Puglia
Approvato con DPR 06.04.1987 GU n. 226 - 28.09.1987
Modificato con DM 30.11.2011 Pubblicato sul sito ufficiale del Mipaaf Sezione Qualità e Sicurezza - Vini DOP e IGP
La denominazione di origine controllata “Nardò” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie: Rosso; Rosso riserva; Rosato.
I vini a DOC “Nardò” devono essere ottenuti dalle uve provenienti dai vigneti aventi, in ambito aziendale la seguente composizione ampelografica:
Negroamaro minimo 80%; possono concorrere alla produzione di detti vini anche le uve provenienti dai vitigni: Malvasia nera di Brindisi, Malvasia nera di Lecce, Montepulciano presenti nei vigneti, da soli o congiuntamente, fino ad un massimo del 20%.
Le uve atte alla vinificazione dei vini a DOC “Nardò” devono essere prodotte nell’area delimitata che comprende in tutto i territori amministrativi dei seguenti comuni: Nardò e Porto Cesareo in provincia di Lecce.
Le condizioni ambientali e di coltivazione dei vigneti destinati alla produzione dei vini a DOC “Nardò” devono essere quelle tradizionali della zona di produzione e comunque, atte a conferire alle uve e ai vini derivati le loro specifiche caratteristiche di qualità. Sono pertanto da considerarsi idonei ai fini dell’iscrizione allo schedario viticolo, unicamente i vigneti ubicati su terreni silicio – argillosi – calcarei del pleistocene dotati di buona fertilità. I sesti di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati o comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e dei vini derivati. La resa massima di uva ammessa alla produzione dei vini DOC “Nardò” in vigneti a coltura specializzata non deve essere superiore a: 18,00 tonnellate/ettaro. A detto limite, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovrà essere riportata attraverso un’accurata cernita delle uve, purché la produzione globale non superi del 20% il limite medesimo. La resa massima dell’uva in vino non deve essere superiore al Nardò rosso 70%. Nardò rosato 45%. Qualora la resa uva/vino superi detti limiti sopra riportati, l’eccedenza non avrà diritto alla denominazione di origine controllata. La regione Puglia annualmente, con proprio decreto, tenuto conto delle condizioni ambientali di coltivazione, può fissare produzioni massime per ettaro inferiori a quelle stabilite dal presente disciplinare di produzione dandone immediata comunicazione al competente organismo di controllo. Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di: Nardò rosso 11,00% vol. Nardò rosato 11,00% vol.
Le operazioni di vinificazione devono essere effettuate all’interno della zona delimitata dal precedente art. 3. Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche tradizionali o comunque atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche. Per la trasformazione delle uve destinate alla produzione del vino a DOC “Nardò rosato” deve eseguirsi il metodo tradizionale di vinificazione che, in particolare prevede lo sgrondo statico delle uve pigiate dopo una macerazione compresa tra le 12 e 24 ore. Il residuo delle uve destinate alla produzione della tipologia “rosato” non può essere utilizzato per la produzione della tipologia “rosso”.
I vini a DOC “Nardò” all’atto dell’immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche:
“Nardò” rosso: colore: rosso rubino più o meno intenso; profumo: vinoso, intenso; sapore: asciutto, armonico, lievemente amarognolo; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol; acidità totale minima: 5,0 g/l; estratto non riduttore minimo: 22,0 g/l;
“Nardò” rosso riserva: colore: rosso rubino con toni aranciati; profumo: vinoso, intenso, etereo; sapore: asciutto, di corpo, giustamente tannico, vellutato ed armonico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol; acidità totale minima: 5,0 g/l; estratto non riduttore minimo: 22,0 g/l;
“Nardò” rosato: colore: dal rosa corallo appena acceso al cerasuolo tenue; profumo: vinoso, delicato, caratteristico, ghermente fruttato da giovane; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol; acidità totale minima: 5,0 g/l; estratto non riduttore minimo: 18,0 g/l;
E’ in facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali modificare, con proprio decreto, i limiti sopra indicati per l’acidità totale e l’estratto non riduttore.
Il vino a DOC “Nardò rosso”, ottenuto dalla vinificazione di uve con un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di: 12,00% vol. qualora venga sottoposto ad un periodo di invecchiamento minimo di almeno due anni a decorrere dal 1° Novembre dell’anno di produzione delle uve immesso al consumo con un titolo alcolometrico volumico totale minimo di: 12,50% vol può portare in etichetta la qualificazione “riserva”.
