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La “gloria” di Parma: il prosciutto

03 Agosto 2016
La “gloria” di Parma: il prosciutto
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Il Prosciutto di Parma e il Parmigiano Reggiano sono due eccellenze della gastronomia italiana tra le più conosciute e apprezzate al mondo e sono due prodotti strettamente legati al territorio, che presenta le condizioni climatiche ideali per la stagionatura naturale del prosciutto regalando quell’inconfondibile dolcezza e gusto al prodotto Dop.
Esistono due Consorzi a tutela dell'assoluta eccellenza e genuinità di questi tesori tutti italiani.

È quindi una sorprendente e felice coabitazione quella che vede a Parma, nei confini del medesimo territorio, due picchi della nostra gastronomia.
Il comprensorio è segnato dalla via Emilia, che attraversa quella vasta pianura, da sempre orgogliosa della sua ruralità, per allungarsi fino alle morbide colline, dove il variare dei colori registra il cambio delle stagioni. Siamo sempre in provincia di Parma, e se la storia ci viene incontro con castelli, torri e rocche dai casati altisonanti - si pensi a Matilde di Canossa - la civiltà contadina non è da meno. In cambio, i nomi sono umili, popolari, con i quali a tavola si ha parecchia confidenza, e che ritroviamo col dovuto prestigio sul banco delle nostre salumerie.
Prosciutto di Parma e di Langhirano, salame di Felino e Collecchio, e così via.

Questo vuol dire che le Frisone hanno ceduto il campo ai maiali, per un prodotto che ha tutt’altra storia (e riferimenti e tecniche) alle spalle, non meno suggestiva e leggendaria di quella del parmigiano. Sorprende, tuttavia, che due realtà tanto diverse abbiano potuto convivere in uno spazio ben delimitato, per approdare entrambe a esiti di riconosciuta eccellenza. Perché se il formaggio non è il prosciutto e viceversa, accostarli nell’ambito del comune territorio non può che esaltare queste differenze.

Protocolli rigorosi per la produzione del Prosciutto di Parma

Prosciutto, quindi. E cosce di maiale. Ma con quali caratteristiche? La lontana stagione dei suini autoctoni è stata largamente superata. Dalla fine dell’Ottocento, l’arrivo dei primi Yorkshire o Large White ha del tutto capovolto la situazione, fino ad offrire un ottimo maiale da prosciutto. Vale a dire a crescita lenta, per un graduale sviluppo corporeo, in grado di favorire la macellazione di animali “maturi”.

Si tratta di obiettivi che non presentano da tempo alcuna difficoltà, visto che i suini non vivono più nei boschi, nutrendosi di ghiande, ma sono ormai “addomesticati”, e crescono secondo precisi tempi e regole di allevamento. Anche la macellazione obbedisce al compimento di un ciclo, e avviene solo in periodi freddi, a nove mesi dalla nascita. L’allevamento di un maiale prevede infatti un rigoroso protocollo (il Consorzio di Tutela del Prosciutto di Parma, attivo dal ’63, disciplina ogni aspetto del processo), che se nel parmense risale ai trascorsi celtici e longobardi, risulta già “rivisitato” a partire dal Settecento, quando per il prosciutto si apre un imprevedibile mercato.

Di contro, sono rimaste sostanzialmente uguali le fasi di lavorazione, che continuano ad avere il loro punto di forza nella salatura (o salagione), cui viene sottoposta la coscia dopo ventiquattro ore in cella frigorifera, perché la carne si rassodi. Ecco, la gestione del freddo controllato è fin dai primi del Novecento l’innovazione più significativa. Perché, per il resto, dalla rifilatura alla salagione alla stagionatura, è cambiato ben poco.

Il sale e la stagionatura: gli ingredienti del Prosciutto di Parma

A parte infatti la qualità della coscia - inevitabilmente connessa ai criteri di nutrizione del suino - gli artefici del prosciutto restano il sale e gli ambienti per la stagionatura. Forse Parma non avrebbe vantato questa straordinaria paternità, se non avesse avuto un bel po’di sale, al quale allora si aggiungeva quello proveniente da Venezia, Chioggia e Cervia, che arrivava in Emilia lungo il Po e i suoi affluenti.

marchio a fuoco del Prosciutto di Parma
Il marchio tipico del Prosciutto di Parma

Senza questo prezioso ingrediente, non solo niente prosciutto, ma neanche tutti quei prodotti - a cominciare dagli insaccati ai pesci, baccalà in testa - destinati alla conservazione. E anche in questo caso, il rinvio al passato etrusco e romano è inevitabile. Plinio il Vecchio, nel primo secolo a.C. scrive che “Nulla è più utile del sale e del sole”, e Columella precisa che è buona norma tenere la carne sotto sale per almeno nove giorni.

E la stagionatura? Non è cambiata molto. Prosciutto da perxuctus, vale a dire prosciugato. Un processo che avviene in ambienti non umidi, meglio se ubicati su quelle colline di Parma, dove le cosce si “asciugano” per la durata di due anni. Solo allora il prosciutto, con un peso fra gli otto e i dieci chili, presenterà al taglio quel tipico e uniforme colore fra il rosso e il rosa, inframmezzato dal bianco puro del grasso.

Una caratteristica che è legata alla buona stagionatura, ma in special modo al tipo di nutrizione del maiale, che nel passaggio dall’originario bosco al porcile può contare su quella abbondante “broda” o pastone, con mais, cereali e siero di latte.

Un trattamento del quale si rende garante l’allevatore, tenuto ad apporre su ogni coscia il timbro con il proprio codice d’identificazione. Ormai dalla nascita e conseguente fase di allattamento per le prime quattro settimane, la vita del maiale obbedisce a un preciso percorso, che lo porterà nel giro di nove mesi a raggiungere il peso ideale per la macellazione, intorno a un quintale e mezzo.

Articolo tratto da l'Enologo – n°3 2016 – Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani

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