Lazio
Approvato con DPR 06.08.1970 G.U. 280 - 05.11.1970 Modificato con DPR 19.07.1986 G.U. 100 - 02.05.1987 Modificato con DM 26.06.1992 G.U. 160 - 09.07.1992 Modificato con DM 10.10.1994 G.U. 252 - 27.10.1994 Modificato con DM 30.11.2011 Pubblicato sul sito ufficiale del Mipaaf Sezione Qualità e Sicurezza - Vini DOP e IGP
La denominazione di origine controllata “Colli Albani” è riservata al vino bianco che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie: “Colli Albani”; “Colli Albani” novello; “Colli Albani” spumante; “Colli Albani” superiore.
Il vino a denominazione di origine controllata “Colli Albani” deve essere ottenuto dalle uve provenienti dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la composizione ampelografica appresso indicata: Malvasia bianca di Candia, localmente nota come Malvasia rossa, fino a un massimo del 60%; Trebbiano toscano, Trebbiano giallo e Trebbiano di Soave, da soli o congiuntamente dal 25 al 50%; Malvasia del Lazio, localmente nota come Malvasia puntinata, dal 5% al 45%. Possono concorrere alla produzione di detto vino anche le uve delle varietà di vitigni bianchi idonei per la coltivazione per la Regione Lazio, fino a un massimo del 10% del totale, con esclusione delle uve dei vitigni delle varietà Moscato.
Le uve devono essere prodotte nella zona di produzione appresso indicata che comprende in tutto i territori amministrativi comunali di Ariccia e Albano e in parte quelli di Pomezia, Ardea, Castelgandolfo e Lanuvio. Tale zona è così delimitata: in prossimità della riva est del lago di Albano, alla confluenza dei confini comunali di Albano e di Castelgandolfo (quota 519), la linea di delimitazione segue il confine di Castelgandolfo in direzione nord-ovest fino a incontrare, in località Montanaccio, la retta passante per le quote 325 (località Pascolato) e 337 (località Montanaccio); scende lungo tale retta e il suo prolungamento, sino alla sponda del lago e prosegue lungo la riva verso sud fino a incontrare la quota 293 all’altezza del centro abitato di Castelgandolfo. Da quota 293 raggiunge in linea retta quota 426, in direzione di Castelgandolfo che attraversa verso sud-ovest per incontrare, all’uscita, la strada che passa tra Villa Torlonia e il seminario dei Gesuiti Bernesi , prosegue lungo tale strada sino a incontrare la via Appia (strada statale n. 7) al Km 23+250 epoi sulla medesima in direzione nord-ovest incrocia il confine comunale tra Castelgandolfo e Marino seguendolo, in direzione sud-ovest, sino al suo incrocio con la Nettunense (strada statale n. 207) lungo questa via scende verso sud fino a incontrare, in località Pavona, il confine di Albano che segue in direzione ovest. Seguendo sempre tale confine comunale raggiunge, presso la località Egidi, la strada che conduce ad Albano; il limite prosegue per tale strada verso ovest, fino a incrociare la via che conduce al colle della Certosa e lungo questa e il suo proseguimento raggiunge il punto di confluenza tra il fosso di S. Maria la Fornarola e il fosso di Paglian Casale, da qui seguendo una linea retta in direzione nord raggiunge il fosso dei Preti (500 metri prima che questi si congiunga verso est con il confine di Marino), segue tale fosso verso ovest e il suo proseguimento, che prende il nome di fosso di Casale Abbruciato, sino a raggiungere la linea ferroviaria Roma-Napoli lungo la quale discende verso sud, sino all’incrocio con la strada di Valle Caia che segue sino a km 6,100 (località Casale Valle Caia) da qui seguendo il sentiero in direzione sud raggiunge il fosso di Valle Caia che segue nella stessa direzione sino a quota 68 sul fosso delle Vittorie per poi raggiungere il fosso Pescarella a circa 500 metri dal casale omonimo, risale lungo il fosso di Torre Bruno, sino a incrociare la strada fosso di Tor Bruno che percorre per intero sino a raggiungere via Montagnano; scende verso sud lungo questa via per circa 150 mt e, all’angolo del Casale dell’Ovile, raggiunge la strada delle Scalette che percorre verso est sino a incontrare il fosso di Campoleone all’incrocio del confine tra le province di Roma e Latina; risale poi lungo tale confine fino alla strada ferrata della linea Roma-Napoli; prosegue per tale confine verso est, sino all’incrocio con la via di Anzio a quota 128 in prossimità del km 13. Segue la strada provinciale che dalla Nettunense porta a Lanuvio e superata la quota di 162 di circa 250 