Visita all'antica scuola di enologia di Catania
Da l'Enologo - n°7-8 Luglio/Agosto 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
di Nino D'Antonio
Legata al nome dello scienziato che partecipò alla spedizione polare di Amundsen, ha accorpato i servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera. Circa duecento gli allievi. Non pochi optano per la laurea in enologia, più richiesta fuori dall’isola. Due le aziende agrarie disponibili, per un totale di dodici ettari. L’impegno dei giovani nelle attività extrascolastiche e negli scambi culturali.
La nascita nel 1881 della scuola di enologia
C’è aria antica e una ventata di meriti fra le pareti della Scuola Enologica di Catania. E non solo per le sue lontane origini (è del 1881, in quella fioritura che ha visto nascere gli istituti di Alba, Avellino, Marsala, Conegliano), quanto per gli studi di climatologia agraria cui diede l’avvio Filippo Eredia, del quale la scuola porta il nome. Poi sarà la volta di Enrico Boggio Lera, altro docente, che sulla base delle precedenti ricerche elabora un apparecchio per la previsione a distanza dei temporali. Una scoperta che segnerà un vero successo al Congresso meteo di Parigi, del 1900.
Insomma, se oggi la viticoltura può difendersi dalle imprevedibili devastazioni del clima, lo deve anche agli appassionati studi di questi due ricercatori.
Ma la Scuola di Agraria non è il solo primato di Catania. L’Università è la più antica dell’isola - quel Sicolorum Gymnasium fondato dagli Aragonesi - e Naxos è stata la prima colonia greca.
In apparenza, ce n’è abbastanza per celebrare la città. E invece, da Stesicoro (il citaredo che accompagnava i suoi versi con la musica) a Bellini a Verga a Capuana a De Roberto a Rapisardi, fino a Vitaliano Brancati - nato a Pachino, ma vissuto a Catania - c’è una folla di poeti, musicisti, scrittori all’ombra forte dell’Etna e dei suoi fuochi.
Il filone dell’arte mi tenta, ma sono fra le pareti della Filippo Eredia e non posso trascurare le imprese di questo studioso di fama internazionale, che ha partecipato sia alla spedizione polare di Amundsen col dirigibile Norge, che alle due crociere atlantiche del ’31 e del ’33. Un tempo l’aeroporto di Catania aveva il suo nome, poi la mano è passata a Bellini. In cambio, la città gli rende omaggio con una bella scultura nel centro storico.
Due aziende agricole collegate alla scuola di Catania
La scuola è ubicata in area agricola, anche se non troppo distante dal centro, al quale è bene collegata. L’architettura, anticipata da una larga scala, ha la solennità propria delle costruzioni di fine Ottocento, la lunga balconata ad accompagnare la fila di ambienti del primo piano. L’Istituto può contare su due aziende agricole. Una di cinque ettari, con vigneto, uliveto e agrumeto, e l’altra di sette, annessa al convitto. Perché non va trascurato che da sempre la scuola dispone di una quarantina di postiletto, una struttura indispensabile, specie in passato, quando i collegamenti erano assai lunghi e faticosi.
Dieci anni fa, l’Istituto Eredia ha accorpato il Professionale Deodato per l’Agricoltura e Ambiente, e nel 2011 ha integrato la propria offerta formativa con i Servizi per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera. Un settore quanto mai in linea con la crescita del mondo della ristorazione e del turismo.
Gli allievi superano appena i duecento, a fronte di cinquanta docenti e una dozzina d’insegnanti tecnici. Ma anche qui – come già a Locorotondo – il numero degli studenti del corso di enologia è piuttosto modesto. Appena un quarto degli iscritti. Una diserzione che ancora una volta ha le sue ragioni nella difficoltà a trovare lavoro per gli enotecnici, benché la Sicilia sia fra le terre più vocate per la produzione di uve da vino.
L’Etna territorio di riferimento della scuola di enologia
Va anche considerato che il territorio di riferimento della scuola resta il comprensorio dell’Etna, che costituisce un fenomeno senza confronti. Ne parlo col dirigente, prof. Alfio Petrone, laurea in Matematica, sessanta appena compiuti, una lunga esperienza didattica e una straordinaria carica di entusiasmo nei destini dell’Eredia, sempre più in linea con i tempi e le conquiste della scienza. Lo incontro insieme ad alcuni docenti dei corsi di viticoltura ed enologia. “Non c’è relazione più stretta – mi dice il preside – fra ambiente e vitigni di quella esistente nell’area del vulcano. Le viti sono allevate oltre i mille metri, in paesaggi quasi lunari, dove la terra è nera e la lava offre scenari apocalittici. Basti pensare che nell’area di Bronte – il paese del famoso del pistacchio – nasce il Vinudilico, un Rosato i cui impianti sono a quota milletrecento, fra suggestivi boschi di lecci”. L’immagine mi riporta all’Etna, grande “colonna del cielo”, celebrata dalla poesia di Pindaro, o se più vi piace a Sciascia e a quel suo “immenso gatto di casa che quietamente ronfa, e ogni tanto si sveglia”. Ma ritorniamo alle considerazioni dei professori dell’Eredia.
