L'ampelografia nella storia
Da l'Enologo - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
“El buon vino nutricha defende la sanità e rendela e non è niuno beveraggio né cibo che tanto conforta quanto et generoso vino per la familiarità de la compagnia ch’a con la natura. Per esso la sanità e la fortezza perdura“.
Corniolo Della Corgna 1300/1400
L’Ampelografia si è evoluta nel tempo. Immagini di grappoli accompagnati da tralci e foglie sono notoriamente presenti fin dai tempi più antichi nell’iconografia delle civiltà mediterranee, basta pensare alle pitture, dalle piramidi egiziane, a quelle scoperte a Pompei, alle monete, ai fregi architettonici. Con l’avvento del Cristianesimo l’ampelografia assume un significato sacrale, nei convivi il succo dell’uva porta gioia al cuore dell’uomo e favorisce rapporti amichevoli.
Le opere georgiche e latine descrivono la vite, il territorio, il prodotto, in maniera sommaria, ma importanti testimonianze dal punto di vista storico. Notevole l’opera di Lucio Giunio Columella “De re rustica”. In dodici volumi, pervenuto integro, rappresenta la fonte di conoscenza sull’agricoltura romana, la viticultura, insieme ai lavori di Catone il vecchio, Varrone, Virgilio. Nel trecento, a opera di Pier de’ Crescenzi, (Bologna 1223-1320) viene stampato “Liber ruralium commodorum”, nel cui trattato si premura di individuare i caratteri morfologici e fisiologici della vite.
L'ampelografia nelle opere del periodo rinascimentale
Nel secolo successivo un nobile umbro, Corniolo della Corgna, dà alle stampe un’opera monumentale dal titolo “Il Divina Villa”, (lezioni di agricoltura tra XIV e XV secolo). Rimasto inedito e sconosciuto per oltre cinque secoli.
Nel 1572 Agostino Gallo dà giudizi sulle potenzialità enologiche di vitigni o gruppi di vitigni e Andrea Bacci, nel 1596, non trascura di accennare alle cultivar principali, benché il suo approccio sia piuttosto scettico sull’utilità dell’ampelografia.
Nel secolo successivo Giovan Vittorio Soderini dà alle stampe l’opera “La coltivazione della vite”. Lo segue poi Giovanni Battista. Croce nel 1606 con un trattato dedicato alle uve bianche e nere. A seguire, nel 1629, Prospero Rendella scrive il “Trattactus de vinea”, opere purtroppo prive di immagini. Di grande ausilio dal punto di vista iconografico sono le opere pittoriche di Angelo Merisi da Caravaggio, di Angelo Barbieri, esempio di come i pittori del ‘600 abbiano visto nell’uva un soggetto dalle potenzialità straordinarie, proprio grazie alle varietà, alle forme del grappolo, delle pagine fogliari e dei tralci.
L’esempio più lampante, ai fini dell’identificazione, lo abbiamo nelle tele di Bartolomeo del Bimbo detto Bimbi, vissuto fra il 1648 e il 1725, che in ben 38 tele pittoriche illustra le diverse varietà.
L'ampelografia nelle opere tra il 1700 e il 1800
Una rarità in mio possesso, stampata a Firenze nel 1773 dal titolo “Oenologia Toscana o sia Memoria sopra i Vini ed in specie Toscani”, scritta dal dottore Gio. Cosimo Villifranchi, medico Fiorentino e socio botanico, premiata lo stesso anno dalla R. Accademia d’Agricoltura Fiorentina detta dei Georgofili. I due tomi sono un compendio di saggezza in materia agricola, riguardante i vitigni italiani e stranieri, la produzione vinicola, la conservazione, la tutela del territorio, le regole per l’esportazione. La vastità dell’opera, oltre alla modernità dei concetti, meriterebbero un capitolo a parte che spero di trattare in un prossimo numero.
Prezioso il contributo del marchese Leopoldo Incisa della Rocchetta (1792-1871), che creò una collezione di vitigni di pregio caratterizzata da varietà autoctone ed estere, che col tempo divenne riferimento per gli ampelografi contemporanei.