Alla DOC “Nardò” è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste dal presente disciplinare di produzione, ivi compresi gli aggettivi: extra, fine, scelto, superiore, selezionato e similari. E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali e marchi privati non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l’acquirente. E’ consentito altresì l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi aziendali, vigneti dai quali effettivamente provengono le uve da cui il vino, così qualificato, è stato ottenuto. Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti i vini a DOC “Nardò rosso e rosato” può figurare l’indicazione documentabile dell’annata di produzione delle uve. Tale indicazione è obbligatoria per la tipologia “riserva”.
A) Informazione sulla zona geografica
1) Fattori naturali rilevanti per il legame
La zona geografica per la DOC Nardò comprende l’area delimitata dai territori amministrativi dei comuni di Nardò e Porto Cesareo entrambi in provincia di Lecce. I suoli della zona del territorio dei comuni di Nardò e Porto cesareo sono quelli tipici delle “terre rosse” (Alfisuoli) solitamente sottili, con contatto lithico entro 70 cm dalla superficie (Lithic Rhodoxeralfs) o da moderatamente profondi a molto profondi (Typic Rhodoxeralfs). La viticoltura è praticata con maggiore successo nelle zone in cui il suolo è sufficientemente profondo per sopperire all’indisponibilità dell’acqua e l’aridità estiva. Il clima della zona rientra nell’area d’influenza della vicinanza al mar Jonio chelambisce per circa 43 Km. Le terre di entrambi i comuni. Pertanto si tratta di clima tipico mediterraneo; l’andamento delle temperature è caratterizzato da forti escursioni, con estati calde e inverni miti. Le precipitazioni medie annue, che variano con l’altitudine, vanno dai 300 mm fino ai 1.100. La distribuzione stagionale delle piogge ha caratteri tipicamente mediterranei concentrandosi per circa il 65% nel periodo autunno-inverno.
2) Fattori umani rilevanti per il legame
Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino “NARDO’”. La città di Nardò anticamente chiamata Neretum, della quale vi faceva parte il comune di Porto Cesareo sino al 1975, appartiene alla provincia dì Lecce ed è situata a pochi chilometri dal mare Jonio il quale bagna ben 45 Km di coste del territorio neretino. Anche se incerta è l'epoca di fondazione di Nardò già Strabonío e Plinio la tennero in grande considerazione come una delle tredici più importanti città del Salento. E' città antichissima anche per i riferimenti alle diverse leggende sorte intorno alle genti del vicino Oriente emigrate nel Salento perché attratti dalla fertilità del suolo. Una prima leggenda vuole la fondazione di Nardo ad opera di genti Egizie ed Assire che dandole per emblema il toro, simbolo del sole, la chiamarono Neriton un' altra leggenda parla di popoli detti "Coni" emigrati da terre dell'Epiro o da Leucadia dopo il diluvio scatenato dal mitologico Deucalione; sicché, data per vera questa ipotesi, Nardò avrebbe oggi trentacinque secoli di vita. La città di Nardò sarebbe comunque più antica di Roma. Nel libro decimo del poema francese del Féuélon, il quale tratta delle avventure di Telemaco, figlio di Ulisse, al tempo della distruzione di Troia (1134 a. C.) si nota che molto tempo prima della fondazione di Roma al città di Nardò era già esistente. Secondo un'altra leggenda gli abitanti della sassosa Nerito, di cui parla molto Virgìlio, sospinti dalla durissima siccità si affidarono avventurosamente al mare e varcando lo Jonio furono portati sulle coste dove oggi sorge Nardò e Porto Cesareo. Una volta sbarcati e trovate infinite sorgenti dì acqua potabile, vi si fermarono. Infatti, dove sorge Nardò il luogo si chiamava Bosco Armentino abbondante di acque sorgive. Questa gente chiamò Neriton la nuova patria in onore alla loro isola di Nerito. E'certo, comunque,che per le epigrafi rinvenute e la scoperta di tombe messaniche, anche nel luogo ove oggi sorge Nardò i Messapi presero stanza e trovarono durevole dimora. Neretun in un periodo molto antìco, e comunque prima dell'inizio del dominio romano, aveva tanta importanza da battere moneta con leggenda ellenica; fu, tra l'altro,importante centro di tutta la Magna Grecia. La romanizzazione della città messapica di Nardò avvenne intorno al 267 a. C., dopo la conquista di Brindisi ed il distaccamento in questa città di un contigente di truppe romane. Nel 273 a.C. la città di Nardò fu però saccheggiata e devastata dalle milizie romane comandate dal console Marco Curìo Dentato e 57 anni dopo venne rasa al suolo dal generale cartaginese Annibale. Risorse sotto l'impero di Ottaviano Augusto. Nel 44 a.C., durante la guerra tra Cesare e Pompeo, l’infelice città fu distrutta e poi riedificata