metri incrocia, sul lato sinistro, la strada dei Vinciguerra, che percorre per circa 300 metri fino a raggiungere il fosso dell’Acqua Chiara a ovest di Valeri. Discende detto fosso fino alla briglia di Vimmercati e percorrendo la strada della Cellettara raggiunge la strada consortile di Monte Giove Vecchio che segue verso nord (circa metri 300) e poco dopo aver superato l’ingresso del Casale S. Giovanni all’altezza della stradina di Giiuseppe Urazi o Spadino , devia verso nord-ovest, e con una linea retta in direzione dell’elettrodotto esistente, si congiunge con la strada comunale di Monte Giove Nuovo e quindi al confine comunale di Ariccia. Segue verso nord il confine comunale di Ariccia sino ad incrociare, presso la sorgente del Pescaccio, il confine comunale di Albano, prosegue lungo il medesimo in direzione nord fino alla sua confluenza con quello di Castelgandolfo (quota 519).
Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione del vino a denominazione di origine controllata “Colli Albani” devono essere quelle tradizionali della zona e, comunque atte a conferire alle uve e al vino derivato le specifiche caratteristiche di qualità. I sesti di impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati o comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e del vino. E’ vietata ogni pratica di forzatura. La resa massima di uva ammessa per la produzione del vino “Colli Albani” non deve essere superiore a 16,5 tonnellate per ettaro di vigneto in coltura specializzata, in rapporto all’effettiva superficie coperta dalla vite. A detto limite anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovrà essere riportata attraverso un’accurata cernita delle uve, purché la produzione non superi del 20% il limite medesimo. Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare al vino a denominazione di origine controllata “Colli Albani” il seguente titolo alcolometrico volumico naturale minimo: “Colli Albani”, anche nella tipologia novello e spumante 10% vol; “Colli Albani” superiore 11%vol. 3
La regione Lazio con proprio decreto, sentite le organizzazioni di categoria interessate , di anno in anno, prima della vendemmia può stabilire un limite massimo di produzione delle uve per ettaro inferiore a quello fissato nel presente disciplinare, dandone immediata comunicazione all’organismo di controllo incaricato.
Le operazioni di vinificazione devono essere effettuate nell’interno della zona di produzione delimitata nel precedente articolo 3. Le operazioni di elaborazione dei mosti o vini destinati alla produzione della tipologia “spumante” devono essere effettuate in stabilimenti siti nell’ambito della provincia di Roma. Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti, tradizionali della zona, atte a conferire al vino le sue peculiari caratteristiche. Il vino della denominazione di origine controllata “Colli Albani” “novello” deve essere imbottigliato entro il 20 dicembre dell’annata di produzione delle uve. La resa massima di uva in vino non deve essere superiore al 70%. Qualora la resa superi detto limite, l’eccedenza non avrà diritto alla denominazione di origine controllata.
Il vino a denominazione di origine controllata “Colli Albani” all’atto dell’immissione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche:
“Colli Albani”, anche nella tipologia novello e spumante colore: dal giallo paglierino al paglierino scarico; odore: vinoso e delicato; sapore: secco o abboccato o amabile o dolce, caratteristico, fruttato; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol; acidità totale minima: 4,5 g/l; estratto non riduttore minimo: 16,0 g/l;
“Colli Albani” superiore colore: dal giallo paglierino al paglierino scarico; odore: vinoso e delicato; sapore: secco o abboccato o amabile o dolce, caratteristico, fruttato; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol; acidità totale minima: 4,50 g/l; estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l
E' facoltà del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali di modificare con proprio decreto i sopra indicati limiti di acidità totale e dell'estratto non riduttore.
Nella presentazione e designazione del vino a denominazione di origine controllata “Colli Albani” è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quella prevista dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi “extra”, “fine”, “scelto”, “selezionato” e similari.
