Umbria
Approvato con DPR 07.08.1971 G.U. 219 - 31.08.1971 Modificato con DPR 24.10.1972 G.U. 30 - 02.02.1973 Modificato con DPR 13.10.1982 G.U. 68 - 10.03.1983 Modificato con DPR 17.04.1990 G.U. 244 - 18.10.1990 Modificato con DM 12.10.1992 G.U. 248 - 21.10.1992 Modificato con DM 01.09.1997 G.U. 216 - 16.09.1997 Modificato con DM 16.11.2000 G.U. 278 - 28.11.2000 Modificato con DM 31.05.2001 G.U. 141 - 20.06.2001 Modificato con DM 08.08.2003 G.U. 194 - 22.08.2003 Modificato con DM 03.08.2010 G.U. 191 - 17.08.2010 Modificato con DM 30.11.2011 Pubblicato sul sito ufficiale del Mipaaf Sezione Qualità e Sicurezza - Vini DOP e IGP
La denominazione di origine controllata “Orvieto”, ivi compresa la sottozona Orvieto Classico anche nelle tipologie secco, abboccato, amabile, dolce, superiore, vendemmia tardiva e muffa nobile è riservata ai vini bianchi che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. La tipologia vendemmia tardiva può essere rivendicata esclusivamente per il vino a denominazione di origine controllata “Orvieto” e “Orvieto” Classico con la qualificazione superiore.
I vini a denominazione di origine controllata “Orvieto” devono essere ottenuti dalle uve provenienti dai vigneti composti, nell’ambito aziendale, dai vitigni seguenti, nella proporzione indicata a fianco di ciascuno di essi: Trebbiano Toscano (Procanico) e Grechetto minimo 60%. Possono concorrere altri vitigni di colore analogo idonei alla coltivazione per la Regione Umbria e per la Provincia di Viterbo fino a massimo 40%, iscritti nel registro nazionale delle varietà di vite per uve da vino approvato con D.M. 7 maggio 2004 e successivi aggiornamenti, riportati nell’allegato 1 del presente disciplinare.
a) Le uve destinate alla, produzione dei vini “Orvieto” devono essere prodotte nella zona che comprende, in tutto o in parte, i territori amministrativi dei seguenti comuni: Orvieto, Allerona, Alviano, Baschi, Castel Giorgio, Castel Viscardo, Ficulle, Guardea, Montecchio, Fabro, Montegabbione, Monteleone d’Orvieto, Porano in provincia di Terni e Castiglione in Teverina, Civitella D’Agliano, Graffignano, Lubriano, Bagnoregio in provincia di Viterbo. Tale zona è così delimitata: sulla strada che da Castelviscardo conduce a Monte Rubiaglio, poco prima del centro abitato di quest’ultimo e all’altezza dello stabilimento termale, il limite segue in direzione ovest la variante a valle dell’abitato fino all’incrocio della strada che porta al podere Stabbione, segue quindi la medesima sino ad incontrare il fosso Pisciatello che discende in direzione nord sino alla confluenza con il T. Paglia in prossimità della q.164. Dal punto di confluenza in linea retta raggiunge il podere Molino e da podere Molino prende in direzione nord- est, la strada che porta alla borgata Stazione, percorrendola fino ad incrociare il fosso Ripuglie. Risale tale fosso sino all’altezza del podere Pianociano, prende il sentiero che conduce alla località Pratale (q. 360) e, proseguendo, incontra la provinciale per Allerona, prosegue sulla medesima, sino al centro abitato e all’uscita del medesimo segue la strada che, in direzione nord-est, passa per podere Fontalone e prosegue su detta strada fino ad incontrare il fosso Rivasenne (q. 280) che oltrepassa e dopo aver toccato il vocabolo Peccio raggiunge il fosso Rivarcale; discende lungo il medesimo e all’altezza di q. 240 segue in direzione est il sentiero per podere Poggio Lupo, lo raggiunge e poi in direzione nord-ovest prende il sentiero che passa per podere Mostarda (q. 335), podere Alvenella (q. 275), prosegue quindi fino a q. 227 e al ponte sul fosso Rimucchie segue una linea retta in direzione est fino a q, 222 in prossimità di un corso d’acqua che discende fino all’affluenza di questi nel T. Ritorto in prossimità della q. 216. Risale il T. Ritorto e superato di poco le Taie prende la strada che in direzione est raggiunge q. 242. Da q. 242 prende il sentiero che in direzione nord passa per q. 324, S. C.Marco, procede sempre verso nord lungo tale sentiero, costeggiando le quote 348 (Olivello), 359, 382, 393(Castel rosso) e 387, raggiunge la strada che porta a Fabro. Su questa via procede per Poggio della Fame da dove seguendo la strada in direzione nord incrocia a q. 252 la strada che da Salci conduce a Fabro. Lungo tale strada supera il bivio per Fabro e procede verso sud-est passando per le quote 247, 252, 237, 244, 237 (Casella), 240, 245 (S. Lazzaro); da qui procede sulla strada statale Umbro- Casentinese fino alla frazione di Santa Maria; superato il centro abitato di Santa Maria segue la vecchia strada statale Umbro-Casentinese incrociando