Intervista a Ezio Rivella, pioniere dell'enologia italiana
Riccardo Cotarella intervista Ezio Rivella, pioniere dell'enologia italiana e personaggio dell'anno 2020 per Assoenologi.
D: “Ezio, tu sei stato uno dei personaggi più in vista dell'enologia italiana negli anni '70, '80 e '90, quando il nostro settore era alla ricerca di un'identità e di una posizione, soprattutto sul mercato estero. Tra i tuoi numerosi incarichi, pubblici e privati, c'è stata anche la decennale presidenza di Assoenologi, dal 1975 al 1986. Raccontaci di quegli anni, di com'era l'Associazione e quale è stata la tua azione.”
R: “La situazione del settore vitivinicolo alla fine degli anni '70 era abbastanza disastrata, con una crisi che durava dal dopoguerra, con l’arrivo delle nuove bevande che rosicchiavano i consumi. Le vendite erano ancora quantitativamente elevate, ma la qualità era molto ordinaria: 9, 10, 11 gradi alcol (12 era già considerata tipologia superiore!). I soloni del tempo, politici in testa, altro non sapevano dire che per risolvere la crisi del vino occorreva un'intensa lotta alle sofisticazioni, ingenerando così il sospetto nel consumatore che i vini erano per lo più adulterati! Il mercato non riceveva grandi attenzioni, essendo radicato il concetto ancestrale agricolo che bisogna raccogliere tutti i frutti che madre natura ci eroga...
Così, a noi che ci vantavamo di raggiungere i 400 quintali di uva per ettaro, un eminente produttore francese rispose “Monsieur, è inutile produrre ciò che a nessuno interessa acquistare!” Prima lezione. Viaggiando si impara molto e io ho capito presto che bisogna essere attenti a studiare i competitori e mi mercati sul luogo. Un altro errore largamente professato è che "il nostro vino è così perché viene così. È il consumatore che va educato al gusto". Famosa a tale riguardo è la risposta di un grosso acquirente: "Il vostro vino a noi non piace. Visto che è così buono, bevetevelo voi!"
Il Governo spendeva comunque un bel po’di quattrini in presentazioni all’estero di Regioni, Provincie, Camere di Commercio eccetera, a cui presenziavano le segretarie degli Uffici consimili, per raccogliere poco o niente. Chiesi a Robert Mondavi: “Robert, dove sbagliamo?" E lui: “Voi volete presentare tutti i vini, la maggioranza dei quali sono addirittura negativi. Dovete presentare solo quelli molto buoni, e dietro a quelli arriverà il tempo di commercializzare anche gli altri!”.
Spiegare questo concetto ai vari presidenti di cantine sociali, politici locali, eccetera, è stata un'impresa titanica! La soluzione fu trovata con la collaborazione dell’Ice e la impareggiabile regia di Pino Khail, fissando una compartecipazione alle spese al 50% di tutti i partecipanti. Selezionammo così 12 produttori di alto livello con i quali andammo a presentare - in pompa magna, servizio di sommeliers e quant'altro, nei locali più prestigiosi del mondo - i vini italiani. Le città più importanti degli Usa, Canada, Giappone, ma anche Australia, Nuova Zelanda, e tutta l’Europa che conta. Condotte con professionalità insuperabile, queste presentazioni contribuirono enormemente ad elevare il prestigio del vino italiano sul mercato mondiale.
La situazione dell'Assoenologi (allora si chiamava Associazione Enotecnici Italiani) ai tempi non era affatto diversa dalle problematiche del settore.
Prima di assumere la Presidenza, ho fatto il consigliere più di 10 anni: era un'Associazione goliardica di amici, sempre i soliti (Dino Terraneo, Natalino Calissano, Claudio Marescalchi, Emilio Sernagiotto, Giorgio Carnevale, ecc.). Ai Congressi annuali partecipavano una trentina di persone, che attendevano con impazienza il momento dei saluti. Questa realtà mi infastidiva: non mi sfuggiva la grossa potenzialità che poteva avere sulle politiche del comparto una Associazione che poteva mettere insieme elementi di così elevato prestigio. Ma questi personaggi non aderivano, perché il sodalizio non aveva peso. L’importanza di una Associazione dipende dall’importanza dei suoi associati! L’immagine professionale dell’Enologo era ai livelli minimi: il chimico delle contraffazioni!
