Vernaccia di San Gimignano. 1276-2016: il suo lungo viaggio
La lunga storia della Vernaccia si può schematicamente dividere in quattro fasi distinte. Il periodo del debutto sulla scena italiana ed europea e l’immediato successo tra fine del ‘200 e l’inizio del ‘300. La grande diffusione del commercio in tutta l’Europa e della coltivazione, soprattutto in Italia, dalla fine del ‘200 fino a tutto il ‘500. Il progressivo declino della produzione con la perdita del nome specifico e l’utilizzo delle uve per altri vini nei secoli XVII, XVIII e XIX, accompagnato da una progressiva caduta del prestigio (con l’eccezione della Vernaccia di San Gimignano in pieno ‘600). La riscoperta, dalla metà del secolo scorso ad oggi, che riguarda, in massima misura, ancora la Vernaccia di San Gimignano.
Il termine “vernaccia” riferito a un vino appare per la prima volta nelle gabelle di San Gimignano del 1276: una ”salma vini de vernaccia ad mulum, soldi 3” che ne segnalano, presumibilmente, solo il transito. Solo pochi anni dopo, nel 1285, Salimbene de Adam descrive con una certa precisione una Vernaccia prodotta nelle Cinque Terre. Con ogni probabilità, infatti, il nome deriva da Vernazza, luogo d’imbarco della produzione ligure, così come il nome Malvasia deriva da Monenvasia, emporio veneziano in Laconia. Alla fine del Duecento appare in Europa sulle mense dei re, dei papi, dei ricchi mercanti. È un vino bianco, il colore della regalità: ”coppe, nappi, bacini d’oro e d’argento / Vin greco di riviera e di vernaccia” scrive il poeta sangimignanese Folgòre all’inizio del Trecento. Nel lotto dei vini più ricercati elencati in un manoscritto anonimo di fine ‘200 ci sono pochi vini: Vernaccia e Greco, Alzurro (di Auxerre?), Riviera (della Marna?), Schiavi ”di grande valenza”. È già noto il Trebbiano. All’inizio del Trecento appaiono la Ribolla, il Moscato e la Malvasia che con la Vernaccia e, progressivamente, più della Vernaccia diventa il vino “navigato” più ricercato e prezioso. La predilezione diffusa per i vini bianchi, dolci e alcolici, anche se questi giudizi vanno “rapportati” con le caratteristiche generali dei vini di allora, già emersa nelle nel ‘200, diventa nel Trecento un successo straordinario sulle tavole delle classi dominanti. La storia della letteratura ci segnala un crescendo di estimatori della chiara Vernaccia: da Cecco Angiolieri e Meo de’ Tolomei in ambiente senese a Dante (il solo vino citato nella Divina Commedia con un nome specifico), a Boccaccio (ben otto citazioni nel Decamerone) a Franco Sacchetti in ambiente fiorentino.
Ma il successo è europeo: dai francesi Eustache Deschamps e Jean Froissart agli inglesi John Gower e Geoffrey Chaucer. Quest’ultimo prescrive la Vernaccia al vecchio Januarie per affrontare la notte con la giovane sposa: ”He drinkkith ypocras, clarre, and vernage / of spices hote, to encrese his corrage”. Molti poeti francesi del periodo lo cantano come il vino più prezioso: ”in verità, di tutti i vini è il non plus ultra” scrivono Jeofrois de Wateford e Servais Copale. La sua produzione si diffonde subito dalla Liguria alla Toscana. Lo stesso termine Vernazza/Vernaccia è la toscanizzazione di Vernassa. Nelle terre di San Gimignano, già produttrici di rinomato zafferano, diventa subito un prodotto “di punta” assieme al vino Greco. Già nel 1321 si trovano atti che descrivono le vigne: ”Narduccio del fu Saladuccio acquista alcuni pezzi di terra nella vigna di Casale (…) riservandosi l’orto e il pastino vernaccie”. Nel 1330 un testamento descrive il poggio ”dicta vinea vernaccie”. Già in questo periodo sono regolarmente consumate “vernacce nostrali” nella mensa dei Priori di Firenze (la più importante e ricca città italiana).