in prossimità di Poderocchio il confine delle provincie Perugia e Terni, procede lungo tale confine in direzione nord-est sino a incontrare al chilometro 72 la strada statale Umbro – Casentinese (n. 71); lungo la medesima discende verso sud per un breve tratto fino all’incrocio con la strada che conduce al C. Cicolini I e Cicolini II, segue tale via sino a raggiungere la q. 427, da dove prosegue per la strada che verso sud porta al C.po Giorgione e raggiunge la strada che porta a Montegabbione; la segue fino a tale centro abitato e prosegue verso Monte Giove sino a incontrare in località Ceppete il R. della Fonte dell’Olimpia, affluente di destra del T. Sorre. Segue questo corso d’acqua sino a T. Sorre e poi sempre verso sud sino alla confluenza di questi con il T. Chiani e quindi lungo il T. Chiani sino all’affluenza in questi del Fosso della Volpia (q. 202). In prossimità della confluenza sulla sponda opposta del T. Chiani segue il sentiero che scende verso sud e passa per la Casella (q. 230), S.C. Gregorio(q. 290); e quindi in direzione ovest prosegue per il sentiero che lambisce la Macchia dei Passacci e Poggio Tonolo e infine incrocia un corso d’acqua affluente del R. di Poreale, segue tale affluente per tutto il suo corso in direzione nord e alla confluenza con il R. di Poreale, risale quest’ultimo sino a incrociare a q. 484 il sentiero che porta a C.se Mealla. Segue tale sentiero in direzione ovest, fino a incontrare a q. 544 la strada statale Umbro- Casentinese 71 e in direzione sud-ovest discende sulla medesima sino alla frazione Bagni. All’uscita del centro abitato di Bagni segue il sentiero che, in direzione nord-est, passando per il podere Santa Maria arriva al T.Chiani, lo attraversa e sempre seguendo tale sentiero, che costeggia il T.Chiani, attraverso il R.Secco, il fosso della Chiericciola, prosegue attraversando la contrada Mazzocchino e giunge a Marrano Nuovo. Segue poi la strada che conduce a San Faustino e prima di giungervi, all’altezza di Villa Laura, segue la via che conduce, in direzione sud-est, a S. Bartolomeo, da qui prosegue verso sud per il sentiero che passa per Casone, C.Mova, C. dei Frati fino al fosso della Capretta, che attraversa all’altezza di C. Bianca. Costeggiando il fosso della Capretta, il Borro Fontanelle e la strada vicinale, raggiunge C.Bianca (q. 382) e di qui, proseguendo, si congiunge a q. 322 con la strada che porta all’Osteria della Padella e prosegue lungo questa strada fino al bivio per S. Giorgio, prende la strada statale Orvietana (n. 79- bis), in direzione est e in prossimità del km 10 a q. 550 prende la via che attraversa Quercia Cola, Ceraso, Madonna del Fossatello, il Pegno, Podere Grotte Bandrilli, raggiunge Corbara; da qui risale verso nord per la strada che lambendo la località Prati e attraverso il podere Ischia, raggiunge il fosso dei Grottoni, segue questo corso d’acqua sino alla confluenza nel Tevere e risale quindi il corso del fiume. In prossimità del fosso Pianicello prende in direzione nord il sentiero che attraversa la località Piantatella, passa per la q. 245, costeggia a ovest il Poggio e prosegue sempre verso nord fino al podere il Colle (q. 337), prosegue sempre lungo il sentiero (q. 380 e 390) e quindi piegando verso est raggiunge q. 457 dove segue la strada che porta a Titignano; costeggiando il centro abitato scende lungo la strada verso sud, fino a raggiungere il limite di confine della provincia che segue nella stessa direzione fino al Tevere; risale il Tevere fino a incontrare il Fosso Pasquarella, in prossimità della confluenza di quest’ultimo prende il sentiero che, in direzione sud- ovest passa per le q. 304, 398, 460, 467, 494, attraversa la valle Spinosa e raggiunge l’edicola dedicata a S. Sebastiano sulla strada che conduce a Civitella del Lago. Prosegue quindi verso sud lungo la strada che porta al ponte dell’Argentario, superato di poco il ponte a q. 308, prende il sentiero che, in direzione sud, passa attraverso i poderi Casanova e le località S.Giorgio, Campo della Macchia, Piano della Fornace sino a raggiungere a q. 463, all’altezza di podere Pantano, la strada che conduce a Montecchio. Segue tale strada sino al centro abitato e superatolo prosegue per la via che conduce a S. Angelo, lo supera sino a incrociare il fosso della Bandita che discende sino a incontrare , per seguirla, la strada che conduce a Tenaglie. Da Tenaglie segue la strada che conduce a Guardea, superato questo centro abitato e passato per il P.te della Stretta segue, sempre verso sud, la strada che costeggia M. Civitella e Poggio S. Biagio, sino a incrociare il fosso Porcianese, discende