paesi del Nuovo Mondo (soprattutto USA, Argentina, Cile, Sud Africa, Australia, Nuova Zelanda ed ultimamente Cina).
Questi paesi adottano una serie di innovazioni tecnologiche e realizzano importanti investimenti che portano ad una forte crescita sia quantitativa che qualitativa.
Due processi che convergono: il crollo dei consumi del vino
Dal lato della domanda, invece, si verifica a livello europeo e mondiale un processo di convergenza dei consumi che coinvolge sia i litri di alcol puro assunti - quindi i consumi totali indipendentemente dal prodotto - sia le preferenze verso le diverse bevande alcoliche disponibili sul mercato - quindi indipendentemente dalle quantità totali di alcol assunte.
Dalla Fig. 1, che mostra l’andamento dei consumi pro-capite di alcol indipendentemente dalle bevande preferite (vino, birra o superalcolici), si può notare come i paesi europei stiano procedendo verso quantità simili.
La Fig. 2, invece, che riporta l’evoluzione della quota di vino sul totale delle bevande alcoliche consumate indipendentemente dai consumi totali, mostra chiaramente come tali percentuali stiano convergendo verso valori simili.
Questi due processi di convergenza sono sfavorevoli all’Europa mediterranea.
I quattro summenzionati paesi partono da consumi di alcol elevati che nel tempo crollano e vedono la birra ed i superalcolici conquistare progressivamente i gusti delle nuove generazioni a scapito del vino. La combinazione di queste due tendenze ha generato un crollo dei consumi pro-capite di vino che in Italia sono passati da 120 a 36 litri all’anno nell’arco di un quarantennio. Ciò, in presenza di una popolazione pressoché stazionaria, ha generato un parallelo crollo dei consumi totali, il che è particolarmente problematico dal momento che il nostro Paese produce principalmente vino e non birra o superalcolici.
L’Europa mediterranea è, dunque, stretta in una morsa fatta di crollo dei consumi domestici da un lato ed aumento della concorrenza da parte di nuovi paesi dall’altro.
La situazione è resa ancor più difficile dal fatto che i paesi del Nuovo Mondo beneficiano di una serie di vantaggi competitivi tra i quali spiccano l’ampia disponibilità di terra, (talvolta) il basso costo della manodopera, il minore carico fiscale e le maggiori dimensioni medie delle imprese che comportano maggiori economie di scala e prezzi inferiori.
Per sopravvivere a quella che è stata definita la “guerra del vino” la politica economica deve agire su sei variabili chiave:
- Qualità dei prodotti: i consumatori sono sempre più sofisticati e i produttori sempre più agguerriti, quindi produrre vini scadenti è difficilmente sostenibile. È indispensabile continuare ad innalzare la qualità dei nostri prodotti, ad esempio migliorando gli standard di qualità delle denominazioni di origine ed investendo in Ricerca e Sviluppo.
- Marketing e sistema chiaro di classificazione dei vini: la qualità percepita è, però, più importante di quella effettiva dal momento che è la prima quella che influenza in modo diretto le scelte di acquisto e la disponibilità a pagare dei consumatori;
- Economie di scala e prezzi competitivi: la maggior parte del vino venduto è di qualità media o bassa e viene acquistato da consumatori molto attenti al prezzo. Le autorità pubbliche dovrebbero favorire mediante adeguati incentivi fiscali il processo di aggregazione tra le aziende più piccole in modo da renderle competitive e adatte a sopravvivere;
- Promozione della cultura enologica tra i consumatori: il problema principaledell’Europa mediterranea è il crollo dei consumi domestici che costringe i produttori ad una disperata corsa alle esportazioni per sopravvivere. È necessario, dunque, adottare un piano nazionale di educazione al vino per riavvicinare i giovani a questa bevanda coinvolgendo attivamente le associazioni di sommelier;
- Modifiche al sistema fiscale: per innalzare la qualità dei prodotti può essere utile spostare il carico fiscale dall’Iva alle accise lasciando invariata la pressione totale giacché le accise scoraggiano maggiormente l’acquisto di prodotti meno costosi che sono generalmente più scadenti;
- Ampiezza del patrimonio ampelografico: a parte alcune eccezioni come il Pinotage in Sudafrica, il Nuovo Mondo non dispone di vitigni autoctoni ed è costretto ad impiantare varietà internazionali coltivate con successo in tutti gli altri continenti. L’Italia è il paese con il maggior numero di vitigni autoctoni da vino al mondo. Ciò comporta indubbi vantaggi, come la possibilità di differenziarsi dai concorrenti, di aver sempre qualcosa da offrire anche quando le mode cambiano e di soddisfare i gusti di qualunque consumatore. Molti vitigni, però, sono sconosciuti e devono essere spiegati e promossi, il che richiede un’attenta politica industriale.
Di Stefano Castriota
Articolo tratto da l'Enologo – n°11 2016 – Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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