Molti produttori, anche importanti, dichiaravano in pubblico, ”io l’Enologo non ce l’ho; noi produciamo secondo la nostra esperienza e tradizione”. Non era vero, ma il discorso faceva effetto sul pubblico. Una situazione paradossale!
Dare immagine alla professione fu il primo obiettivo messo in programma da me e dal mio Consiglio. Per fare questo bisognava cominciare a lanciare l’Associazione. Io mi proponevo di farne un'Azienda, autonoma sotto il profilo gestionale e Amministrativo.
L’aspetto fiscale e normativo fu risolto dal Presidente Zanchetta con la creazione della Cooperativa. Restava quello fondamentale delle entrate: veramente esiguo se legato alle sole quote associative. Sbagliando, l’AEI aveva puntato sulla gestione dei laboratori di analisi, che non hanno mai prodotto utili. La mia idea di Azienda partiva dall’assunzione di un direttore a tempo pieno in grado di sviluppare le iniziative che avevamo in programma. Così, ad uno sbigottito Giuseppino Martelli che mi chiedeva se avevamo i soldi per pagarlo, risposi candidamente “No... te li devi guadagnare realizzando queste iniziative!” Il connubio funzionò benissimo, grazie anche al valore del soggetto. Ma il grande successo lo ottenemmo in pochi anni con il nostro Congresso annuale, divenuto presto la principale manifestazione del settore vitivinicolo, punto di riferimento per operatori, funzionari, politici.
Trovata la formula degli sponsor e perfezionati tutti i dettagli organizzativi il nostro grande Convegno polarizzò l’attenzione di tutti.”
D: “Per molti anni sei stato Delegato Ufficiale Italiano all'OIV e per 6 anni Vicepresidente. Quali sono stati gli aspetti più importanti di cui ti sei occupato?”
R: “Bere due bicchieri di vino al giorno aiuta a vivere meglio e campare più a lungo". Questo assioma ebbe finalmente l’approvazione della classe medica con il “French paradox" nel 1994 e per noi è cambiato il mondo! Il settore vitivinicolo acquisì finalmente dignità di impresa, in contrapposizione a coloro che ci volevano considerare alla stregua dei produttori di cocaina! Con la mia Commissione “Vino e salute “ci siamo occupati di porre questo credo al centro dell’attività dell’OIV, che nel 1924 era stato creato proprio per contrapporre gli effetti benefici del consumo moderato di vino alla dilagante rincorsa al Proibizionismo già adottato negli Stati Uniti ed in altri paesi.
Oltre a sensibilizzare i Governi, abbiamo continuato a stimolare la ricerca sanitaria. Nonostante le resistenze, i risultati sono stati notevoli. La nostra attenzione è stata altresì posta al problema della diffusione dell’alcolismo tra i giovani, con l’acquisizione dei più approfonditi studi sulla materia. La nostra conclusione ha stabilito la necessità di introdurre molto presto nelle Scuole la Educazione alimentare e la cultura della Civiltà del vino in contrapposizione ai pericoli degli abusi e ai micidiali pericoli del consumo di droghe. Abbiamo elaborato protocolli per l’istruzione nelle Scuole che sono stati trasmessi a tutti i Governi, i quali, si sa, hanno molte cose importanti di cui occuparsi!”
D: “Nel 1993 sei stato nominato Presidente del Comitato nazionale delle Denominazioni di Origine dei Vini, che per 5 anni hai retto in modo encomiabile, coordinando un gruppo di esperti che ha dato applicazione alla nuova Legge 164 sulle Doc. Quali sono state le particolarità di questo periodo storico?”
R: “Nel 1993 la lunghissima gestazione della nuova Legge 164 sulle Denominazioni di Origine dei Vini era finita, la Legge era stata approvata e si doveva nominare il nuovo Comitato che ne curasse l’applicazione. Dal settore erano venute energiche proteste per il fatto che alcuni autorevoli membri del Comitato stesso abusavano della loro posizione per coltivare interessi personali e inoltre era sbagliato continuare a mettere alla Presidenza illustri teorici che avevano scarsa conoscenza delle problematiche pratiche.
