L'unicità del vino del Molise
Da l'Enologo - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
di Nino D'Antonio
Per secoli è stato un tiro a due. Dove però le forze non erano equamente distribuite. Così l’Abruzzo col suo retaggio di storia, cultura, arte e turismo (da quello dei campi di neve al mare), ha finito sempre per lasciare indietro quel Molise, umile e contadino, con il quale pure era chiamato a condividere i destini. Poi, il divorzio. E la nascita nel dicembre ‘63 della Regione Molise. Ovvero, il riconoscimento di un territorio e di una identità fino ad allora pressoché sconosciuti, al di là di quell’etichetta istituzionale che accomunava le due realtà. È cominciata, a questo punto, l’autonomia e la crescita del Molise. Lenta, faticosa, ma decisa e carica di orgoglio, anche se le carte su cui puntare non erano poi molte.
L'identità del vino in Molise
Ma qualcuna poteva vantare caratteri di assoluta unicità. È il caso di un vino, il Tintilia, che contrariamente ai tanti vitigni presenti in più areali (e si pensi per tutti al Sangiovese), è radicato da secoli solo nel Molise, e più precisamente nei sessanta comuni della provincia di Campobasso, e nei circa venti di quella di Isernia.
Certo, non mancano altri prodotti di punta (dal caciocavallo di Agnone e Capracotta alla Ventricina di Montenero di Bisaccia), ma l’unicità del Tintilia non ha termini di confronto. E questo anche perché Abruzzo e Molise non significa un tutt’uno, bensì l’accostamento di due entità in nome di una geografia, che solo in parte li accomuna. Piuttosto, risultano abbastanza contigue le radici storiche, almeno dall’avvento dei Normanni fino ai Borbone e all’Unità d’Italia. Intanto, il territorio abruzzese - rispetto al Molise - è quasi tutto sul versante adriatico, dove la costa si allunga per oltre centotrenta chilometri, fra le acque del Tronto e del Trigno, e i porti di Ortona e Pescara. Alle spalle, l’Appennino con due allineamenti montuosi, quasi paralleli all’Adriatico: il primo, con i Monti della Laga, il Gran Sasso e la Maiella; l’altro, con il Velino e il Sirente. Di contro, anche se il Molise arriva sull’Adriatico - parimente stretto fra due corsi d’acqua, il Trigno e il Saccione - non supera i trentacinque chilometri di costa e può contare solo sul porto di Termoli. Per il resto, al pari dell’Abruzzo è zona montuosa, che si attesta al crinale degli Appennini con i complessi delle Mainarde e del Matese, le cui punte superano talvolta i duemila metri.
Molise: terra di pascoli ma anche di cultura
Questo non significa ridurre il Molise a sola terra di pascoli e di ortaggi. La letteratura ha dato i suoi rappresentanti. Valga per tutti Francesco Jovine, Premio Viareggio 1950, con “Le Terre del Sacramento”, la storia di una rivolta di contadini, soffocata nel sangue dai fascisti e dai carabinieri.
E Nicola Mastronardo, che nel suo “Viteliù” ha racchiuso ben otto secoli di storia, restituendo al Molise un ruolo e una dignità del tutto sconosciuti. Anche la pittura non ha trascurato il Molise. Sono a testimoniarlo alcuni paesaggi di Michele Cammarano e soprattutto il famoso dipinto “Veduta di Casacalenda” di Marco de Gregorio, oggi al Museo di Capodimonte. E molisani sono pure due grandi paesaggisti – assorbiti poi nel contesto della Scuola Napoletana. – Armando De Lisio e Francesco Paolo Diodati. D’accordo, gli esiti non sono da primato, ma vanno comunque riconosciuti. L’Abruzzo rimane tuttavia sempre troppo forte, anche per quanto riguarda il mondo del vino. Dove il più noto e diffuso vitigno, il Montepulciano, si fregia dell’etichetta “d’Abruzzo”.
Un unico vitigno autoctono in Molise
E i vini del Molise? La diffusa presenza del Montepulciano e del Sangiovese costituisce la base per gli uvaggi dei Rossi, mentre Trebbiano Toscano, Falanghina e Bombino danno vita a una serie di Bianchi. Si hanno così tre Doc, Biferno, Molise e Pentro d’Isernia. Perché, in effetti, il territorio può contare su un solo vitigno autoctono, il Tintilia, che peraltro ha rischiato a lungo di scomparire, visto che se da un lato resiste alle altitudini, alla nebbia e alle gelate, dall’altro offre una produzione piuttosto modesta.