lungo il medesimo e successivamente lungo il fosso Pescara fino alla sua confluenza nel Tevere, risale il Tevere fino alla confluenza del fosso di Montecalvello. Risale quindi questo fosso sino al suo incrocio con la strada che conduce a Graffignano (q. 91). Segue tale strada che attraversa Graffignano e Tardane sino a incrociare quella che conduce a Civitella D’Agliano, prosegue lungo quest’ultima in direzione di Civitella d’Agliano e superato il km.24 prende verso nord-ovest il sentiero che passa tra le località Morro della Chiesa e Torriti. Segue questo sentiero che attraversa Rio Chiaro ( q. 214) e prosegue per le quote 252, 299 sino a raggiungere in prossimità del km 8 la strada che da San Michele in Teverina porta a Civitella d’Agliano. Su tale strada prosegue costeggiando il centro abitato di S. Michele in Teverina e quindi prosegue e attraversa Vetriolo, Ponzano per raggiungere Bagnoregio. Attraversa Bagnoregio e sempre sulla stessa strada raggiunge in direzione nord Porano. Passando al di fuori del centro abitato di Porano prosegue per tale strada verso nord fino a raggiungere la strada statale Umbro-Casentinese (n. 71) in prossimità delle Case Buonviaggio. Segue tale strada statale n. 71 sino a V.la Nuova (q. 484) e di qui in linea retta verso ovest passa per le quote 482 (Graticello), 500 (S. Giovanni) fino a q. 530 sulla strada che attraverso Pian Rosato porta a S.Quirico, segue tale strada fino a q. 521 per poi prendere il sentiero che, in direzione ovest, porta a la Ceppa, la supera e all’incrocio del sentiero che il fosso del Piscino segue, in direzione nord-ovest, il limite che confina tra Castel Giorgio e Orvieto, fino al fosso della Vena, risale quindi questo corso d’acqua sino a incrociare il sentiero (q. 510) lungo il quale prosegue passando per le quote 516 e 514 fino a raggiungere C. Acquaviva. Da qui prende il sentiero verso nord, attraversa il fosso di S.Antonio e prosegue su tale sentiero fino a raggiungere la strada per podere Molare 2°, prima di giungere a questo segue il corso d’acqua che incrocia sino alla sua confluenza in prossimità della così detta Ripa che limita l’altopiano della piana di Orvieto. Il limite prosegue in direzione nord per la Ripa per poi seguire la strada che porta a Castel Viscardo che supera passando al di fuori del centro abitato; prosegue poi per la strada di Monte Rubiaglio fino alla variante a valle dell’abitato.
b) Le uve destinate alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata “Orvieto” designabile con la menzione classico devono essere prodotte nella zona di origine più antica appresso indicata. Tale zona, come da decreto ministeriale 23 ottobre 1931, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 288 del 15 dicembre 1931, è così delimitata: sulla destra del torrente Paglia: dalla confluenza del torrente Ritorto sul Paglia, il confine risale il corso del torrente Paglia ed il suo piccolo affluente di destra denominato Fosso delle Prese, fino ad incontrare la strada che sale a Castel Viscardo. Questa strada segna il confine fino al punto in cui incontra la così detta Ripa, che limita l’altopiano vulcanico sovrastante (lato sud-ovest) alla Piana di Orvieto. La Ripa segna il confine sino al ponte del Marchese e di qui, seguendo la strada che conduce a Bagnoregio sino al confine tra le provincie di Terni e Viterbo, seguendo questo confine sino all’incrocio con fosso Funcello a nord di Castiglione in Teverina, mantenendosi sempre sull’altopiano, torna verso nord scendendo a valle prima di Torre Massea e quindi il confine giunge al Tevere poco dopo la confluenza del Paglia. Sulla sinistra del torrente Paglia: il confine, dallo sbocco del torrente Ritorto (a valle del ponte ferroviario sul Paglia dopo la stazione di Allerona) attraversando il fosso della Sala, si porta a Castello Sala, costeggia la strada Ficulle- Orvieto e tocca Bagni; da qui tocca Pian della Casa e scende al torrente Chiani in contrada S. Carlo, passa presso Morrano Vecchio, poi sotto S. Bartolomeo, tocca Pagliano e Osteria, incontra in contrada Capretta la strada Orvieto-Prodo, raggiunge Osarella, Madonna del Fossatello, Corbara, traversa il fosso del Molinetto, il fosso Ramali e va a finire al Tevere di fronte a Salviano. Da Salviano il confine è segnato dal bosco che riveste i terreni cretacei del Lias sino a Montecchio. Da qui, per il fosso di Carnano, si chiude al torrente Paglia. (Dato che il fosso di Carnano non si getta nel torrente Paglia bensì nel Tevere, da tale confluenza il confine risale il Tevere fino a incontrare la delimitazione descritta per la zona a destra del torrente Paglia).
Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini “Orvieto” devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire alle uve e ai vini derivati le specifiche caratteristiche di qualità. Sono pertanto da considerarsi idonei unicamente i vigneti di giacitura ed esposizione adatti, con esclusione dei terreni di fondo valle, di quelli umidi e non sufficientemente soleggiati. L’altitudine dei terreni deve comunque essere compresa tra i cento ed i cinquecento metri s.l.m. Per i nuovi impianti e reimpianti la densità dei ceppi non può essere inferiore a 3.000 piante per ettaro. I sesti di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati o comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e dei vini. E’ vietata ogni pratica di forzatura. E’ consentita l’irrigazione di soccorso. La resa massima di uva per ettaro in coltura specializzata non deve superare per il vino a denominazione di origine controllata “Orvieto” 11 tonnellate per ettaro e per il vino a denominazione di origine controllata “Orvieto”con la qualificazione di superiore 8 tonnellate per ettaro. Per la tipologia Vendemmia Tardiva la produzione massima di uva in coltura specializzata, parzialmente appassita, non deve essere superiore a 7 tonnellate per ettaro e per la tipologia Muffa Nobile non deve essere superiore a 5 tonnellate per ettaro. Nelle annate favorevoli i quantitativi di uve ottenuti e da destinare alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata “Orvieto”devono essere riportati nei limiti di cui sopra, fermi restando i limiti resa uva-vino per i quantitativi di cui trattasi, purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi. Le eccedenze delle uve, nel limite massimo del 20%, non hanno diritto alla denominazione di origine controllata. Oltre detto limite percentuale decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutto il prodotto. Fermi restando i limiti sopra indicati, la resa per ettaro di vigneto in coltura promiscua deve essere calcolata, rispetto a quella specializzata, in rapporto alla effettiva superficie coperta dalla vite. Le uve destinate alla vinificazione dei vini a denominazione controllata “Orvieto” devono assicurare al medesimo un titolo alcolometrico volumico naturale minimo del 10,00% vol, mentre per la tipologia superiore devono assicurare un titolo alcolometrico volumico naturale minimo dell’11,00% vol. Diversamente le uve destinate alla produzione della tipologia Vendemmia Tardiva devono assicurare un titolo alcolometrico volumico naturale minimo non inferiore al 13% vol e la data di inizio della vendemmia delle uve destinate alla produzione del vino qualificato Vendemmia Tardiva deve avvenire non prima del 1° ottobre. Le uve destinate alla produzione della tipologia Muffa Nobile devono assicurare un titolo alcolometrico volumico naturale non inferiore a 16,00% vol.
Le operazioni di vinificazione delle uve destinate alla produzione del vino a denominazione di origine controllata “Orvieto”, anche nella tipologia superiore, di affinamento e di dolcificazione, anche con mosto concentrato rettificato, dello stesso, devono essere effettuate nell’ambito della zona di produzione delimitata all’art. 3, lettera a). E’ in facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, su richiesta degli interessati, di consentire, sentito il parere delle regioni Umbria e Lazio, ai fini della rivendicazione della denominazione di origine controllata “Orvieto”, anche nella tipologia superiore, le operazioni di vinificazione al di fuori della zona di origine a condizione che si tratti di casi preesistenti di aziende singole e/o associate, con cantine o stabilimenti situati nelle province di Terni e Viterbo, che già vinificavano al momento dell’entrata in vigore del decreto ministeriale 12 ottobre 1992. Le operazioni di vinificazione delle uve destinate alla produzione del vino a D.O.C. “Orvieto” classico, anche nella tipologia superiore, di affinamento e di eventuale dolcificazione, anche con mosto concentrato rettificato, dello stesso, devono essere effettuate nell’ambito della zona di produzione delimitata dall’art. 3, lettera b), e nell’ambito dell’intero territorio dei comuni compresi parzialmente in tale zona. E’ in facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, su richiesta degli interessati, di consentire, sentito il parere delle regioni Umbria e Lazio, in deroga a quanto previsto dal precedente comma, la vinificazione delle uve destinate alla produzione del vino “Orvieto”classico, anche nella tipologia superiore, a quelle aziende singole e/o associate site al di fuori della predetta zona di vinificazione purché dimostrino di aver vinificato con continuità le uve provenienti dalla zona di produzione del vino “Orvieto” classico, al momento dell’entrata in vigore del decreto ministeriale 12 ottobre 1992, in cantine o stabilimenti situati nelle province di Terni e di Viterbo. E’ altresì, in facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di consentire, in deroga a quanto previsto nel presente articolo, sentito il parere delle regioni Umbria e Lazio e della regione Toscana, qualora interessata, l’affinamento e la dolcificazione dei vini “Orvieto”e “Orvieto”classico, anche nelle tipologie superiore, amabile, abboccato e dolce, a quelle aziende singole o associate purché dimostrino di avere effettuato le operazioni di imbottigliamento con continuità nei cinque anni precedenti l’entrata in vigore del decreto ministeriale 12 ottobre 1992, in cantine o stabilimenti situati nelle regioni Umbria, Lazio e Toscana. Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche consentite dalle normative vigenti atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche. La resa massima delle uve in vino finito non deve essere superiore al 70% per tutte le tipologie. Qualora superi questo limite, ma non il 75%, l’eccedenza non ha diritto alla denominazione di origine controllata. Oltre il 75% decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutto il prodotto. Per la tipologia Vendemmia Tardiva la resa massima dell’uva in vino finito non deve essere superiore al 65%, qualora superi questo limite, ma non il 70%, l’eccedenza non ha diritto alla denominazione di origine controllata. Oltre il 70% decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutta la partita. Per la tipologia Muffa Nobile la resa massima dell’uva in vino finito non deve essere superiore al 60%, qualora superi questo limite, ma non il 65%, l’eccedenza non ha diritto alla denominazione di origine controllata. Oltre il 65% decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutta la partita. La qualifica superiore può essere usata per designare i vini “Orvieto” e “Orvieto” classico provenienti da uve che abbiano un titolo alcolometrico volumico naturale minimo dell’11,50% vol come previsto all’art. 4 e che vengano immessi al consumo dopo il 1°marzo dell’annata successiva a quella della vendemmia.