Come uomo nuovo adatto per l’incarico fu fatto il mio nome. Sulle prime, rifiutai, ritenendo di avere già troppo lavoro per assumere questo nuovo oneroso incarico; ma il Sen. Alfredo Diana, che è stato l’ultimo Ministro dell’Agricoltura della Repubblica Italiana, mi convocò e mi convinse ad accettare per spirito di servizio. Il Comitato, composto da ottimi elementi, con la collaborazione della segretaria Francesca Adinolfi Marinelli, si è messo subito al lavoro. Il momento era difficile; un irresponsabile referendum aveva cancellato il Ministero dell’Agricoltura; i funzionari navigavano a vista, senza direttive ne’ protezioni. Per alcuni anni il Comitato è stato l’unico punto di riferimento decisionale per tutte le questioni che nascevano nella attività vitivinicola, con la collaborazione del funzionario Vittorio Camilla. I Decreti formulati secondo la nuova Legge sono un numero impressionante. Se non fossi stato io il Presidente dovrei dire che è stato uno dei migliori Comitati che abbiamo avuto.”
D: “Con la realizzazione della grande Azienda Banfi a Montalcino sei passato alla storia come " Enologo- Manager ", mettendo in secondo piano, tutte le altre tue benemerenze. Com'è nato il progetto e quali le principali tappe?”
R: “Capitai a Montalcino agli inizi degli anni '70 per scrivere un articolo per "Civiltà del Bere" su questo vino di cui si iniziava a favoleggiare ma era pressappoco inesistente sul mercato. Rimasi sorpreso dalla scarsità dei vigneti esistenti; un territorio completamente abbandonato, tutto sassi e rovi, terreni tutti in vendita, a prezzi bassissimi. Cominciai a pensare ad un progetto di valorizzazione: "se questo vino è veramente di qualità come dicono qui - pensai - si può fare un buon progetto, molto futurista"... perché il mercato allora non esisteva.
Ma chi avrebbe fornito gli ingenti capitali per comprare le proprietà, bonificare i terreni, piantare i vigneti, portarli in produzione, costruire cantine, equipaggiarle, invecchiare i vini e conquistare i mercati?
Mettendo in ordine le cifre, l’impresa mi parve titanica, quindi misi il progetto in un cassetto. Il caso volle che nel 1977, in una serata a cena l'amico John Mariani della Banfi, mio affezionato cliente, mi parlò della sua decisione di entrare nella produzione del vino in Italia investendo i proventi delle vendite delle Cantine Riunite. Gli esposi allora, molto sommariamente, la mia idea su Montalcino. Mi preoccupò il suo entusiasmo, per cui gli parlai degli ingenti capitali necessari: 100, forse 200 milioni di dollari. "Bene - disse - in 4-5 anni te li possiamo mandare, ma ad una condizione: che tu lasci tutte le tue consulenze e ti occupi a tempo pieno di questo Progetto".
Vediamo... pensai, magari è l’entusiasmo di una buona cena! Invece, dopo una settimana mi chiama il Direttore del Credito Italiano di Roma e mi dice “Rivella, qui sono arrivati 4 miliardi (di lire), li manda la Banfi". Rimasi sbalordito. Chiamai John e lo pregai di venire a vedere dove li buttavo questi soldi!
Mi dette una risposta che mi conquistò e mi legò a lui per tutta la vita: "Io posso anche venire a vedere, ma io non capisco niente. Siamo d ‘accordo che noi ti mandiamo i fondi e tu realizzi il progetto". La fiducia mi galvanizzò e la sfida mi piaceva molto, per cui mi misi subito al lavoro acquistando proprietà a Montalcino. Il progetto subì rifacimenti e modifiche nel corso della realizzazione, pur mantenendo ferme le peculiarità di impostazione:
- Verticalità delle produzioni seguendo la regola che ogni etichetta deve avere la sua vigna;
- Dimensione adeguata, per assicurare la economicità della gestione;
- Strutture aperte ai visitatori, con attenzione ai servizi per gli ospiti;
- Impostazione qualitativa della produzione, con attenzione al mercato.
Oltre all’obiettivo Brunello sono stati lanciate una serie di etichette per il mercato nazionale ed estero nella difficile impresa di pareggiare il Bilancio, in attesa che arrivasse il successo per il vino principe. In Italia Banfi impressionò per i numeri: quasi 3.000 ha di proprietà, tutti contigui ed in zona Doc- 1.000 ettari di vigneti; 7 laghi collinari per l’irrigazione, un impianto completo per la produzione di prugne essiccate con circa 90 ettari di coltivazione e 4 forni di essiccamento.
L’attrezzatura della Azienda agricola è stata sempre all’avanguardia con oltre 200 trattori e macchine operatrici specializzate per una ampia gamma di lavori.