“La lava – precisano – si tramuta in fertile terra nera, satura di minerali, in grado di conferire a ogni prodotto un suo aroma e un suo deciso sapore. Che diventa secco, asciutto, quasi alpino. In pratica, non più dolciastro, come in altre aree dell’isola. La provincia di Catania, sul finire dell’Ottocento, dava oltre un milione di ettolitri di vino, in gran parte destinati al Nord e alla Francia. Il porto di Riposto fu infatti costruito per rendere possibile l’imbarco. E anche la Circumetnea la famosa ferrovia che corre alle falde del vulcano, è nata per favorire questi trasporti….”.
Osservo che si tratta di beni che non sono andati del tutto perduti, per cui il lavoro per gli enotecnici non dovrebbe mancare. “E invece sì. La fatica è rimasta quella di un tempo, vigneti ad alberello e muretti a secco da tenere sempre in ordine, ma chi è vissuto in città e ha conseguito un diploma non è più disponibile a quel genere di vita. L’enotecnico dovrebbe lavorare in cantina, e invece si ritrova a curare anche gli impianti…”.
La presidenza è diventata una piccola agorà, dove nessuno rinuncia a dire la sua. È gente di scuola che vive ogni giorno i dubbi e le incertezze degli allievi. “Ti accorgi subito, quando siamo in azienda o nei laboratori, di chi è portato per questo lavoro….”.
Spesso il discorso è infarcito di espressioni dialettali, e questo stimola la mia curiosità. Apprendo, così, che il “ripiddu” è la cenere del vulcano che si posa sui terreni e li rende scuri e fertili, e che le “quinconce” sono le viti piantate ad alberello su pali di castagno, secondo lo schema introdotto dai Romani.
Pochi studenti al sesto anno all'Istituto Filippo Eredia di Catania
Il dirigente, prof. Petrone, avanza una probabile lettura del fenomeno. Non tutte le cantine – specie quelle più piccole - utilizzano un proprio tecnico. Spesso fanno capo a liberi professionisti, che collaborano con più aziende. E questo riduce i posti di lavoro. “In questi ultimi anni – aggiunge il preside – la forte crescita del settore enogastronomico e dell’ospitalità alberghiera, due aree formative presenti nel nostro istituto a partire dal 2011, ha influito non poco sulle scelte dei giovani”. Chiedo d’incontrare qualche ragazzo di quelli che danno vita alle attività extrascolastiche. E qui il ventaglio di scelta è quantomai ampio e differenziato. Dal calcio all’atletica leggera alla corsa. Ma anche tanto impegno sul piano culturale: dal recital di poesie (qualcuno mi ha confidato di scriverne) al teatro alle band musicali. Si tratta in realtà di ristrette formazioni, che nascono sulla base di comuni affinità e interessi. La scuola è il luogo d’incontro, dove prendono corpo i vari progetti.
L’alternanza più diffusa alle ore di studio resta, invece, la sistematica frequentazione dell’azienda vinicola Nicosia, nelle cui cantine gli aspiranti enotecnici integrano le esperienze maturate nei laboratori scolastici. È questo un banco di prova aperto a quegli allievi che puntano a far vino. Anche se il sesto anno, previsto per la qualifica di enotecnico, registra appena dodici iscritti. In cambio, però, tende a crescere il numero di quelli che – conseguito il diploma - s’iscrivono all’università. L’atmosfera è decisamente cordiale, resa più viva da qualche licenza verbale favorita dall’assenza dei docenti e del preside. Come in altre sedi, sono stato io a chiedere un contatto “non vigilato” con i ragazzi. È il solo modo perché la vita della scuola venga fuori a tutto tondo, senza infingimenti e senza ipocrisie.
Vitaliano, alto e massiccio come un antico guerriero, tira fuori dallo zainetto un’arancia, che mi offre con quella liberalità che avrebbe avuto nei confronti di un compagno. L’accetto di buon grado,a condizione che la consumiamo in due. Più che la bontà del frutto, apprezzo la spontaneità del gesto.
di Nino D'Antonio
Da l'Enologo - n°7-8 Luglio/Agosto 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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