Il vino come patrimonio culturale nazionale
”Il territorio - descriveva Giacomo Tachis - è un insieme di componenti del vino e della sua immagine: qualità del terreno, clima, esposizione del vigneto, tradizione, mito, cultura del contadino e del vinificatore”. Un concetto che ben esprime non solo la natura complessa di ciò che viene comunemente definito terroir, ma soprattutto la dimensione poliedrica del vino, la sua duplice appartenenza all’emisfero naturale e culturale. In un bicchiere di vino, accanto alle componenti chimico-organolettiche, troviamo infatti il paesaggio, l’arte, la storia, la poesia, la cucina e persino l’economia locale da cui quel vino prende vita. La metamorfosi del succo d’uva in vino è di fatto una trasformazione dell’agricoltura in cultura, è espressione delle capacità umane di plasmare la natura a “propria immagine”.
Vino testimone delle civiltà
”Il viticoltore - scrive il regista Jonathan Nossiter - è il cugino di campagna di tutti gli artisti che scrivono, dipingono, filmano, ballano e scrivono musica, e per questo motivo il vino è una specie di museo vivente, il testamento di uno specifico pezzo di terra”. Il vino è dunque cultura quando viene prodotto, ma è cultura anche quando viene consumato, perché non si sceglie mai un vino solo in base a criteri pratici o nutrizionali, lo si sceglie anche secondo un universo di usi, costumi e simboli, che ci inducono a riflettere sulla sua provenienza, sulla sua essenza e sulle emozioni che ci regala.
Del resto per noi italiani, e in generale per tutti gli abitanti d’Europa, il vino non è mai stato esclusivamente una delle variabili del computo calorico quotidiano, così come non è mai stato semplicemente una merce. Ha sempre rappresentato una parte integrante della nostra cultura e identità, testimone e strumento dell’avanzata della civiltà.
Parla degli uomini e della loro cultura
Come alimento il vino ci racconta una storia, soprattutto popolare, segnata fino a tempi relativamente recenti da fame e privazioni, in cui anch’esso era cibo, nutrimento calorico: “’L vino fa bòn sangue, l’acqua fa tremà le gambe”, recita un vecchio proverbio toscano. Ma è soprattutto in quanto portatore di molteplici significati e simboli che il vino ci parla degli uomini e della loro cultura. Da quando l’uomo ha incontrato la vite, infatti, ha avuto un rapporto particolare con questa pianta, plasmando paesaggi, tradizioni, linguaggi, valori e simboli sulla sua coltivazione e sul suo utilizzo.
"Il vino - scrive l'antropologo Ernesto Di Renzo - testimonianza, delle abilità trasformatrici dell’uomo sul dominio della natura, [...] ha costantemente rivestito una posizione di centralità economica ed alimentare fin dal suo esordio nella storia; una centralità che, con il progressivo accrescimento dei consumi, è andata via via ampliandosi fino ad oltrepassare i confini della sfera dei bisogni, spingendosi nel campo del mito, delle pratiche religiose, dell’arte, della musica e dell’immaginazione poetico-letteraria”.
Nel corso dei millenni il vino si è dunque caricato di forti e ben connotate valenze culturali, in virtù delle quali è stato diffuso dapprima in tutto il bacino del Mediterraneo, grazie ai Greci, successivamente in tutta Europa, sulla spinta dei Romani prima e del cristianesimo poi - che ne espansero commercio e coltivazione fino agli estremi confini -, arrivando persino a valicare gli oceani alla conquista di nuovi mondi.
Nei tralci della vite, nei processi di produzione e trasformazione del vino è dunque possibile leggere tutta la storia delle genti dell’Italia, e in generale del Mediterraneo, delle loro economie e strutture sociali, dei loro saperi e poteri, delle loro ideologie e simbologie. Il vino ci parla della cultura e degli uomini che l’hanno prodotto, dei loro valori etici ed estetici, delle loro cosmogonie, per questo rientra a pieno titolo, al pari di lingua o arte, nella definizione di patrimonio culturale inteso come testimonianza, materiale o immateriale, avente valore di civiltà.
Chiave del successo del made in Italy
È anche grazie a questa componente culturale se la vitivinicoltura italiana rappresenta oggi uno dei fattori chiave del successo del made in Italy nel mondo. Nonostante il momento economicamente non facile, in cui dalle tavole degli italiani - secondo quanto riportato da Coldiretti all’ultimo Vinitaly - è sparito un bicchiere di vino su cinque e i consumi sono scesi al minimo storico dall’Unità d’Italia, il vino italiano si è infatti dimostrato estremamente vivace, restando la prima voce dell’export agroalimentare con un fatturato in constante crescita (secondo le stime il 2015 si dovrebbe chiudere con un +6%, per un valore complessivo di 5,4 miliardi di euro).
