Qualche riflessione sulla stagione anomala
Da l'Enologo - n°10 Ottobre 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
Le mie radici umbre mi rimandano fatalmente agli Etruschi. E di qui agli Aruspici, sacerdoti in grado di interpretare il futuro dalle viscere degli animali. Per il popolo, invece, chi avanza previsioni è solo un indovino, un mago, qualcuno in cui credere senza troppa convinzione, fra letture di mani e di carte da gioco. Poi il lungo corso dei secoli ci ha portato la scienza. E con essa il meteo, i cui costanti aggiornamenti ci consentono di sapere non poco di quello che ci aspetta. Almeno sul piano climatico. Il che è vero, anche se non si sottrae a quel quoziente di incognite, che continua ad accompagnare ogni futuro evento.
Sono pensieri a ritroso, diventati attuali e pressanti sotto la spinta di quell’ondata di caldo – con ogni conseguente fenomeno di siccità – che ha segnato quest’ultima stagione. Era prevedibile? Intendo in tutta la sua invadenza e drammaticità? E soprattutto, se lo era, fino a qual punto si poteva contare su un adeguato deterrente? Le immagini televisive delle nostre campagne, aride e ribollenti come savane, per non dire dei vigneti imploranti pioggia, ci hanno dato un panorama preciso del quadro climatico. Ma l’informazione non è andata oltre. E non poteva.
Cerchiamo allora d’indagare insieme la portata del fenomeno, al di là dei due atteggiamenti più diffusi: quello che tende a minimizzare l’evento, e quello che ne esaspera la portata, oltre ogni ragionevole limite. Non sono un esperto in fatto di clima. Tutt’altro. Ma so che la nostra civiltà vive all’insegna del digitale, e questo significa che ogni operazione, che coinvolge la gestione dei dati, produce energia. Che a sua volta comporta la crescita del riscaldamento globale. In pratica, l’impatto negativo del digitale è simile a quello del trasporto aereo. Il che significa che impegna due insostituibili conquiste del nostro tempo.
E allora? Le grandi aziende informatiche sono ormai quasi tutte ecologiche, per cui basterebbe ridurre del 20% l’effetto dei gas serra. Che gioverebbe non solo alla qualità della nostra vita, ma a quella della campagna, degli alberi, dei vigneti. Purtroppo, il quadro generale è avvilente.
L’ondata di gelo, che attraverso la Francia e la Spagna è arrivata fino a noi in aprile, ha bruciato un mare di germogli, che non sono stati più in condizioni di fruttificare. Ma è stato il crescente indice di caldo (a luglio e ad agosto si sono superati i quaranta gradi in molte regioni) e la diffusa siccità a pesare sulla vita dei nostri vigneti. Tuttavia il fenomeno ha risparmiato alcune aree del Nord, investite da generose piogge, anche se spesso i vigneti hanno ugualmente ceduto sotto la violenza di frequenti grandinate e trombe d'aria.
Insomma, i danni sono innegabili, e la loro portata è stata in modesta misura contenuta grazie ad alcuni fattori, purtroppo non sempre presenti nelle nostre campagne. Mi riferisco ai criteri tecnico-scientifici a difesa dei vigneti; alla disponibilità d’impianti d’irrigazione e più spesso alla particolare resistenza di alcuni vitigni originari del territorio. Così, alla fine, per alcune aree si potrà contare su prodotti che, per qualità, non hanno nulla da invidiare ad altre stagioni. E questo grazie soprattutto alla trasversalità dei nostri territori e alla straordinaria biodiversità degli impianti e agli interventi tecnici in vigna di enologi ed agronomi. Un esame della situazione non è confortevole. Le condizioni climatiche continuano ad essere ostili, per cui la perdita del 25% della produzione (stima antecedente il 15 di agosto) rischia alla fine di risultare solo un dato ottimistico. D’altra parte siamo in materia di previsioni, e questo rende fluido e incerto qualunque risultato.
A tirare le somme, non c’è quindi da stare allegri. La flessione di un quarto (nelle migliori delle ipotesi) del prodotto totale, rispetto allo scorso anno, vuol dire già un calo di vino e mosto per ben tredici milioni di ettolitri. I danni maggiori si lamentano in Sicilia e in Umbria, anche se questa vendemmia, nella sua globalità, si affianca a quelle più scarse, registrate dal 1947 ad oggi. Sono cifre che Assoenologi pone a confronto, anche sulla base delle indicazioni fornite dai colleghi che operano nelle nostre sedi periferiche. Si tratta, ripeto, di dati riferibili alla seconda metà di agosto, il che significa con la quasi totalità dell’uva sulle piante. Che dire? Ancora una volta ha tenuto banco la natura. Ma non mi sento di sostenere che da parte nostra è stato fatto tutto il possibile per contenere i suoi eccessi. Il clima non è invincibile. Va solo affrontato con le armi giuste e in tempi opportuni.
Da l'Enologo - n°10 Ottobre 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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