La cantina è stata visitata da operatori di mezzo mondo per la sua impostazione concettuale, per la razionalità e la dotazione di tecnologie, sempre aggiornate. Oggi, ad esempio, ben tre linee di pigiatura sono dotate di macchine in grado di selezionare addirittura gli acini in base al colore, al peso specifico, al contenuto zuccherino, scartando tutti quelli imperfetti o danneggiati. E questo al ritmo di 80/90 quintali ora. Nelle capaci cantine 20.000 barriques sono lavorate da una linea automatica di lavaggio e riempimento. Tre milioni di bottiglie sono costantemente in invecchiamento a temperatura controllata.”
D: “Nel tuo libro "Io e Brunello - come ho lanciato il Brunello di Montalcino nel mondo " (2008) hai spiegato le fasi che hanno portato al successo un’opera così imponente ed alla diffusione del Brunello di Montalcino in tutto il mondo, in un momento (anni '70) in cui il fenomeno Brunello, esisteva solo a livello di speranza. Quali sono state le tappe principali di questo percorso?”
R: “Nel settembre 1984 inaugurammo in pompa magna la cantina di Montalcino, splendente di acciai inossidabili. Furono invitati i 100 giornalisti specializzati più importanti di tutto il mondo. Per cui lo spettacolare evento ebbe vasta risonanza. Trasportati col nostro elicottero, intervennero l’Ambasciatore USA Maxwell Rab ed il Ministro dell’Agricoltura Filippo Maria Pandolfi. Agli occhi dello sbalordito Ministro, la realizzazione dell’azienda apparve in tutta la sua importanza. Essendo di formazione economica, ne valutò la portata e l’impatto sul territorio, dal punto di vista occupazionale e lo sviluppo propulsivo della valorizzazione del vino. Erano gli anni bui (1978-1979) delle Brigate Rosse, l’immagine dell’Italia all’estero era ai minimi; nessun operatore avveduto avrebbe deciso di investire da noi. Io invece avevo portato 200 milioni di dollari a Montalcino, zona depressa, allora agli ultimi posti nella economia della Provincia di Siena.
“Lei ha compiuto una opera altamente meritoria e merita un riconoscimento: la farò nominare Cavaliere al merito del Lavoro." E così fece! Grande ovviamente la gioia mia e quella dei miei collaboratori: da ragazzo, zappavo la vigna insieme a mio padre ed ora ero nell’Olimpo dei più importanti manager italiani!
La ricaduta economica dell’investimento Banfi a Montalcino è stata veramente di vasta portata ed ha il grande merito di aver portato il Brunello di Montalcino nel mondo.
Tutti gli altri produttori hanno capito presto quale era la via da seguire, ma senza la locomotiva Banfi non avrebbero fatto il percorso così velocemente. La Banfi ha fatto da modello in tema di organizzazione, ospitalità, ricevimento de visitatori, soluzioni tecnologiche e commercializzazione.
Montalcino è passato da area depressa a Comune più ricco della Provincia. Molti vini in Italia vorrebbero imitare il successo del Brunello di Montalcino!”
D: “Il risultato economico della grande impresa di Montalcino ti ha consacrato come enologo e manager di successo. Ma, in campo tecnico- enologico, tu avevi già in precedenza conseguito non pochi meriti, per cui sei considerato "pioniere dell'enologia italiana". Tra questi l'imbottigliamento a caldo, ovvero una tecnologia di imbottigliamento che avrebbe garantito stabilità al vino e consente a tutt’oggi ai nostri prodotti di attraversare l’Oceano senza particolari problemi biologici. Raccontaci qualcosa di questo periodo.”
R: “L'importanza della realizzazione di Banfi Montalcino mi attaccò l’appellativo di “Enologo-Manager”. In realtà, già negli anni '60 avevo consulenze in tutta Italia (anche se gli Enologi allora erano pagati molto meno!) Mi avevano portato al successo nel 1958/1959 i miei studi sul metodo di stabilizzazione biologica dei vini con l’imbottigliamento a caldo. Molto pratico e poco costoso, questo metodo di inattivazione termica, consentiva di spedire i vini in tutto il mondo senza tema di alterazioni.