I vini a denominazione di origine controllata “Orvieto” all’atto dell’immissione al consumo devono rispondere alle seguenti caratteristiche:
colore: giallo paglierino più o meno intenso; odore: delicato e gradevole;
sapore: secco con lieve retrogusto amarognolo; oppure abboccato o amabile o dolce, fine, delicato; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol; acidità totale minima: 4,5 g/l; estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l.
I vini “Orvieto” con la qualificazione superiore all’atto dell’immissione al consumo devono avere un titolo alcolometrico volumico totale minimo del 12,00% vol.
Per la tipologia Vendemmia Tardiva:
colore: dal giallo paglierino al dorato; odore: gradevole e profumato; sapore: dolce ed armonico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 13,00% vol di cui almeno 10,00% effettivi; acidità totale minima: 4,5 g/l; estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l.
Per la tipologia Vendemmia Tardiva prima dell’imbottigliamento può avvenire una lenta fermentazione che si attenua nei mesi freddi.
Per la tipologia Muffa Nobile:
colore: giallo oro tendente, con l’invecchiamento, all’ambra; odore: gradevole, profumato ed elegante, ricco ed untuoso; sapore: dolce, lungo e di armoniosa morbidezza; titolo alcolometrico svolto al consumo: minimo 10,50% vol; acidità totale minima: 5,0 g/l. estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l.
È in facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di modificare con proprio decreto i limiti sopra indicati per l’acidità totale e l’estratto non riduttore. I vini a denominazione di origine controllata “Orvieto”, in tutte le tipologie, ove sottoposti al passaggio o conservazione in recipienti di legno, possono rilevare lieve sentore (o percezione) di legno.
Nella designazione e presentazione dei vini a denominazione di origine, controllata “Orvieto” la qualificazione “classico” è riservata al vino proveniente dalle uve prodotte nella zona delimitata all’art. 3, lettera b), e vinificate nell’ambito della relativa zona di vinificazione specificata all’art. 5 del presente disciplinare. La qualificazione “classico” deve figurare in etichetta in caratteri di dimensioni non superiori a quelli utilizzati per la denominazione “Orvieto”. Nella designazione e presentazione dei vini a denominazione di origine controllata “Orvieto” è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste dal presente disciplinare ivi compresi gli aggettivi “extra”, “fine”, “riserva”, “scelto” “selezionato” e similari. E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi 8
privati non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l’acquirente. Le indicazioni tendenti a specificare l’attività agricola dell’imbottigliatore quali “viticoltore”, “fattoria”, “tenuta”, “podere”, “cascina” ed altri termini similari sono consentite in osservanza delle disposizioni UE e nazionali in materia. Nell’etichettatura e presentazione dei vini di cui all’art. 1 è obbligatorio l’indicazione dell’annata di produzione delle uve.
Per i vini a denominazione di origine controllata Orvieto e Orvieto Classico, in tutte le loro tipologie, è consentito l’utilizzo dei vari dispositivi di chiusura ammessi dalla vigente normativa in materia. Per la denominazione Orvieto e Orvieto Classico è obbligatorio utilizzare contenitori in vetro fino a 3 litri. E’ consentito, per la sola denominazione di origine controllata Orvieto, con l’esclusione della tipologia superiore, l’utilizzo di contenitori alternativi al vetro costituiti da un otre in materiale plastico pluristrato di polietilene e poliestere racchiuso in un involucro di cartone o di altro materiale rigido di capacità non inferiore a 2 litri e non superiore a 10 litri.
A) Informazioni sulla zona geografica
1) Fattori naturali rilevanti il legame
La zona Geografica è situata nell’ambiente collinare a sud ovest dell’Umbria, fino all’alto Lazio. L’avvio dello stretto binomio “coltivazione della vite-produzione di vino” pare risalire al X sec. a.C., quando gli Etruschi conquistarono la scoscesa rupe e fondarono l’antica Velzna. Si ritiene, infatti, che proprio questa civiltà abbia intuito che la particolare costituzione del masso tufaceo era favorevole alla lavorazione ed alla conservazione del vino, dando vita ad un primordiale sistema di vinificazione chiamato “a tre piani”. Nelle cantine l’uva si pigiava a livello del suolo ed il mosto, attraverso apposite tubature di coccio, colava nei locali sottostanti in cui fermentava. Dopo la svinatura, il vino si trasferiva a un livello ancora più profondo, adatto per la maturazione ed il lungo affinamento. Questo sistema di gallerie sovrapposte, spesso ventilate dalle bocche aperte sui costoni della rupe, garantiva sicuramente la qualità di un prodotto amabile, frizzante e molto piacevole, soprattutto se confrontato con altri vini d’epoca. Velzna conobbe un notevole prestigio tra l’VIII e il VI sec. a.C. in virtù della sua centralità all’interno dell’Etruria che ne facilitò lo sviluppo economico grazie agli scambi commerciali che poteva intrattenere con gli altri centri. A tutto ciò fece riscontro un analogo sviluppo sociale, urbanistico, artistico e demografico, come è ampiamente documentato dai numerosi ritrovamenti archeologici. Il territorio in esame è interessato da affioramenti di una quindicina di formazioni geologiche le quali, sulla base di analogie litogenetiche e petrografiche, nonché in funzione del loro comportamento quali substrati pedogenetici, possono essere così raggruppate ( Calandra e Leccese, 2004):