Poi, con gli anni Sessanta, superata l’invasione dei vitigni internazionali, anche il Molise si è preoccupato di tutelare la sopravvivenza di questo suo remoto vitigno. Certamente autoctono, a dispetto di quanto riportato nel Registro Internazionale delle Varietà, che lo accomuna al Bovale Sardo. Una sicura indagine a livello universitario ha infatti sancito la piena autonomia del Tintilia.
Il nome testimonia l’antica presenza dell’uva sul territorio, tenuto conto che la sua origine la riporta agli anni della dinastia aragonese sul Regno di Napoli, vale a dire a partire dai primi del Cinquecento.
Ed è questa la sola Doc autentica del Molise.
Le origini del Tintilia del Molise
A parte un pugno di vitigni autoctoni, ma di modesta produzione, il Molise può contare solo sul Tintilia, quel vino che – a ragione – per la sua unicità rappresenta il simbolo dell’enologia molisana. Le prime tracce del vitigno sono quanto mai remote. Risalgono infatti al XIII secolo a.C. i rari reperti del sito archeologico di Campomarino.
Poi, a partire dalla fine del Novecento, il Tintilia è stato al centro sia degli studi dell’agronomo Michele Tanno, che dell’Enoteca di Siena e dell’Università del Molise. Il vitigno presenta acini piccoli e ovoidali, di colore nero, grappolo spargolo e bucce piuttosto spesse. Viene allevato a controspalliera, con impianti tra quattro e cinquemila ceppi per ettaro. La fermentazione avviene di solito in vasche d’acciaio, e raramente in legno (per la Riserva), ad evitare che ne soffra il vitigno e i suoi sentori di frutti di bosco.
Le origini del Tintilia sono incerte e controverse. Anche se hanno tenuto banco a lungo, con suggestivi rinvii alla Spagna e al Portogallo, fino al Bovale Grande di Sardegna. Poi, i recenti studi sugli sviluppi del Dna, hanno permesso di demolire queste tesi per confermare l’assoluta autonomia di quel vitigno che anche nel nome alimenta non poche perplessità. L’ipotesi più intrigante è quella che lega il Tintilia con l’assonante Tentella, che nella parlata locale identifica una ragazza vivace, civettuola e ammaliante.
Poi, la Doc del 2011 e la costituzione del Consorzio di Tutela Tintilia Doc Molise, nel maggio del 2017, hanno impresso una svolta ai destini di questo vino, che conserva – al di là di ogni conquista della scienza – quel sapore d’epoca e di civiltà contadina che l’accompagna sin dalle sue origini.
Il Consorzio – nato dalla partecipazione e dall’orgoglio di sette aziende, distribuite nelle province di Campobasso e di Isernia – ha come obiettivo soprattutto la promozione e la conoscenza del Tintilia, le cui potenzialità sono ancora tutte da scoprire.
La produzione del vino in Molise
La regione ha un carattere montano, che supera appena del 5% quello collinare. D’altra parte, la zona di produzione del Tintilia impegna non meno di sessanta comuni della provincia di Campobasso e di altri diciotto in quella di Isernia. Un’estensione di tutto rispetto, che tuttavia non ha coinvolto il mondo della cultura. Così il vino è rimasto ancorato per secoli alle tradizioni della campagna e alla gestione delle famiglie, per cui bisognerà attendere i primi dell’Ottocento perché l’agronomo Raffaele Pepe dedichi uno studio al Tintilia.
Da allora - e sia pure in forme isolate e tutt’altro che frequenti - non sono mancate alcune testimonianze, quanto mai significative, se si tiene conto dell’isolamento del territorio. È il caso dell’Azienda Vinicola Ianigro, che ha imbottigliato il Tintilia dalla seconda metà dell’Ottocento fino al Novecento, quando vince a Parigi, nel 1890, un’ambita medaglia d’oro.
Ma la Doc Tintilia del Molise maturerà solo nel settembre 2011, frutto al tempo stesso della costante difesa della natura e dell’adeguamento ai più avanzati processi di vinificazione. E non è cosa da poco, se si pensa al peso di quel patrimonio di memorie, che ancora oggi registra tecniche e riti antichi. Che vanno dalle forme di allevamento ai sesti di impianto e ai sistemi di potatura. Tutte tecniche che per gran parte dei vignaioli non hanno subito grosse modificazioni. Le mani e le forbici del potatore capaci di tenere sotto controllo il carico di gemme, qui è un’immagine ancora attuale.
di Nino D'Antonio
Da l'Enologo - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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