E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi privati non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l’acquirente. Le indicazioni tendenti a specificare l’attività agricola dell’imbottigliatore quali “viticoltore”, “fattoria”, “tenuta”, “podere”, “cascina” e altri termini similari sono consentite in osservanza delle disposizioni Comunitarie e nazionali in materia. Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti il vino a denominazione di origine “Colli Albani” deve essere indicato in etichetta l’annata di produzione delle uve, ad esclusione della tipologia spumante.
Il vino a denominazione di origine controllata “Colli Albani” superiore deve essere confezionato in contenitori di vetro con chiusura a sughero e di capacità non superiore a litri 1,500
A) Informazioni sulla zona geografica.
1. Fattori naturali rilevanti per il legame.
La zona geografica delimitata ricade nella parte centrale della regione Lazio, in Provincia di Roma: si estende per circa 7.900 ettari e comprende la parte acclive ed le pendici del versante occidentale dei Colli albani. Dal punto di vista geologico i terreni dei Colli albani e quelli pedocollinari hanno avuto origine da formazioni vulcaniche generate dalle eruzioni del Vulcano laziale: L’attività endogena che ha generato il Vulcano Laziale è iniziata circa 600 mila anni fa, con la costruzione di un edificio centrale accresciutosi via via in estensione e in altezza (oltre 2000 metri), sino al collasso della camera magmatica che ha provocato in superficie la formazione della grande depressione calderica che comprende i Pratoni di Vivaro. Successivamente, ripetute esplosioni freatomagmatiche concentrate nel settore occidentale dell’edificio vulcanico lungo un sistema di faglie distensive di direzione appenninica, hanno prodotto numerosi crateri: quelli più antichi (Ariccia, Pantano Secco e Prata Porci) sono ricoperti di sedimenti e attivamente coltivati, mentre gli ultimi in ordine di età, hanno conservato i caratteri morfologici tipici di forme giovanili, ad imbuto, e sono occupati da profondi bacini lacustri come quelli Albano e di Nemi. Le eruzioni del Vulcano Laziale sono continuate fino al Paleolitico superiore (Aurignaciano), ossia fra i 29.000 ed i 25.000 anni fa. Le formazioni vulcaniche sono costituite soprattutto da ceneri e lapilli depositati in strati di notevole spessore e cementati in misura diversa. Si possono distinguere: pozzolane (localmente dette "terrinelle"), cioè ceneri vulcaniche del tutto prive di cementazione: si riscontrano nelle zone più lontane dalle bocche di eruzione e danno luogo a terreni sabbiosi, profondi, permeabili all'acqua e senza ristagni né superficiali né profondi; tufi litoidi, più o meno duri, derivati dalla cementazione delle ceneri e dei lapilli, con diverse denominazioni locali (cappellacci, cappellacci teneri, occhio di pesce, occhio di pernice, ecc.), coprono la parte maggiore del territorio considerato. Sono di scarsa o nulla permeabilità all'acqua e alle radici ed è necessario pertanto procedere a scassi profondi per permettere agli agenti atmosferici di attivare la pedogenesi e mettere a disposizione delle colture, in particolare della vite, uno strato sufficiente di terreno agrario per lo sviluppo radicale e la nutrizione idrica e minerale; rocce laviche, dure, poco attaccabili dai mezzi meccanici e dagli agenti atmosferici. Coprono una minima parte del territorio in zone vicine ai crateri di eruzione. In generale danno origine a terreni di scarso spessore dove s’insedia il pascolo o il bosco; alluvioni recenti formatesi nelle zone pianeggianti per deposito alluvionale proveniente dalle pendici sovrastanti. I terreni derivati sono profondi, tendenzialmente argillosi, spesso umidi. 5
L’altitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra i 110 e i 650 m s.l.m., con pendenza variabile: l’esposizione generale è orientata verso ovest e sud. Il clima è di tipo mediterraneo di transizione ed è caratterizzato da precipitazioni medie annue comprese tra i 822 ed i 1110 mm, con aridità estiva non molto pronunciata (pioggia 84-127 mm) nei mesi estivi. Temperatura media piuttosto elevata compresa tra i 13,7 ed i 15,2°C: freddo poco intenso da novembre ad aprile, con temperatura media inferiore ai 10°C per 3-4 mesi l’anno e temperatura media minima del mese più freddo dell’anno che oscilla tra 3,4 e 4,0° C. La combinazione tra natura del terreno e fattori climatici fanno della zona delimitata come DOC Colli Albani un territorio altamente vocato alla produzione di vini di pregio.