Un successo non scontato in un mercato mondiale in continua evoluzione, sempre più affollato e competitivo, in cui l’Italia si trova ogni giorno a dover fronteggiare new entry capaci di dar vita a vini di ottima qualità a prezzi più che competitivi, oltre a storici rivali come Francia e Spagna che, non a caso, si sono già mosse verso un riconoscimento e una valorizzazione dei propri vini come patrimonio culturale.
Già nel 2003 la Spagna ha infatti promulgato una legge sulla vigna e sul vino, il cui preambolo afferma che ”il vino e la vigna sono inseparabili dalla nostra cultura” (Ley 24/2003, de 10 de Julio, de La Viña y del Vino), consentendo così di promuovere il vino spagnolo come patrimonio culturale, comunicando a pieno titolo il suo legame con il territorio. Un riconoscimento precoce dell’essenza culturale del vino, confermato nel 2010 dall’iscrizione della dieta mediterranea, descritta come ”un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni” che il vino accompagna, e di cui fa parte, nella prestigiosa lista dei patrimoni immateriali dell’umanità dell’Unesco.
Vino come produzione culturale
Un esempio che è stato poi seguito dalla Francia dove, nell’ottobre 2014, con l’approvazione della legge per il futuro dell’agricoltura, l’alimentazione e la silvicoltura, la vitivinicoltura francese è stata di fatto riconosciuta come una effettiva produzione culturale. È stato infatti fissato nero su bianco che ”il vino, prodotto della vite, i terroir viticoli e i sidri, i poiré, le bevande spiritose e le birre prodotti seguendo tradizioni locali fanno parte del patrimonio culturale, gastronomico e paesaggistico protetto della Francia” (Loi n. 2014-1170 du 13 octobre 2014 d'avenir pour l'agriculture, l'alimentation et la forêt).
Sulla stessa lunghezza d’onda si sono mossi oltreoceano anche Argentina (2013) e Uruguay (2014) approvando due leggi che hanno dichiarato il vino "bevanda nazionale". Una scelta accolta in entrambi i paesi con grande entusiasmo, poiché percepita come un utile sostegno alla produzione vitivinicola nazionale ed alla sua commercializzazione sui mercati esteri, ai quali i due paesi latinoamericani guardano con sempre più attenzione.
In Italia un riconoscimento del genere invece ad oggi manca, così come manca anche una ricerca organica, strutturata e generale sulla storia del vino e sulla sua componente culturale. Un vuoto che la proposta di legge per il Riconoscimento del vino quale elemento del patrimonio culturale nazionale avanzata dagli onorevoli Luca Sani e Massimo Fiorio vuole colmare, sancendo una volta per tutte che il vino riveste un ruolo centrale non solo nella nostra economia, ma anche e soprattutto nella nostra cultura.
Elemento rappresentativo dell’eccellenza e dell’identità italiana, il vino ne racconta la storia nelle sue diverse espressioni, ne disegna e aiuta a leggere le peculiarità che, da nord a sud, si snodano in quella varietà di declinazioni territoriali che fanno della penisola un esempio di biodiversità e multiculturalità unico al mondo.
È quindi di grande importanza riconoscere giuridicamente questa componente culturale del nostro vino, per sviluppare ulteriormente quel valore aggiunto fatto di storia, stile e “seduzione” che il vino italiano può vantare rispetto ad altri competitors. Una “marcia in più” in un mondo in cui la geografia del consumo sta progressivamente cambiando, non più trainata dai tradizionali paesi produttori/consumatori, ma da nuovi poli di consumo - basti pensare che oggi circa il 39% del vino viene bevuto in paesi non europei.
Riconoscere giuridicamente la componente culturale del vino italiano diviene così un passaggio fondamentale, non solo per aggiungere un ulteriore e importante tassello per quanto riguarda protezione e garanzia di origine, competenze e qualità, tutelando ancor più produttori e consumatori - in parallelo al Testo unico della vite e del vino -, ma per conquistarsi e garantirsi un posto in un mondo sempre più globalizzato in cui fare vino di qualità è ormai alla portata di molti. Un mondo dove si beve vino non più per dissetarsi, ma per il piacere e per le emozioni che esso regala, cioè per la cultura e la storia che si celano dietro di esso, perché ”i veri intenditori - diceva Salvador Dalì - non bevono vino: degustano segreti”.
Tratto da l'Enologo – n°3 2016 – Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani.
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