La grande diffusione della Vernaccia
Nei due secoli successivi la Vernaccia si diffonde in quasi tutte le zone enologiche italiane con nomi anche diversi. I risultati delle indagini linguistiche identificano come sinonimi, almeno per i secoli XIII e XIV, i termini: Vernaccia, Guarnaccia, Guarnacca, Guarnache, Vernache, Grenache, Garnache, Vernaccino, Guarnazinum. E non si tratta, sovente, solo di nomi diversi per lo stesso vitigno-uva–vino, ma proprio di vitigni-uve-vini diversi che soltanto si assomigliano o che vogliono assomigliare al vino di successo. Tanto che appare anche una versione nera, forse già alla fine del Trecento, di sicuro nel Cinquecento in Calabria, nel Cilento, in Lombardia. Se nel Trecento è la Vernaccia di Corniglia la più ricercata, sono poi la Vernaccia di Cellatica (Lombardia) o Santo Noceto (Calabria), ma soprattutto la Vernaccia di San Gimignano a caratterizzarsi e a identificarsi strettamente con il territorio di produzione. Nel Catasto fiorentino del 1427 il prezzo della Vernaccia sangimignanese arriva a 3,90 fiorini. Nel 1465 il nostro vino brilla nei calici delle nozze di Bernardo Rucellai con Nannina Medici, sorella di Lorenzo il Magnifico. Nel 1487 Ludovico il Moro, signore di Milano, pretende dal Comune di San Gimignano 200 fiaschi di Vernaccia per le nozze di un Visconti con Isabella, figlia del re di Napoli. Le richieste dei “potenti” non dovevano essere sporadiche, né tenute in poca considerazione se il Comune di San Gimignano si preoccupa, nel 1477, di nominare due ufficiali assaggiatori perché ”ne provvedessero del migliore e ben condizionato”. Pratica, questa, che continuerà fino all’inizio del XVIII secolo. Nel Cinquecento si registra un ulteriore aumento della produzione. Tutte le principali famiglie sangimignanesi, e le molte fiorentine proprietarie di terre e fattorie nel contado, impiantano nuove vigne di Vernaccia. Ne è testimone, negli anni immediatamente successivi al 1553 Sante Lancerio, bottigliere di papa Paolo III Farnese, il quale racconta che ”nella partita che fece di Roma Sua Santità che fu nell’anno 1536 la sera alloggiò a Poggibonzi, dove qui erano ottimi vini di S. Geminiano (…) anche di buonissime vernacciuole, e di questa bevanda gustava molto S.S. e faceva onore al luogo”. Per capire meglio le caratteristiche del nostro vino in questo periodo, tema tanto appassionante quanto di difficile soluzione, sono interessanti alcune lettere inviate da San Gimignano tra il 1399 e il 1406 al mercante pratese Francesco Datini che descrivono accuratamente le vinificazione. Se si tratta, come sembra, di una vinificazione in bianco, ne dovrebbe conseguire un livello superiore di trasparenza, dolcezza, alcolicità rispetto al vino comune, com’è noto, vinificato con bucce e raspi per ottenere la massima concentrazione e contenuto tannico possibile, (con gli inevitabili effetti collaterali) in modo da poter essere allungato con l’acqua. Bevanda, quest’ultima, in genere poco igienica e che doveva essere “vinata” per diminuire la sua pericolosità. La Vernaccia “cortese e cortigiana” degli ultimi secoli del Medioevo diventa protagonista alla corte dei Medici, granduchi di Toscana, in epoca moderna. Giorgio Vasari dipinge, nel salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze, nell’ “Allegoria di San Gimignano e Colle Val d’Elsa” ”un satiro giovane che beve la Vernaccia di quel luogo”. Il Seicento è un secolo “dorato” per la Vernaccia di San Gimignano. Nel 1610 non sfugge al commento di Francis Scott, autore della prima “guida” d’Italia per i viaggiatori del grand tour: ”cittadina particolare, perché produce vina vernatica finissimi e si decora bene di Templi splendidi”. Gabriello Chiabrera, poeta famosissimo nelle corti italiane ed europee, sottolinea l’eccellenza del ”dolcissimo licore” in diverse opere: ”di vin qual ambra puro /voglio io ch’ella trabocchi, / che dolce, che maturo, / tosto che il’ versi ti s’avventa agli occhi i grappoli suoi furo / della vendemmia egregia / onde in Toscana Gimignan si pregia”. Nel 1643, Michelangelo Buonarroti il giovane scrive i versi: ”ma i terrazzani altrui sempre fan guerra / con una traditora lor vernaccia, / che dànno a bere a chiunque vi giugne / e bacia, lecca, morde e picca e pugne”.