ARGILLE: argille ed argille sabbiose, anche di facies sublitorale (pleistocene) che si rinvengono a Spinaretta, Decugnano , M.Largo, S.Spirito, M. Cavallo, nonché alla base della rupe di Orvieto ed a valle degli abitati di Porano, Civitella del Lago e Rocca Ripesena. Argille ed argille sabbiose, grigio-azzurre (pliocene medio inferiore) presenti a Torre dell’Olfo, Poggio Montone, Poggio Ciculetto, Poggio Lupo, Civitelle, ecc.;
FORMAZIONI VULCANICHE: colate laviche di varia natura (latiti, trachibasalti, monoliti, nefriti, lecititi) e coni di scorie riferibili alle manifestazioni eruttive finali degli apparati velini settentrionali (Pleistocene) presenti a Palombaro, San Quirico e La Guerciana. Colate piroclastiche di tipo tefritico-fonolitico degli apparati vulsini (tufo litoide a scorie nere) di Porano e Bardano (pleistocene). Colate laviche di varia natura (latiti, trachiti, nefriti leuciti che, leucititi) riferibili alle manifestazioni eruttive iniziali degli apparati vulsini settentrionali (pleistocene) affioranti a Sugano, Canale Vecchio, Lo Spuntone, ecc. Tufi stratificati degli apparati volsini costituiti da alternanze di lapilli, tufi terrosi, pomici, ceneri. Tufiti con intercalazioni di travertini, concrezioni travertinose e diatomiti (pleistocene) particolarmente diffuse a Botto, Le Velette, Canale Nuovo, Tordimente, S. Egidio, ecc.;
ALLUVIONI: alluvioni attuali, recenti e del terrazzo più basso prevalentemente sabbio ciottolose (olocene), che coincidono con le superfici di pianura presenti ai bordi dei fiumi Tevere e Paglia, nonché del torrente Romealla e dei fossi della Sala, di Calenna, di Pogliano, ecc. Depositi alluvionale del terzo ordine dei terrazzi, elevati da 5 a 15 metri circa sull’alveo attuale (olocene-pleistocene) come quelli di Ponte Giulio e di Cardeto. Depositi alluvionali del secondo e primo ordine dei terrazzi, elevati da 15 a 50 metri circa sull’alveo attuale (pleistocene), come a Pomontone ed alla Barca di Renaro;
SABBIE E CONGLOMERATI: sabbie gialle con livelli di conglomerati talvolta cementati e di arenarie grossolane argonogene (pliocene superiore-medio) come a S.Caterina, La Sbarra, Salviano e Caserlena. Conglomerati poligenici di facies deltizia, sabbie e sabbie argillose da salmastre a litorali (pliocene medio-inferiore) osservabili a Monterubiaglio, S.Giovanni, Benano, Cerreto, Morrano e S. Bartolomeo. Sabbie e sabbie argillose con livelli salmastri e con intercalazioni di ciottolate fluvio-deltizio (pliocene superiore-inferiore) riscontrabili a Murotondo, Castellunchio, Fainello, Osarella, Poggio Canalini e Viceno.
PLUVIOMETRIA: dall’analisi delle precipitazioni emerge, una maggiore piovosità in autunno, con il 35-36% delle piogge totali, segue il trimestre invernale con il 26-27%, poi quello primaverile con il 22-23% ed infine quello estivo con il 15-16%. Le piogge hanno la massima intensità in ottobre, con 102 mm e novembre con 107 mm. Questi eventi, soprattutto in ottobre, possono arrecare disturbi alle operazioni di vendemmia, ed in modo particolare in presenza di vitigni tardivi e di vigneti esposti a nord. Al contrario, il periodo estivo è caratterizzato da scarse precipitazioni (luglio e agosto con medie di 33 e 40 mm di pioggia) che, potenzialmente, possono creare problemi di carenza idrica, soprattutto in alcune tipologie di suolo (es. con scarsa capacità di ritenzione idrica, con limitato franco di coltivazione, ecc.), in ogni caso le precipitazioni medie annue si attestano tra i 700 e i 1000mm di pioggia.
TERMOMETRIA: i valori di temperatura dell’aria mostrano un andamento sostanzialmente ordinario con i massimi termici in corrispondenza dei mesi estivi ed i minimi in quelli invernali. Picchi massimi di temperatura media dell’aria si hanno nei mesi di luglio (23,7°C e 23,8°C) e di agosto (23,7°C e 24,1°C), cui seguono, nel periodo di pre-vendemmia, temperature più basse rispetto alla precedenti, che contribuiscono alla migliore evoluzione qualitativa aromatica e polifenolica delle uve. I valori medi minimi di temperatura sono riscontrati in gennaio (6,4°C a 5,5°C) e in dicembre (6,7°C e 6,4°C).