2. Fattori umani rilevanti per il legame.
Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino “Colli albani”. La presenza della viticoltura nell’area delimitata risale all’epoca romana che destinavano a vigneto le terre più idonee e perciò preferivano il suolo vulcanico dell’antico vulcano laziale posto a sud di Roma. Le più importanti ville situate nei dintorni di Roma, nell’area dei Colli Albani, corrispondente agli odierni Castelli Romani, possedevano grandi spazi dedicati alla conservazione del vino: molti vini famosi all’epoca dei romani molti provenivano dai Colli Albani. Orazio per celebrare il Natalizio di Mecenate aprì un’anfora di vino Albano vecchio di più di nove anni, quando descrive la cena di Nasidieno vi pone l’Albano ed il Falerno, ed altrove loda l’uva Albana appassita al fumo. Dionisio parlando del territorio di Albano riporta “ammirabili per l'amenità, fertilissimi d' ogni genere di biade, di maniera che non cedevano ad alcun' altro campo d’Italia, e particolarmente per la bontà del vino soavssìmo , propriamente chiamato Albano superiore a tutti gl’altri , ad eccezione di quello di Falerno.” Con la fine della barbarie lentamente la vita si fece più normale, e anche l’agricoltura ovviamente ricominciò a prosperare. La viticoltura nei Colli albani si diffuse nuovamente, razionalizzandosi, fino a diventare la coltura principale del territorio castellano, grazie anche alla grande richiesta di vino di Roma, sede della corte papale e teatro di un forte aumento della popolazione. Gli Statuta Vniversitatis Castri Gandvlphi, emanati nel 1588 e gli Statuti dell'antica e nobil Terra dell' Ariccia, concessi dal duca Paolo Savelli nel 1610, contengono Capitoli che stabilivano tra l’altro l’epoca della vendemmia e regolavano il commercio del vino. Nei corso dei secoli la viticoltura ha mantenuto il ruolo più importante nell’economia agricola del territorio contribuendo in modo significativo allo sviluppo sociale ed economico dell’area. Grazie alle loro peculiarità, numerosi sono i riconoscimenti che hanno ricevuto e continuano a ottenere, i vini a DOC Colli Albani sia in ambito locale, nazionale che internazionale; ben figurano inoltre sulle principali guide nazionali. L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è in particolare riferita alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione: - base ampelografica dei vigneti: i vitigni idonei alla produzione del vino in questione, sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata: la Malvasia di Candia, la Malvasia del Lazio ed il Trebbiano toscano, verde e giallo; - le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali e tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma, permettendo di ottenere una adeguata superficie fogliare ben esposta e di contenere le rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare di 115,5 hl/ha per tutte le tipologie; - le pratiche relative all’elaborazione dei vini, che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione di vini bianchi complessi ed equilibrati.
B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all'ambiente geografico.
La DOC “Colli Albani” è riferita a 4 tipologie di vino bianco (“di base”, “novello”, “spumante” e “Superiore”) che dal punto di vista analitico ed organolettico presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico. Nello specifico le singole tipologie di vino si caratterizzano: - “Colli Albani”: vino fresco ed equilibrato con colore dal giallo paglierino al paglierino scarico, con note floreali, sapore secco o piacevolmente amabile o dolce. - “Colli Albani” novello: vino fresco e vivace, con colore dal giallo paglierino al paglierino scarico, odore intenso con note floreali e fruttate, equilibrato. - “Colli Albani” spumante: vino fresco ed equilibrato, con colore dal giallo paglierino al paglierino scarico, con perlage vivace e persistente odore intenso con note floreali, sapore secco o amabile. - “Colli Albani” Superiore: vino fresco ed equilibrato, strutturato, con colore dal giallo paglierino al paglierino scarico, odore intenso con note floreali, sapore secco o piacevolmente amabile o dolce. Al sapore, asciutto o frizzante, tutti i vini presentano un’acidità normale, un amaro poco percepibile, poca astringenza, buona struttura, che contribuiscono al loro equilibrio gustativo.
C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).
