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Capalbio DOC

Regioni interessate

Toscana

Disciplinare di produzione dei vini a DOC “Capalbio”

Approvato con DM 21.05.1999 Rettifica Modificato con DM 24.11.2011 G.U. 127 – 2.06.1999 G.U. 222 – 21.09.1999 G.U. 287 – 10.12.2011 Modificato con DM 30.11.2011 G.U. 295 – 20.12.2011 Pubblicato sul sito ufficiale del Mipaaf Sezione Qualità e Sicurezza - Vini DOP e IGP Modificato con D.M. 12.07.2013 Pubblicato sul sito ufficiale del Mipaaf (concernente correzione dei disciplinari) Sezione Qualità e Sicurezza - Vini DOP e IGP

Articolo 1 - Denominazione

La Denominazione di origine controllata «Capalbio» è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie: rosso (anche con menzione riserva); bianco; rosato; Vermentino; Sangiovese; Cabernet Sauvignon; Vin Santo.

Articolo 2 - Base ampelografica

I vini di cui all’art. 1 devono essere ottenuti dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica: «Capalbio» rosso, rosato e rosso riserva: Sangiovese minimo 50%. Possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 50%, le uve a bacca rossa provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana, con l’esclusione dell’Aleatico. «Capalbio» bianco e Vin Santo: Trebbiano toscano minimo 50%. Possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 50%, le uve a bacca bianca provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana, con l’esclusione del Moscato bianco. «Capalbio» Vermentino: il vino deve essere ottenuto da uve prodotte dai vigneti composti dal vitigno Vermentino per almeno l’85%. Possono concorrere alla produzione di detto vino, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca bianca provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana, con l’esclusione del Moscato bianco. «Capalbio» Sangiovese: il vino deve essere ottenuto da uve prodotte dai vigneti composti dal vitigno Sangiovese per almeno l’85%. Possono concorrere alla produzione di detto vino, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca rossa provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana, con l’esclusione dell’Aleatico. «Capalbio» Cabernet Sauvignon: il vino deve essere ottenuto da uve prodotte dai vigneti composti dal vitigno Cabernet Sauvignon per almeno l’85%. Possono concorrere alla produzione di detto vino, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca rossa provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana, con l’esclusione dell’Aleatico. . I vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana, citati al precedente comma 1, sono quelli iscritti nel Registro Nazionale delle varietà di vite per uve da vino approvato con D.M. 7 maggio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 242 del 14 ottobre 2004, e successivi aggiornamenti, il cui elenco completo è riportato nell’allegato 1 al presente disciplinare.

Articolo 3 - Zona di produzione delle uve

La zona di produzione delle uve atte alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Capalbio», ricade nella zona collinare e pedecollinare dell’area sud della provincia di Grosseto e comprende parte dei territori amministrativi dei comuni di Capalbio, Manciano, Magliano e Orbetello. La linea di delimitazione inizia a sud dal punto d’incontro del confine comunale del comune di Capalbio con la ferrovia Grosseto-Roma e risale (in senso antiorario) a est e quindi a nord lungo detto confine comunale, entra poi nel comune di Manciano seguendo la strada di bonifica n. 28 fino a immettersi, in località Sgrillozzo, sulla strada statale n. 74, che percorre fino alla curva di casa Poggio Lepraio; prosegue poi con la strada di bonifica n. 19, che passa per Casalnuovo e casa Pinzuto e quindi con la strada di bonifica n. 17, passante per casa del Lasco fino al fiume Albegna. Da qui il confine segue il corso del fiume Albegna fino al guado della Marianaccia, deviando a Ovest, entra nel comune di Magliano in Toscana, percorre la strada di Colle Lupo fino al Molino Vecchio, risale a nord-est per la strada di S. Andrea al Civilesco, discende verso sud lungo la strada Magliano in Toscana-Barca del Grazi, devia a Ovest per la strada dell’Osa e prosegue lungo il limite comunale di Magliano in Toscana fino a incontrare la ferrovia Grosseto-Roma in prossimità della Fattoria del Collecchio, segue detta ferrovia verso Sud fino a incontrare la s.p. 81 in prossimità del fiume Osa e la percorre sino a oltrepassare il podere n. 39 e devia a sud-est lungo la strada che porta a S. Donato centro. Aggira parte del centro in senso antiorario e prosegue in direzione sud-ovest lungo la strada che costeggia i poderi n. 23, n. 24 e n. 20 e si immette sulla s.p. 56 in prossimità del podere n. 26 passando per S. Donato e la percorre sino al ponte sul fiume Albegna in prossimità della Barca del Grazi; segue quindi il corso del fiume risalendolo fino al centro agricolo dell’Alberone, scende verso sud lungo la strada interpoderale che conduce alla s.s. 74 maremmana, si immette su di essa dirigendosi verso la costa tirrenica fino a incrociare la linea ferroviaria Grosseto-Roma che percorre sino al punto di partenza.