2) Fattori umani rilevanti per il legame
Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio. Ad Orvieto tutto profuma di uva e di vino perché la coltivazione della vite ne ha da sempre caratterizzato il paesaggio e l’economia: vigneti curati si dispongono intorno alla rupe in un disegno armonico dove le linee parallele dei filari si intersecano con quelle ondulate delle colline. Per la città, dunque, il vino è un’importante risorsa, una peculiarità distintiva che si protrae ininterrottamente nei secoli e a testimoniarlo sono l’archeologia, l’arte, la storia, l’artigianato e la letteratura, tanto che la produzione dell’Orvieto di qualità è stata apprezzata e celebrata nel tempo da poeti, papi, artisti e viaggiatori. Ma prima ancora delle parole, il ruolo fondamentale del vino nella vita quotidiana e nei riti culturali di Orvieto è attestato negli importanti dipinti delle tombe etrusche del territorio (seconda metà del IV sec. a.C.) e nella ricca varietà di ceramiche etrusche e greche destinate alla conservazione, alla mescita e alla degustazione della celebre bevanda. Gli affreschi della tomba Golini I, conservati presso il Museo Archeologico Nazionale di Orvieto, riproducono le fasi preparatorie del banchetto etrusco dove la macellazione delle carni e l’accurata sistemazione delle bevande nei recipienti e dei cibi sulle mense da parte dei servi – tra la frutta si individua facilmente anche un grappolo d’uva - affiancano il banchetto vero e proprio. L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è in particolare riferita alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione: - base ampelografica dei vigneti: i vitigni idonei alla produzione del vino Orvieto sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica delimitata dall’ ART. 3 del presente disciplinare ed in parte da vitigni catalogati idonei nelle piattaforme ampelografiche Regionali. - le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali e tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma, permettendo di ottenere una adeguata superficie fogliare ben esposta e di contenere le rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare ( 77hl/ha per la tipologia base; 56hl/ha per la tipologia superiore; 45,50hl/ha per la tipologia vendemmia tardiva; 30hl/ha per la tipologia muffa nobile). - le pratiche relative all’elaborazione dei vini. Sono ammesse soltanto le pratiche enologiche tradizionalmente consolidate (VINIFICAZIONE-AFFINAMENTO-DOLCIFICAZIONE) effettuate nell’ambito della zona di produzione e comunque consentite dalle normative vigenti atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche.
B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all’ambiente geografico.
La Doc Orvieto è riservata ai vini bianchi nelle tipologie Secco, Abboccato, Amabile, Dolce Superiore, Vendemmia Tardiva e Muffa Nobile. Dal punto di vista analitico ed organolettico presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico. Per quanto riguarda le versioni, oggi predomina quella secca, ma continua la tradizione della produzione di Orvieto abboccato, amabile e dolce. Alcuni produttori ne elaborano eccellenti versioni da uve sovra mature attaccate dalla muffa nobile, la Botrytis cinerea, che gli conferisce caratteri unici di concentrazione ed eleganza. I mosti che si ottengono sono quindi molto zuccherini, ricchi di glicerina che conferisce al vino una particolare “untuosità” con concentrazione di tutti i componenti aromatici.
C) Descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).
Nel 264 a.C. la città di Orvieto fu completamente rasa al suolo dai romani (ultima città etrusca da essi conquistata) e fu proibito a tutti di risalire sull’acrocoro di tufo che tante battaglie era costato a Roma. La smania distruttiva di Roma fu talmente esasperata , poiché nulla doveva ricordare la superba città che per secoli aveva incarnato la potenza e la grandezza etrusca. Fu ribattezzata dai romani col nome di Vol-Tinii (la città dei seguaci del Dio Voltumnus sconfitto) che evolse poi a Volsinii. Passarono centinaia di anni prima che, sulla rupe, la civiltà romana permise di creare un nuovo insediamento abitato. Infatti, solo successivamente fu identificata come Urbs-Vetus (città vecchia) e sembra perché Roma vi mandasse i suoi veterani a riposare. Da questo nome derivò poi Orbiveto, Orbeto ed infine l’attuale Orvieto. Nel corso della denominazione romana essa conobbe un periodo di forte oblio dovuto al fatto che venne isolata sull’alta rupe e decentrata rispetto alle maggiori vie di comunicazione sia fluviale (porto fluviale di Pagliano eretto per le ordinarie consegne alla Roma imperiale prima, ed alla Curia romana nei successivi periodi cristiani) sia terrestre (via Cassia e via Traiana Nova) non partecipando così all’intensiva vita economica dei centri del fondo valle. La rinascita di Orvieto si legò al momento del disgregamento dell’Impero, perché con le mutate condizioni politiche e di sicurezza la città insieme agli altri centri di altura, acquistò di nuovo un ruolo decisivo su tutto il territorio, nel senso che le ripetute e successive ondate di invasioni barbariche (Visigoti, Goti e Longobardi ) costrinsero le popolazioni a rifugiarsi sui colli ed erigere un sistema di complesse fortificazioni. E’ così che, tra il V e il VI secolo d.C., gli abitanti di Volsinii novi (attuale Bolsena) ritornarono ad abitare nel loro vecchio insediamento dal quale erano stati cacciati in età romana. La presenza dell’alta rupe fu una garanzia sufficiente a difendere la città e a far nascere tutto quell’insieme di borghi e castelli che tutt’ora delineano la mappa del territorio e che hanno costituito