Il declino della produzione della Vernaccia
Il grande cambiamento del gusto nel Settecento determina il declino della produzione. L’arrivo in Europa delle nuove bevande esotiche: tè, caffè, cioccolata, il diffondersi dei liquori, prima sconosciuti o usati per lo più come medicina, crea una nuova moda che relega la Vernaccia (come la Malvasia e i vini “grecizzanti”) ai margini dei desideri della società e dei mercati. Tuttavia, anche se in quantità ridotte, la Vernaccia di San Gimignano continua a essere prodotta. Nel 1787 Giovanni Targioni Tozzetti scrive che la Vernaccia ha ”tanto poco colore che pare acqua, e al palato riesce gentile, ma non risveglia una sensazione di gran sapore, sicché gustato pare vino leggerissimo ma nello stomaco mette gran fuoco” e nel 1787 l’Ospedale di Santa Fina ancora vanta tra le sue proprietà una “vigna delle vernaccie”. Nell’Ottocento la produzione è quasi scomparsa. Ormai il vitigno si trova soltanto sparso tra i filari mescolato agli altri per «fare vino comune» come rileva il canonico Ignazio Malenotti, accademico dei Georgofili, autore di un best seller dell’epoca, il “Manuale del vignaiolo toscano” (1831). All’inizio del Novecento, mentre l’ondata “di piena” delle patologie sta cambiando radicalmente i connotati del vigneto italiano, Ugo Nomi Venerosi-Pesciolini, proposto di San Gimignano e fondatore dei Musei Civici e della Biblioteca, rileva che di Vernaccia ”qualche raro possidente ne serba alcun poco, o per curiosità o per gratificarne gli amici, ma è cosa piccolissima e non si commercia; tiensi quasi come il rosolio”.
La riscoperta a San Gimignano
La riscoperta inizia negli anni Trenta del Novecento. Carlo Fregola, Reggente della Cattedra Ambulante di Agricoltura di Colle di Val d’Elsa, è convinto della possibilità di reimpianto dell’antico vitigno e, nel 1931, lo cerca e lo ritrova sparso nei filari in quasi tutte le zone del Comune di San Gimignano. ”Gli agricoltori di S. Gimignano debbono comprendere l’importanza del tentativo di riconquistare alla Vernaccia l’antica considerazione. Lo scopo si dovrebbe raggiungere perché il prodotto è veramente pregevole”. La seconda guerra mondiale spegnerà subito ogni velleità di rinnovamento. Il processo è tuttavia ormai innescato e nei primi anni Sessanta ricomincia con vigore. Gli anni ’60 del secolo scorso segnano la rinascita del vino. Recuperato il vecchio vitigno dalla confusione dei filari della coltivazione a promiscuo, la Vernaccia viene reimpiantata nelle vigne secondo i criteri della viticoltura specializzata. Nel 1966 è il primo vino italiano ad ottenere la Denominazione di Origine Controllata. Nel 1972 la creazione del Consorzio della Vernaccia, poi Consorzio della Denominazione San Gimignano, dà nuovo slancio alla produzione che cresce progressivamente in quantità e qualità ottenendo nel 1993 la Docg, il massimo riconoscimento della legislazione italiana vigente. Gli ultimi venti anni sono contraddistinti da un’ulteriore e generalizzata crescita della qualità del vino, attraverso una attenta coltura della vigna, progetti di selezione clonale, ricerca delle caratteristiche peculiari della Vernaccia di San Gimignano, così come dalla ricerca della salubrità del prodotto, grazie alla consapevolezza “antica” dei produttori di interpretare una “nuova tradizione”.
Articolo tratto da l'Enologo – n°5 2016 – Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani
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