Fu presto adottata dalle principali aziende produttrici ed esportatrici di vini bianchi e rossi non invecchiati, che richiedevano la consulenza per lavorare al meglio, tanto che dovetti impiantare una compagine di tecnici, per soddisfare tutte le richieste. Proprio per questo divenni l’idolo della Banfi che importava i vini dei Castelli Romani della Gotto d’Oro ed aveva sempre problemi, totalmente risolti con il mio arrivo. Un'altra applicazione di successo fu l’adozione del tappo a vite, già in uso per Vermouth e liquori, ma mai usato per il vino. Con il mio procedimento invece funzionava alla perfezione, consentendo di riempire i recipienti ‘raso bocca’ evitando di includere ossigeno nelle bottiglie. Di conseguenza, consigliai ai produttori di vino da pasto di sostituire l'impresentabile bottiglia da 950 cc tappo corona con la più elegante litro Vermouth tappo vite e fu un successo. Ne ho fatte tante !!”
D: “Una tua creazione che ebbe un successo enorme è il vino simil Lambrusco elaborato con la collaborazione dei tecnici delle Cantine Riunite di Reggio Emilia per il mercato Usa. Parlacene un po'...”
R: “Quella del successo del "simil Lambrusco" negli Usa è veramente una storia incredibile, non eguagliata se non dall’acqua minerale Perrier, negli anni successivi. Nel 1967 il mio amico John Mariani, (sempre lui) venne in visita alla Fiera dei Vini che allora si teneva alla Campionaria di Milano. “Ezio, mi chiedono questo vino Lambrusco, ne servono 150-200 casse" Dissi: “Guarda che non piacerà agli americani: troppo acido, magro, sgarbato, poco colorito!” Durante la manifestazione avevo conosciuto il distributore di Milano delle Riunite, che aveva lo stand di fronte a noi e quindi passai l’ordine a lui. Non sapevo che si trattava di una cooperativa finita in liquidazione!
Dopo circa un mese mi chiama John e mi dice: "Avevi ragione, quel Lambrusco non va bene, devi farglielo cambiare secondo il gusto americano". Erano i tempi in cui, se si trattava di vendere, non si guardava tanto per il sottile sulle caratteristiche del prodotto. Ma cambiare le regole di una Doc richiedeva ben altro! Il mio amico aveva capito che la maggior parte degli americani non sono conoscitori di vini, non bevono vino durante i pasti, lo usano come bevanda nei momenti di relax, giocando a carte, a tennis, guardando la TV, ecc.
"Ezio, mi devi fare un vino che sia una bevanda, rispettando le regole e soprattutto che sia naturale, perché il nostro motto per la propaganda è Pure and natural". Seguendo la legge, impostai un vino da catalogare Frizzante (max 2,5 atm) alcol 7,5%, zucchero residuo 50 grami/litro, debole acidità, morbido, molto colorito, da ottenersi per rifermentazione naturale in autoclave, stabilizzazione delle bottiglie con il calore. Con i tecnici di Riunite preparammo alcuni campioni e dopo l’OK iniziarono le spedizioni. Fu un successo immediato.
Nel 1970 spedimmo un milione di casse (da 12 bottiglie). L’adozione del tappo a vite che permetteva di richiudere la bottiglia per rimetterla in frigo contribuì notevolmente al successo. Le campagne di advertising ‘Riunite on ice, that’s nice’ fecero il resto. Nel 1980 eravamo arrivati a 10 milioni di casse e nel 1985, quando la vendita crollò a causa degli scandali dietilenglicole e metanolo subito dopo, avevamo raggiunto 12,5 milioni di casse. Cifre da capogiro!”
D: “Quale consigli ti sentiresti di dare ai giovani colleghi per potersi sentire partecipi alla crescita del nostro importante settore?”
R: “Dare consigli è molto facile. L'importante è eseguirli, cogliendo tutte le opportunità. Primo: imparare le lingue. Almeno una (inglese) conosciuta bene. Secondo: viaggiare molto. Visitare tutti i luoghi di produzione e rendersi conto delle potenzialità dei competitor. Guardando con i propri occhi si capisce molto meglio che in lunghe spiegazioni. Terzo: visitare i mercati e i clienti. L’amicizia è il miglior presupposto per vendere. Quarto: mai tirarsi indietro di fronte alle sfide e alle responsabilità. La capacità si dimostra sul campo. Poi ci vuole anche fortuna, ma le occasioni passano sempre; bisogna saperle cogliere. Buona fortuna a tutti!”
Ti è piaciuto questo articolo? Votalo!
Se l'articolo ti è piaciuto, metti le 5 stelline!
Altri articoli simili a "Intervista a Ezio Rivella, pioniere dell'enologia italiana"
Riccardo Cotarella spiega cosa è il terroir
29 Luglio 2024Donna e vino: un binomio di successo
13 Novembre 2019L'enologo e la sindrome dell'esploratore
02 Ottobre 2019