il nucleo originario degli attuali centri dell’Orvietano. Con la diffusione del Cristianesimo, la nascita dei Comuni ed il loro successivo assoggettamento allo Stato Pontificio non si verificarono eventi di gran rilievo se non un gran turbine di lotte interne e travagliate guerre politiche tra le varie famiglie di nobili locali, il tutto sotto lecita regia della Chiesa. In effetti, se da un lato il Papato mise in una condizione di lungo oblio la zona, divenuta meta di villeggiatura di molti pontefici e cardinali, è anche vero che i Papi contribuirono in maniera consistente alla fama ed all’apprezzamento dei vini di Orvieto. In particolare nel Medioevo e nel Rinascimento fu uno dei vini preferiti alla corte Pontificia, trovando tra i numerosi estimatori senza freni anche papa Paolo III Farnese e papa Gregorio XVI. Fino alla fine del ‘700 non si verificarono eventi di rilievo, solo in seguito gli echi della rivoluzione francese determinarono un certo risveglio culturale concretizzatosi nel 1860 con l’ammissione di Orvieto nel Regno d’Italia, da qui poi si arriva ai giorni nostri. Il vino orvietano, che fin dalle origini fu anche nero corposo, si produceva in ogni dove, ampi e floridi appezzamenti vitati si trovavano sulla stessa rupe, in orti di convivenze religiose dei nobili e dei numerosi ortolani, coltivatori diretti in città fin dai primordi del libero Comune. Tanto che la zona di piazza Cahen fino ad oltre la chiesa dei Servi di Maria era denominata “vigna Grande” e dietro il Duomo si apriva l’ampia zona coltivata a vigna. E’ opportuno sottolineare che molto prima dei filari la vite era coltivata in alberata pratica diffusasi in tutta l’Etruria, che consisteva nel coltivare il vitigno maritato a degli alberi vivi di sostegno, come olmi, olivi e querce. Intorno alla metà del XVII sec. fu inserita la palizzata come sostegno delle viti, piantate, a partire da allora intensivamente a filari. Con riferimento all’introduzione del vino Orvieto DOC nella tipologia “MUFFA NOBILE” si evidenzia che già nel 1933 il Prof. Garavini nella descrizione del vino d’Orvieto così detto “abboccato” fa riferimento agli scrittori italiani di enologia e riporta che alcuni ritenevano più gustoso l’Orvieto dei Sauterns mancando in essi quel sapore di zolfo, che invece si riscontra quasi sempre in questi ultimi. Il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata si è avuto con il D.P.R. 24/10/1971. Successivamente a seguito di svariate ricerche condotte sull’adattabilità, sulle caratteristiche compositive dell’uva e sulla qualità dei vini ottenibili dai vitigni utilizzabili, e dopo una attenta scelta anche in fase di assemblaggio (cioè di blend), sono state apportate svariati aggiornamenti e modifiche (D.P.R. 24/10/1972; D.P.R. 13/10/1982; D.P.R. 18/11/1987; D.P.R. 17/04/1990; D.M. 12/10/1992; D.M. 01/09/1997; D.M. 16/11/2000; D.M. 31/05/2001; D.M. 08/08/2003). L’ultimo aggiornamento del disciplinare di produzione evidenzia l’importanza del vitigno Grechetto sulla composizione qualitativa e sensoriale dei nuovi vini DOC Orvieto. SPERIMENTAZIONI La sperimentazione sui vitigni della DOC Orvieto è stata condotta nell’ambito di alcuni progetti di ricerca iniziati nel 1997 con lo studio per la caratterizzazione vitivinicola dell’area a DOC “Orvieto classico” (Palliotti et al., 2004) e proseguiti con indagini mirate presso svariate aziende vitivinicole orvietane. Il periodo che ha interessato le osservazioni sia per il Grechetto che per il Trebbiano toscano (Procanico) si riferiscono all’intervallo di tempo compreso tra il 2004 ed il 2009. Dai dati emerge la buona adattabilità di entrambi questi vitigni all’ambiente orvietano e, nonostante le differenti tipologie di suolo presenti nel comprensorio, le produzioni ettariali sono consoni al rispetto del disciplinare di produzione e la maturità tecnologica delle uve, salvo casi sporadici, risulta ottimale, così come il pH dei mosti che difficilmente supera il limite di 3,50, valori che potrebbero compromettere la stabilità delle masse e facilitare le contaminazioni batteriche. Inoltre anche il contenuto in azoto prontamente assimilabile dai lieviti (A.P.A.), dato dalla somma dell’ammonio e degli aminoacidi liberi al netto della prolina, raramente è sceso al di sotto dei valori limiti di 140-150 mg/l (Bisson,1991). Al di sotto di tali valori accanto ad una fermentazione potenzialmente irregolare si può ipotizzare anche una riduzione nel conferimento di aromi primari, cioè varietali (Bisson, 1991; Smart, 1991). CONCLUSIONI L’ area della DOC Orvieto è suddivisa in “Orvieto classico” che rappresenta la zona intorno alla Rupe ed il suo circondario ed in “Orvieto”, che la completa a nord e a sud. L’analisi delle produzioni ottenute negli ultimi anni, sia di uva che di vino, evidenzia una situazione stabile nel tempo con una media di circa 130.000hl di vino prodotto ogni anno. Questo a testimonianza di come l’uomo è intervenuto sul territorio nel corso dei secoli per il mantenimento del prodotto. Tramandando di generazione in generazione le tradizionali tecniche di coltivazione che, grazie al progresso scientifico e alla professionalità degli operatori, a contributo ad accrescere qualità ed immagine dei vini di Orvieto.
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agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 2) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’articolo 25, par. 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg. CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2° capoverso, lettera c). In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 3).
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