L’orografia collinare dell’areale di produzione costituita dalle pendici occidentali del vulcano Laziale, e l’esposizione ad ovest, concorrono a determinare un ambiente arioso, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione dei vigneti del “Colli Albani”. Da tale area sono peraltro esclusi i terreni ubicati a quote troppo basse non adatti ad una viticoltura di qualità. Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in maniera determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche ed organolettiche del “Colli Albani”. In particolare, i terreni prevalentemente di origine vulcanica, sono costituiti da pozzolane (localmente dette "terrinelle"), cioè ceneri vulcaniche del tutto prive di cementazione: si riscontrano nelle zone più lontane dalle bocche di eruzione e danno luogo a terreni sabbiosi, profondi, permeabili all'acqua e senza ristagni né superficiali né profondi; si hanno anche limi e sabbie gialle mescolate a ciottolini calcarei e silicei sparsi o concentrati e argille azzurre e grigie di ambiente lacustre e terreni riconducibili alle terre rosse con tessitura argillo-limosa che presentano, in genere, limitato spessore ed un sottosuolo coerente. Trattasi di terreni con caratteristiche tali da renderli idonei ad una vitivinicoltura di qualità. Anche il clima dell’areale di produzione, caratterizzato da precipitazioni più che sufficienti (970 mm), con piogge estive non elevate (100 mm) ed aridità nei mesi estivi nella parte meno acclive, da una buona temperatura media annuale (14.6 °C), unita ad una temperatura relativamente elevata e ottima insolazione nei mesi di settembre ed ottobre, caratterizzata nella fase finale, da una elevata escursione termica tra notte e giorno, consente alle uve di maturare lentamente e completamente, contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche del vino "Colli Albani". In particolare, la combinazione tra le caratteristiche del terreno ed i fattori climatici, determina per i vini bianchi, la produzione di significative quantità di precursori aromatici che consentono di esaltare le caratteristiche organolettiche e i sentori tipici dei diversi vitigni. La millenaria storia vitivinicola riferita alla terra “Albana”, dall’epoca romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, è la generale e fondamentale prova della stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e la qualità e le peculiari caratteristiche del vino “Colli Albani”. Ovvero è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei secoli, tramandato le tradizionali tecniche di coltivazione della vite ed enologiche, le quali nell’epoca moderna e contemporanea sono state migliorate ed affinate, grazie all’indiscusso progresso scientifico e tecnologico, fino ad ottenere i rinomati vini “Colli Albani”, le cui peculiari caratteristiche sono descritte all’articolo 6 del disciplinare. In particolare la presenza della viticoltura nella zona del “Colli Albani” è attestata fin dall’epoca romana, in molti opere dei georgici latini. Nel medioevo i contratti agrari ed i documenti di varia natura, conservati presso gli archivi monastici, confermano la diffusione di tale coltura. Gli Statuta Vniversitatis Castri Gandvlphi, emanati nel 1588 e gli Statuti dell'antica e nobil Terra dell' Ariccia del 1610, regolavano l’ordinamento delle Comunità su cui era basata la vita sociale, economica, religiosa, agricola e pastorale. Diversi Capitoli degli Statuti trattano della vite e del vino a testimonianza dell’importanza che anche allora rivestiva la vitivinicoltura. Sante Lacerio, bottigliere di Papa Paolo III (1534-1549), in una lettera sulla qualità dei vini in circolazione cita il “vino di Albano”, migliore quello rosso durante l’inverno, solo se l’estate e stato al fresco: pare che il Papa apprezzasse molto questo vino, soprattutto se consumato giovane. Cita anche quello “della Riccia” (Ariccia) buono, ma non al livello di quello di Albano e giudica ottimo anche quello di Castel Gandolfo, da consumarsi durante la stagione estiva. Il Lucidi, nell’opera citata, riporta la notizia di un inventario del monastero di San Ciriaco in cui si fa menzione “della vigna de Miranda filia Marotie corrispondente all’istrumento dell’anno 980”, della vigna Joanne Bono Piscatore corrispondente all’istrumento dell’anno 1081” e l’esistenza di uno “istrumento di ricognizione in dominium di una vigna fatta nel 1307”. Sempre nella stessa