per ordine appunto dell'Imperatore Cesare Ottaviano Augusto. Si dice che nel 42 d.C. l'Apostolo S. Pietro sbarcato nel Porto Cesareo in Arneo, fosse venuto a Nardò a predicare convertire alla religione di Gesù il popolo neretìno edificando una chiesetta sotterranea dedicata alla SS.Vergine Assunta. Per tutti gli antichi popoli messapi, e quindi per Nardò, il tempo dell'Impero Romano fu l'età più felice della loro storia. Sono cessate le invasioni barbariche, le stragi e le migrazioni di stirpi e tutto il territorio salentino pienamente romanizzato acquista un tono di vita molto più tranquillo. La sicurezza politica e sociale favorisce lo sviluppo dell'agricoltura ed il traffico delle merci. All'epoca imperiale risale, infatti, la cosiddetta via Traiana che passa per Nardò, costeggiando lo Jonio. Il dominio romano ebbe fine nel 555 d.C. e quindi padroni di tutto il Salento divennero gli Imperatori d'oriente residenti a Bisanzio. Purtroppo al crollo dell'impero si giunse attraverso guerre feroci che portarono alla devastazione di tutto il territorio con l'abbandono delle campagne la miseria, la, fame, i morbi e le malattie decimarono fortemente le popolazioni. Al governo di Bisanzio toccarono terre ormai brulle, squallide, trasformate in lande selvagge ed acquitrinose,con una popolazione decimata ed abbruttita dalle sofferenze. Sicuramente il riscatto non solo ma anche materiale di questa gente rimasta va scritta all'opera degli esuli, dei perseguitati d'Oriente che erano affluiti numerosi in tutte le contrade di Terra d'Otranto e di Nardò per diffondere il Cristianesimo. I seguaci del culto erano assoggettati a persecuzioni inaudite, mutilati, arsi vivi,lapidati. Per sfuggire a queste spietate persecuzioni molti di essi espatriarono con le immagini sacre, i simulacri e le reliquie. La tradizione vuole che alcuni esuli eroici, sbattuti da violento vento di scirocco sulle scogliere dello Jonio, a S. Caterina, vennero accolti solennemente a Nardò ove recarono le reliquie di S. Gregorio Armeno, detto l'illuminatore, evangelizzatore dell'Armenia e fondatore dell'omonima chiesa, nonché le reliquie di S. Clemente ed il simulacro del Croci fisso bizantino, detto il Cristo Nero. Questo antichissimo legno bizantino è conservato tutt'ora nella cattedrale di Nardò. I basiliani, tra l'altro, fondarono in Nardò una delle più famose officine scrittoríe (scholae scriptoriae) accanto all'Abbazia ove riproducevano e studiavano i capolavori della letteratura greca antica. Così i documenti ed i tesori della antica poesia e della letteratura ellenica vennero tramandati ai posteri. Per sfuggire alla persecuzione iconoclastica, i monaci basiliani, infatti, scapparono Oltremare e trovarono in molti rifugio in questa fertile terra del Salento. Qui, il monachesimo eremitico risolse il problema della totale assenza di mano d'opera locale, in quanto le terre erano state abbandonate a causa della tristizia dei tempi, e sviluppò l'agricoltura con il dissodamento e la bonifica dei terreni. Avvenne che questi coloni si raccolsero insieme in numerosi "casali" e contríbuirono alla grecizzazione delle diverse cittadine salentine. Quindi il vigneto, che già nel neolitico era presente nelle vicinanze degli agglomerati ruralí-pastorali, prese a svilupparsi sotto la guida dei monaci basiliani che organizzarono anche le prime “officine" di lavorazione delle uve. Tutta la viticoltura salentina che ha legami profondi con i movimenti migratori dell'antica Grecia, si è sviluppata grazie all'attìvità del monachesimo basìliano che, va ricordato, introdusse, tra l'altro, le prime norme di diritto privato ed agrario in tema di contratti enfiteutici. Certamente per molti secoli si sviluppò una viticoltura di autoconsumo che servì, a creare maggiori vìncoli tra l'uomo e la terra. La vite, a differenza del Frano, ha contribuito ad annullare il fenomeno del nomadismo che in queste contrade si verificava costantemente a causa dei fenomeni di saccheggio da parte di predoni, data la vastità delle coste. L'uomo con la coltivazione della vite (prima nella vicinanza dei "Casali" e poi mano a mano in tutto il territorio che dimostrava un a buona vocazione per, la ricchezza del suolo affermò la volontà di voler rimanere attratto anche dalle bellezze naturali confortato dal sorgere di una vita anche contemplativa predicata dai basiliani. La lavorazione delle uve continuò in forma artigianale nei famosi "palmenti" spesso scavati nella roccia ed i vini prodotti, che erano di notevole alcolicità, contribuìrono a far dimentìcare spesso la mestizia di quel tempi. Gli antichi "palmenti" hanno rappresentato la prima forma razionale di vinificazione tanto che, una volta cresciuta la popolazione e la stessa viticoltura, iniziò presto un fiorente commercio di vini che partivano