I Consorzi di tutela Vini
Da l'Enologo - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
di Nino D’Antonio
Sono passati otto anni dal varo della nuova normativa sui Consorzi di tutela Vini e questi presentano tutto l’entusiasmo, la vitalità e le aspirazioni di un fanciullo alle soglie della vita. La legge istitutiva è dell’8 aprile 2010, e l’articolo 17 riguarda proprio la loro istituzione. Per la quale indica una rappresentanza di almeno il 40% dei viticoltori e del 66% della produzione dei vigneti iscritti nel territorio.
Ruolo e finalità dei Consorzi di tutela Vini
Siamo solo all’ultimo approdo di un organismo già attivo, sia nel settore enologico che in quello agrario. Come prova l’intensa attività a tutela dei nostri vini, anche se alquanto circoscritta. Di qui il D. Lgs del 2010, che ha opportunamente allargata la sfera di competenza dei Consorzi, fino alla stipula di convenzioni e accordi con enti pubblici e privati, nonché alla partecipazione a mostre, convegni, fiere e workshop, fino alla gestione di corsi di formazione professionali e didattici. In pratica, si tratta di enti che hanno non solo finalità di conoscenza e di promozione dei nostri vini, ma compiti di vigilanza e assistenza tecnica nelle fasi commerciali. E c’è di più. La lettera D, comma 4 del suddetto decreto, prevede anche la nomina di agenti vigilatori (scelti e incaricati dai vari Consorzi) per il rispetto della legge.
Sono 115 i Consorzi di tutela Vini
In poco meno di un decennio, la "rinascita" dei Consorzi è esplosa oltre ogni prevedibile dimensione. E questo non solo per l’oggettiva presenza di un patrimonio enologico che non ha confronti (e sempre più meritevole di essere promosso e protetto), quanto per la crescente ambizione anche di vini piuttosto modesti e in verità poco meritevoli di una specifica tutela. Ma siamo in quella Italia, patria del Diritto, dove qualunque strumento di legge che non comporti delle limitazioni, scatena – a ragione o a torto – uno tsunami di consensi e di adesioni.
Di qui la crescita dei Consorzi di Tutela che, nel volgere di pochi anni dalla nuova normativa, sono saliti a quota 115, di cui 12 Volontari.
È un’esplosione che non può sorprendere. Perché ha già accompagnato le Doc, poi le Docg e poi ancora le Dop, per non dire delle Strade del Vino. Che non diversamente dai Consorzi, superano le cento unità, anche se solo una ventina sono organizzate per quel rapporto vino-turismo, che è l’obiettivo-principe della loro istituzione.
Siamo di fronte a due fenomeni tipicamente italiani (le Strade del Vino in Francia sono appena 14, ma tutte attive), che continuano a disorientare gli stranieri – buyers e giornalisti – poco adusi a questa ricca varietà di etichette.
L'azione sul territorio dei Consorzi di tutela Vini
Ma torniamo ai Consorzi. Anche se il frequente ricorso alle cifre pone fatalmente una serie di interrogativi, ai quali proverò a rispondere (riservandomi – su richiesta del Presidente Cotarella – di dedicare una serie di servizi ai maggiori Consorzi), non fosse altro che per inquadrare meglio il fenomeno. Che, da una forte spinta di avvio alla "ricostituzione" (i primi Consorzi sono quelli del Chianti Classico e del Nobile di Montepulciano) cala dai 41 organismi iniziali del 2012 ai cinque dello scorso anno.
Provo a ricostruire un rapido schema di questa flessione, limitandomi a citare come riferimento solo quattro vini per ogni territorio Passiamo così dagli iniziali 41 del 2012 (Prosecco, Barolo, Collio, Franciacorta) ai 28 del ’13 (Montefalco, Valpolicella, Aglianico del Vulture, Colli Asolani); ai 16 del ’14 (Brunello di Montalcino, Frascati, Cannonau di Sardegna, Friuli); agli 11 del ’15 (Colli di Trasimeno, Maremma Toscana, Vini del Vesuvio, Nebbiolo) fino agli 8 del ’16 (Vermentino di Gallura, Garda, Valdadige, Terre Lariane) e ai 5 del ’17 (Malvasia di Lipari, Vini Pinerolesi, Asprinio di Aversa, Falerno del Massico).
E qui viene da chiedersi che c’è dietro questo crescente calo. La risposta non è estranea alla diversa matrice produttiva dei vari territori. Nel senso che, dove la presenza delle Cantine Sociali è più numerosa e attiva, i Consorzi riescono più agevolmente a svolgere il loro ruolo di tutela e di promozione, come la legge richiede.
Più complesso e meno incisivo risulta invece il compito di questi organismi, là dove operano grandi produttori, la cui notorietà (e volume di vendite) supera di gran lunga ogni politica consortile.
A non tener conto che la forte concorrenza fra le cantine private rende spesso difficile un’azione (e una comunicazione) largamente condivisa. Un obiettivo, quest’ultimo, che risulta quanto mai favorito dall’anonimato dei vignaioli che invece alimentano le Cantine Sociali. Insomma, l’area d’intervento dei Consorzi va ricercata oltre i confini delle singole aziende, per farsi bandiera e voce del territorio.
Con quell’ampio ventaglio di immagini e di diversità che solo un ente sociale può esprimere. Fin qui la geografia e l’azione dei Consorzi.
Anche se la vita di questi organismi (e quindi la politica e le attività) è tutt’altro che facile. Intanto, per le solite ragioni economiche, che condizionano non poco ogni iniziativa. I contributi pubblici sono piuttosto rari e i Consorzi minori stentano a trovare appoggi.
Pochi sostentamenti per i Consorzi di tutela Vini
All’insegna del Barolo o del Brunello, è sempre possibile mettere insieme un po’ di contributi tra sponsor e istituzioni, ma i Colli Tortonesi o i Vini di Amelia (fanno entrambi parte dei dodici Consorzi Volontari) incontrano di certo non poche difficoltà.
La situazione rischia a questo punto di apparire priva di sbocchi. E invece, i Consorzi – pur nei limiti dei mezzi a loro disposizione – assolvono un ruolo di primaria importanza. Il prestigio di cui godono e la serietà dei loro controlli rappresentano un sicuro punto di riferimento, specie per i mercati esteri.
Di qui il progetto di scrivere sulle singole realtà dei nostri Consorzi. Non fosse altro che per individuare i vari obiettivi nel contesto dei singoli territori. In altri termini, vogliamo provare a capirne di più su questi organismi nati per tutelare la qualità dei vini italiani.
Di Nino D’Antonio
Da l'Enologo - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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