opera riferendo in merito all’enfiteusi che stava prendendo piede riporta “Il primo di tutti fu il capitolo dell' Ariccia , il quale nell'anno 1606 alli 12. gennaro per gli atti di Ludovico de' Pozzi notaro dell' Ariccia diede in enfiteusi perpetua a Giovanni Brandani, Michele Porcaro, e Fulvio Sorentini trentadue rubbia di terreno a Villafranca, o Pascolare de' Preti coll' obbligo dell'annuo canone di scudi dieci per rubbio, e di piantarlo a vigna.” Sempre il Lucidi, parlando di vino, riporta che il vino prodotto nella parte più alta di Ariccia “che sul fine del secolo passato, e sul principio del presente il suo vino stava in molto pregio presso i Romani .. e che sul principio di questo secolo si proibiva la vendita di questo vino sino a tanto, che si fosse provveduta la cantina del palazzo pontificio”; e ancora “Io mi ricordo aver bevuto nel tinello de'Gesuiti in Albano il vino delibano di s. Maria di quattordici anni. Il gesuita, che avea cura delle vigne.. regalava questo vino a' cardinali e principi, che andavano a villeggiare in Albano , da'quali era molto stimato”. Nei corso dei secoli la viticoltura ha mantenuto il ruolo di coltura principe del territorio, fino all’attualità, come testimonia il Lucidi che, nelle Memorie storiche dell'antichissimo municipio ora terra dell'Ariccia, e delle sue colonie Genzano, e Nemi (1796), riporta anche la qualità del vino prodotto in varie località ricadenti nell’area delimitata e ancora oggi coltivate a vite: “Villafranca dà un vino delicato, defecaro, e per lo più dolce, e in abbondanza”, “é inutile riferire la bontà del vino di Ginestreto; essendo il suo nome celebre in tutte le osterie di Roma”, e parlando della tenuta di Tor Cancelliera del Principe Chigi “il vino ivi raccolto è così buono, che non cede a veruno de' migliori vini di Genzano, e dì Monte Giove.” Altra località ancora oggi fortemente interessata dalla viticoltura è riportata da Ferdinand Adolf Gregorovius in Ricordi storici e pittorici d'Italia (1865) “La strada corre per cinque ore in direzione del mare, rasentando i monti Albani. Femmo sosta a Fontana di Papa. La è questa un'osteria che sorge solitaria in mezzo alle vigne, e la quale ha tolto il suo nome da una fontana fattavi costruire da Papa Innocenzo XII”. La bontà dei vini è documentata da Theodor van Meyden nel Trattato della natura del vino, e del ber caldo, e freddo (1608) nel quale descrive le uve coltivate e afferma “E benché tutte quest’uve siano comuni al territorio di Roma, e’l suo distretto, sono però più perfette, e migliori in un luogo, chi in un altro, onde li Vini di Albano, … di Castel Gandolfo, &c. sono eccellentissimi”; il Piazza in La Gerarchia cardinalizia (1703) riporta per Albano “la campagna.. feconda di frutti saporitissimi, e di vini in gran copia, i più preziosi”; il Fabi in Corografia d'Italia: ossia gran dizionario storico-geografico-statistico (1852), riporta sempre per Albano “Il suo territorio è fertile, soprattutto in viti, che danno vini eccellenti”.
Il commercio del vino è documentato dal Zuccagni-Orlandini che in Corografia fisica, storica e statistica dell' Italia (1843) Vol, 10, riporta “I colli d'Albano sono deliziosi, e coronati di vigne che danno un vino assai accreditato in commercio” e ancora “Albano.. che nei suoi squisiti vini trova alimento al suo attivo traffico”. Lo storico Parkman, nel 1844, parlando della città di Albano scrive “quasi tutte le case espongono sopra la porta una frasca verde, hanno lo stipite della porta dipinto di verde, oppure recano un’insegna con la scritta Spaccio di vino..”. La storia recente è caratterizzata da un’evoluzione positiva della denominazione, con l’impianto di nuovi vigneti, la nascita di nuove aziende che, unite alla professionalità degli operatori, hanno contribuito ad accrescere il livello qualitativo e la rinomanza del “Colli Albani”.
Nome e Indirizzo: Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Roma Via Appia Nuova 218 – 00179 Roma Telefono 06/52082699 - Fax 06/52082494; E-mail lcm.amministrazione@rm.camcom.it
La C.C.I.A.A. di Roma è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 1) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare conformemente all’articolo 25, par 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2° capoverso, lettera c). In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010. (Allegato 2).
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