Il Grechetto nella viticoltura dell'Umbria
Da l'Enologo - n°1-2 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
Nel territorio dell’Umbria “verde” il settore vitivinicolo rappresenta una delle più importanti filiere del sistema agroalimentare regionale. Attualmente la superficie vitata è di circa 13.000 ettari, pari all'1,9% del dato nazionale, con oltre il 60% dei vigneti ricadenti all’interno di una Denominazione di origine controllata. Tra le principali varietà regionali, dopo il Sangiovese e il Trebbiano, spicca il Grechetto che rappresenta oltre il 10% della superficie vitata con una penetrazione all’interno del sistema Doc del 79%. L’antico vitigno peculiare delle zone di Todi e Orvieto trova oggi una forte valorizzazione regionale testimoniata, anche, dalla recente modifica del disciplinare “Orvieto Doc” che prevede una presenza minima di Trebbiano Toscano e Grechetto del 60% (rispetto al precedente 30%).
Le origini del Grechetto
Paolo Mantegazza nella sua opera “Quadri della Natura Umana - Feste ed Ebbrezze” del 1871, forse la prima guida italiana dei vini in senso moderno (intravino), definisce il vino di Orvieto “vero oro liquido (…) noto anche ai profani dell’enologia”. Non è possibile sapere quanto Grechetto vi fosse nel vino bianco di Orvieto a cui si riferisce l’antropologo brianzolo ottocentesco, ma è certa la qualità della produzione del vino bianco nel territorio umbro. Certo è anche che il “vino color dell’oro” era conosciuto e venerato già dagli antichi romani che sul fiume Paglia, affluente del Tevere che percorre la valle ai piedi di Orvieto, avevano edificato uno scalo per raggiungere il porto di Ostia, importante emporio vinario per il rifornimento di Roma. Il paesaggio umbro “verde e luminoso dove non c’è sguardo che non sfiori una località antica, celebre, sacra” descritto da Hermann Hesse agli inizi del Novecento era già ben conosciuto dagli Etruschi e dai Latini.
Lo scrittore e senatore romano Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto Plinio il Giovane, nipote del celebre naturalista dell’età imperiale, in un'epistola a Lucio Domizio Apollinare del I° sec. d.C., descrive l’Umbria (riferendosi alla propria villa nel territorio dell’attuale comune di San Giustino) come “(…) Regionis forma pulcherrima (…) sub his per latus omne vineae porriguntur unamque faciem longe lateque contexunt”, ovvero “regione dall’aspetto piacevolissimo dove spiccano, ai piedi delle colline e sui dolci pendii, vigneti che intrecciano in lungo e in largo un'unica trama”1 . Sono passati secoli di vicende storiche e trasformazioni umane, ma il paesaggio umbro è ancora oggi quella “terra ricca di storia” contraddistinta da un’integrità rurale unica ed irripetibile. Un paesaggio che nei giorni odierni, dove tutto è più rapido nel suo divenire, diventa importante continuare a tutelare in quanto risorsa non ricreabile e destinata, se non attentamente pro-tetta, a perdere originalità e prestigio2.
In Umbria un'antica viticoltura
Nel territorio dell’Umbria “verde” il settore vitivinicolo rappresenta ancora oggi una delle più importanti filiere del sistema agroalimentare regionale. Attualmente la superficie vitata regionale è di circa 13.000 ettari pari all'1,9% del dato nazionale. La dimensione media delle aziende viticole umbre è di poco superiore all'ettaro. La produzione regionale di vino, a seconda delle annate, è pari a circa l'1-1,5% del totale nazionale.
Il concetto di “territorio”, coniugato con quello di “vino”, costituisce un potenziale culturale, valoriale e simbolico di straordinaria ricchezza e di grande complessità3. E proprio nella verde Umbria si trovano le origini di una viticoltura antichissima, confermata dai rinvenimenti archeologici etruschi e romani, testimone del consolidato rapporto tra la coltivazione della vite e il paesaggio della regione.
I vini di Torgiano, dei Colli perugini, dei Colli del Trasimeno, di Montefalco, di Orvieto sono il frutto di una cultura della vite e del vino secolare4 .