L’Ottocento si distingue per la voluminosa stampa tipografica immessa sul mercato a causa della tecnologia, orientandosi verso forme decorative illustrate a colori, destinate ad attirare e istruire il lettore, dando luogo a vere opere d’arte. Autori e opere degne di essere menzionate sono: “Nuovi elementi di Agricoltura dodici libri del Conte Filippo Re” (Reggio Emilia 1765-1817) stampato a Milano dalla Tipografia di Gio Silvestri. L’opera in mio possesso risale all’ anno 1854, raccolta di dodici libri, già alla quarta edizione.
L'ampelografia con Giuseppe Acerbi e Giuseppe Di Rovasenda
Agli inizi del diciannovesimo secolo, due figure di studiosi hanno caratterizzato il panorama ampelografico. Giuseppe Acerbi (1773-1846) di Castel Goffredo in provincia di Mantova. Osservatore della natura, interessato al progresso dell’agricoltura in quanto possidente, viaggiatore instancabile, tanto che in una lettera cosi si definisce: “Non viaggiai per inquietudine, né per instabilità, ma per amore del sapere….”. L’Acerbi classificò, nella sua tenuta di Castel Goffredo, un numero considerevole di vitigni italiani e stranieri.
L’altro illustre studioso, il conte Giuseppe di Rovasenda, nasce a Verzuolo nel 1824-1913 da un’antica casata piemontese. Intraprese gli studi di giurisprudenza, che lasciò per dedicarsi all’ agricoltura con particolare attenzione alla viticultura. Nel 1860 iniziò a raccogliere campioni di vitigni piemontesi, nella propria fattoria di Verzuolo e successivamente aggiunse anche varietà coltivate di origine italiane. In pochi anni dal piccolo nucleo iniziale di vitigni, mise insieme una collezione enorme di livello internazionale, tanto da dovere acquistare un ulteriore collinetta nei pressi della sua tenuta. Nel tempo la collezione raggiunse ben 4000 cultivar, descritte minuziosamente in apposite schede. All’ epoca lo superava con oltre 4000 vitigni il barone Antonio Mendola di Favara (1828-1908).
Il Gallesio e l'ampelografia
Una delle opere di Pomologia e Ampelografia stampata a colori la dobbiamo al conte Giorgio Gallesio (1772-1839). Con un’impresa editoriale estremamente impegnativa e senza precedenti, il 5 settembre, Giorgio Gallesio stipulò un contratto con l’editore pisano Giovanni Rosini, che prevedeva la tiratura di 170 esemplari. L’opera doveva essere completata in dieci anni, in realtà ne richiese il doppio, provocando perplessità nei committenti sottoscrittori. Con l’uscita della 41esima dispensa, l’opera fu interrotta per la sopraggiunta morte del Gallesio.
L'ampelografia nelle opere di fine ottocento
Nel periodo che va dal 1874 al 1879 sarà la Francia a pubblicare in tre volumi “Le vignoble ou historie,culture et description avec planchescolorièes des vignes à raisins de table et à rasins de cuve”, a cura degli autori Mas e Pulliat, mentre i dipinti iconografici sono dei pittori Leoconte Cherpin e Falchetti. L’opera descrive 288 vitigni, fra essi non mancano, anzi sono numerosi, quelli italiani, studiati su materiale in loco e avvalendosi degli ampelografi italiani tra cui il barone Mendola, il conte di Rovasenda, De Bosis, Carpenè, Bianconcini, il marchese Incisa, il cav. Di Sambuy, attingendo inoltre notizie dalle opere dell’Acerbi, del Gallesio, di De Maria e Leardi.
Nel 1879 interviene il Ministero d’Agricoltura Industria e Commercio e dà alle stampe: “Ampelografia Italiana compilata per cura del comitato centrale ampelografico con la cooperazione delle commissioni provinciali”. Le tavole iconografiche erano affidate al pittore Giuseppe Falchetti di Caluso, che, in prossimità della maturazione delle uve, si recava presso i vari ampelografi accreditati nelle varie parti d’Italia, facendo sosta per due o tre mesi in modo da avere tempo di approntare una ventina di dipinti a olio, per poi affidarli al tipografo che trasferiva l’immagine su pietra litografica, e successivamente al cromolitografo che procedeva alla stampa definitiva (oggi tutto si risolve con un cellulare e la tecnologia digitale).
Visto l’enorme materiale ampelografico stampato nel ‘900 ritengo opportuno rinviare al prossimo numero la trattazione di questo affascinante tema.
Da l'Enologo - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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