dai porti di Gallipoli, San Cataldo, Brindisi e Taranto. La storia della vite e del vino del feudo di Nardò fino agli ultimi anni del secolo scorso è quella di tutta la viticoltura salentína con momenti di crisi superati con enormi sacrifici, e il fiorente commercio che si sviluppò con diversi paesi che riconoscevano ai dell'Enotria Tellus le qualità di poter attraversare i mari senza alterarsi. A seguito dell'invasione fillosserica, che portò alla ristrutturazione di tutti i vigneti, la vite cambiò ubicazione, trasferendosi in terreni più dotati idricamente e la trasformazione delle uve assunse una forma decisamente industriale. Sorsero, così, per iniziativa dei viticoltori locali e di operatori del Nord Italia e per l'interesse nazionale e francese, i primi veri stabilimenti vinicoli. Nel 1929 Nardò aveva già ben 1.923 Ha di vigneto a coltura specializzata e non poteva non risentire della "grande crisi" di quell'anno che influì negativamente anche nel settore del commercio vinicolo. I numerosi stabilimenti vinicoli che erano sorti ad opera di numerose Case vinicole settentrionali ed estere non assicurarono tranquillità ai produttori delle uve, anche se erano migliorate le condizioni per il trasporto delle uve e dei vini a seguito della innovazione nel settore della viabilità ed erano stati attivati diversi collegamenti ferroviari. Elementi non solo economici e finanziari, ma soprattutto demografici, non disgiunti da sentimenti. Molto diffusi in quell'epoca nelle classi agricole di arrivare a migliori condizioni di vita, fecero germogliare nelle coscienze di molte persone l'idea di una impresa economica caratterizzata dall'associazione di più individui per una migliore protezione dei prodotti agricoli. Si sviluppò, così, l'idea già affermata in altre regioni d'Italia del movimento cooperativo per superare le difficoltà del collocamento delle uve per le quali venivano spesso offerti prezzi irrisori o addirittura non si riuscivano a collocare sul mercato. Possiamo affermare, quindi, che NARDO’ e PORTO CESAREO sono tra le antiche zone d’Italia a vocazione viticola; ed insieme alle altre aree della Puglia nel 1930 diventava la seconda regione produttrice di vino in Italia. La base ampelografica dei vigneti: i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area di produzione. le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali e tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma. le pratiche relative all’elaborazione dei vini sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione
B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all'ambiente geografico.
La produzione dei vini menzionati nel presente disciplinare presenta, una tipicizzazione ed un legame stretto con l’ambiente ed il territorio dell’area. I vini dal punto di vista analitico ed organolettico, dimostrano caratteristiche molto evidenti e peculiari, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico. Il Nardò Rosso, Rosso Riserva e Rosato, presentano caratteristiche chimico-fisiche equilibrate in tutte le tipologie, mentre al sapore e all’odore si riscontrano aromi prevalenti tipici dei vitigni.
C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera. B).
L’esposizione prevalente dei vigneti, orientati da nord a sud estesi principalmente lungo la fascia che avanza verso il mar Jonio, localizzati in zone prevalentemente pianeggianti e particolarmente vocate alla coltivazione della vite, concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole all’espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta. Le aree di produzione privilegiate sono distinte dai terreni con buona esposizione adatti ad una viticoltura di qualità. La millenaria storia vitivinicola della regione, e dell’area in particolare, attestata da numerosi documenti, è la fondamentale prova della stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e la qualità e le peculiari caratteristiche del vino “NARDO’”, ovvero è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei secoli, tramandato le tradizionali tecniche di coltivazione della vite ed enologiche, le quali nell’epoca moderna e contemporanea sono state migliorate ed affinate.
Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Lecce – Viale Gallipoli – 73100 LECCE
La Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Lecce è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 1) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’articolo 25, par. 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg. CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento) conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2° capoverso, lettera c). In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU del 19-11-2010 (Allegato 2).
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