Plinio il Vecchio, il più celebre zio di Gaio Plinio il Giovane, nella sua famosissima Historia Naturalis del 50 d.C. si riferisce probabilmente al Sagrantino di Montefalco quando cita l’uva itriola del comune di Bevagna e forse al Grechetto di Todi quando definisce la varietà di vite greca “Peculiaris est tudernis” ovvero “tipica di Todi”. Che l’attrazione esercitata dai vini umbri sul mercato dell’Urbe fosse notevole lo testimoniano sia l’epigrammista Marziale dell’età imperiale, che paragona il vino di Spoleto al celebre Falerno, “preferirai le bottiglie piene di polvere del vino di Spoleto ai sorsi del Falerno novello”, nonché le ricerche archeologiche che hanno riportato alla luce impianti per la produzione di vino ubicati in molti altri complessi edilizi rustici dislocati lungo la valle del Tevere (Panicale, Lugnano in Teverina)5 .
Le indagini sul Grechetto attraverso il DNA
Il Grechetto, diffuso e ammesso in vari disciplinari di produzione di tutta la regione con oltre 1.350 ettari piantati in Umbria (fonte Istat), trova nell’Orvietano una delle aree regionali vitate più estese e storicamente celebre per la produzione di pregiati vini bianchi. Ma da dove provenivano queste varietà per la produzione di vini bianchi già noti ed apprezzati nei secoli passati? Tutti i popoli dell’Italia arcaica praticarono la vitivinicoltura; tuttavia, le fonti sembrano concordare nell’attribuire, in particolare, alle colonie della Magna Grecia il merito di aver diffuso le viti nella penisola italiana, trasformando così il vino - fino a quel momento, un semplice genere alimentare - in una bevanda rituale nonché in una merce di valore, mediante la quale era possibile svolgere commerci e accumulare ricchezza6 .
Sotto la denominazione di “Grechetti” sono compresi molti vitigni dalle caratteristiche ampelografiche molto differenti ma accomunati dall'avere il Mediterraneo orientale come bacino d'importazione. Molon (Molon G., 1906) parlò di diverse varietà che portano il nome di “Greco” descrivendo brevemente proprio il Grechetto. Grazie a recenti indagini ampelografiche e molecolari utilizzando il DNA è stato identificato questo vitigno nel Grechetto di Orvieto ed è stata accertata l'identità tra le varietà Greco di Todi, Pignoletto e Ribolla riminese7.
Che la produzione di vini bianchi fosse storicamente preponderante in Umbria e, in particolare nell’orvietano, lo dimostrano anche alcuni documenti storici medievali che danno un’idea dei rapporti delle produzioni enologiche. Nel 1361- 1364, per esempio, delle 19 botti che riposavano nelle cantine del vescovo di Orvieto, undici erano di vino bianco mentre soltanto due contenevano del rosso8 .
Analogamente a Orvieto, anche a Perugia il vino bianco predominava su quello rosso: alla metà del XV secolo, su 830 registrazioni compiute dagli ufficiali incaricati di far pagare le gabelle per il vino portato in città, soltanto 51 riguardano i vini rubei, 6 i vini vermigli, 3 i vini cerascioli, 1 i vini cotti; quanto al resto, si parla di generici vini bianchi9 . I vitigni designati con il nome di Greci o Grechetti possiedono caratteristiche ampelografiche molto diverse ed hanno avuto ampia diffusione, in tutta la penisola italiana, sopratutto a cavallo tra il quattordicesimo ed il diciannovesimo secolo. La loro coltivazione in Italia si diffuse durante il periodo del Medioevo per produrre vini simili a quelli che venivano importati dal Mediterraneo orientale.
La loro comparsa in Italia risale al periodo della colonizzazione dell'Italia meridionale (appunto durante la cosiddetta Magna Grecia) quando iniziarono a diffondersi, nelle regioni colonizzate, alcuni vitigni di origine greca nonché le tecniche di coltivazione e di vinificazione caratteristiche degli antichi Greci. La fama dei vini provenienti dalla Grecia, prodotti con uve lasciate sovra-maturare al sole, ricchi di corpo, determinò di conseguenza l'importazione di alcuni vitigni o della tecnica di vinificazione, per cui con il nome di Greco si indicarono anche vitigni locali che si prestavano ad essere lavorati alla maniera dei Greci. I vini ottenuti da queste uve presentano caratteristiche organolettiche molto diverse a conferma dell'eterogeneità della loro origine.
Il vino Greco in purezza più rinomato e diffuso a livello nazionale è prodotto in Campania con il nome di Greco di Tufo. Il fascino dei vini umbri, tuttavia, continuò a crescere nei secoli attraversando il Rinascimento. Nel 1500 Luca Signorelli, tra i maggiori interpreti della pittura rinascimentale, ebbe in compenso per la realizzazione degli affreschi del Duomo di Orvieto, circa mille litri di vino di queste terre. Anche il più celebre Pinturicchio nel 1492 pretese, per contratto per i suoi dipinti sempre in Orvieto, che gli fornissero “tantovino quanto fosse riuscito a berne”. Verso la fine del Cinquecento Andrea Bacci, parlando di queste zone nella sua “Storia Naturale dei Vini” scrive: “(…) né manca la diligente cura nelle coltivazioni, in modo che i vini raggiungono la perfezione ognuno nel suo genere. Ve ne sono di giallo dorati, di splendenti come l’oro, alcuni rossi di un rosso brillante, ed altri ancora in gran numero (…)”. Il 31 ottobre del 1544 è, invece, Montefalco a testimoniare l’eccellenza della produzione dei vini bianchi umbri. Nei registri contabili comunali, infatti, si ritrova la citazione di una donazione fatta al pontefice Paolo III Farnese: “pro vino greco condonato s.d.n. Bononenos eptem”. In epoca più recente anche il celebre padre della gastronomia italiana, Pellegrino Artrusi, nella famosa opera “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” (1891), afferma che “il vino da pasteggiare più confacente agli stomachi deboli [è] il bianco asciutto”, stimando “ottimo per la piacevolezza al gusto e perché molto digeribile, quello di Orvieto”, il quale poteva “servire anche al dessert”.
È necessario, tuttavia, giungere nel novecento attraverso le Commissioni Ampelografiche nazionali per caratterizzare i vitigni territoriali e relazionarli con i migliori vini in produzione. In questo ambito i Grechetti, un gruppo sicuramente tipico della viticoltura umbra, rappresentano una storia che verrà definitivamente scritta solo con gli studi molecolari degli anni novanta del novecento. Nel 1970 Orvieto e i comuni che fungono da corona produttiva mostrano comunque un grado di specializzazione non presente altrove nella regione. Si sottolinea inoltre l’estensione viticola dell’Orvietano rispetto a quella dell’intera provincia.
Di fatto, il solo comune di Orvieto con 2.836,32 ettari nel 1970, detiene la più ampia superficie a vite rispetto agli altri comuni dell’Umbria10. L’agronomo Giorgio Garavini, ispettore del Ministero dell’Agricoltura incaricato nel 1931 di delimitare l’area di produzione del “vino tipico” così si esprimeva in una sua relazione: “il vino d’Orvieto è celebre per aver allietato fino da antichissimo tempo mense illustri di Papi, Principi e Porporati. Per essere stata la Città di Orvieto residenza Papale, derivarono frequenti relazioni con Roma, per modo che verso questa Città partivano spesso i barili del celebre vino destinati a uomini eminenti”11. Dando per acquisiti il netto predominio dei vini bianchi o chiari sui rossi, e l’impossibilità di identificare i vini comuni o nostrani, è già dalla metà del XIV secolo che nell’orvietano sono documentati vitigni di pregio, quali la Vernaccia, il Greco vel fianum, il Trebbiano e il Moscatello iniziando a distinguere i vini non soltanto sulla base del colore o del sapore, ma anche in considerazione dell’uva utilizzata o della zona di provenienza12.
Da l'Enologo - n°1-2 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
1 (Traduz. Ciro A. R. 2010)
2 (Tomasi D. 2007)
3 (Pastore R. 2007)
4 (Piñeiro M. V., 2012)
5 (Saioni M. 2009)
6 (Piñeiro M. V., 2012)
7 (Cartechini e Pallotti, 1999)
8 (Piñeiro M. V., 2012)
9 (Piñeiro M. V., 2012)
10 (Castagnoli D. 2014)
11 (Garavini, 1933, p. 227)
12 (A. Satolli - 2000)
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