Articolo 4 - Norme per la viticoltura

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Capalbio» devono essere quelle tradizionali della zona e comunque tali da conferire alle uve e ai vini derivati le specifiche caratteristiche di qualità. . Per i nuovi impianti e i reimpianti la densità media dei ceppi non può essere inferiore a 3.300 piante per ettaro. . Le uve provenienti da vigneti iscritti allo schedario viticolo per la denominazione di origine controllata «Capalbio» possono essere destinate alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Capalbio» Vin Santo, qualora i produttori interessati optino per tale rivendicazioni in sede di denuncia annuale delle uve. I sesti di impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelle tradizionali della zona e, comunque, atte a non modificare le caratteristiche delle uve e del vino. I sesti di impianto sono adeguati alle forme di allevamento. La regione può consentire altre forme di allevamento qualora siano tali da migliorare la gestione dei vigneti senza determinare effetti negativi sulle caratteristiche delle uve. È vietata ogni pratica di forzatura. È consentita l’irrigazione di soccorso . La produzione massima di uva ad ettaro e il titolo alcolometrico volumico minimo naturale sono le seguenti: Tipologia «Capalbio» Doc Produzione uva (tonnellate/ettaro) Titolo alcolometrico volumico naturale minimo (% vol) Rosso 11,00 10,50 Rosso riserva 11,00 11,50 Sangiovese 11,00 11,50 Cabernet Sauvignon 11,00 11,50 Rosato 11,00 10,00 Bianco 11,50 10,00 Vin Santo (prima dell’appassimento) 11,50 10,00 Vermentino 11,50 10,50 . A detti limiti, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovrà essere riportata attraverso una accurata cernita delle uve, purchè la produzione non superi del 20% i limiti medesimi, fermi restando i limiti resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi. . Fermi restando i limiti di cui sopra, la resa per ettaro di vigneto a coltura promiscua deve essere calcolata, rispetto a quella specializzata, in rapporto alla effettiva superficie coperta dalla vite. La Regione Toscana, con proprio decreto, su proposta del Consorzio di Tutela, sentite le organizzazioni di categoria interessate, di anno in anno, prima della vendemmia, tenuto conto delle condizioni ambientali e di coltivazione, può stabilire un limite massimo di produzione rivendicabile di uva per ettaro inferiore a quello fissato dal presente disciplinare di produzione, dandone immediata comunicazione al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e all’organismo di controllo.

Articolo 5 - Norme per la vinificazione

Le operazioni di vinificazione, di appassimento delle uve e di invecchiamento obbligatorio dei vini a denominazione di origine controllata «Capalbio» devono essere effettuate nell’ambito della zona di produzione di cui all’art. 3. L’imbottigliamento deve essere effettuato nell’ambito del territorio amministrativo della provincia di Grosseto. Conformemente all’articolo 8 del regolamento CE n. 607/2009, l’imbottigliamento o il condizionamento deve aver luogo nella predetta zona geografica delimitata per salvaguardare la qualità, la reputazione e garantire l’origine del prodotto. L’imbottigliamento fa parte integrante del procedimento di produzione del vino, costituendo una fase specifica dell’elaborazione del prodotto. Il controllo delle operazioni di imbottigliamento ha, pertanto, lo scopo di salvaguardare meglio la qualità del prodotto e, di conseguenza, la reputazione della denominazione, di cui gli operatori assumono ormai, pienamente e collettivamente, in modo diretto o indiretto, la responsabilità. Il trasporto e l’imbottigliamento al di fuori della regione di produzione può mettere in pericolo la qualità del vino; l’imbottigliamento entro una zona limitata e circoscritta che, sebbene non corrisponda perfettamente alla zona di produzione, comprende l’intero territorio provinciale e, perciò, un’area di dimensioni sostanzialmente contenute, ha proprio lo scopo di salvaguardare le caratteristiche particolari e la qualità del prodotto, in quanto affida l’applicazione e il controllo del rispetto di tutte le regole riguardanti il trasporto e l’imbottigliamento medesimo all’organismo associativo dei produttori, il Consorzio di tutela, e all’ente terzo di certificazione che opera in zona, vale a dire a coloro che posseggono le cognizioni e il know-how necessari e che hanno un interesse fondamentale al mantenimento della reputazione acquisita. L’imbottigliamento del vino costituisce un’operazione importante la quale, se non viene effettuata nel rispetto di condizioni rigorose, può nuocere gravemente alla qualità del prodotto; essa, infatti, non si riduce al mero riempimento di recipienti vuoti, ma comporta di norma, prima del travaso, una serie di complessi interventi enologici (filtraggio, chiarificazione, trattamento a freddo, ecc.) che, se non sono eseguiti in conformità delle regole dell’arte, possono compromettere la qualità e modificare le caratteristiche del vino. È altrettanto evidente che il trasporto alla rinfusa del vino, se non viene effettuato in condizioni ottimali, può nuocere gravemente alla qualità di quest’ultimo; se le condizioni di trasporto non sono perfette, infatti, il vino può essere esposto a fenomeni di ossidoriduzione che sarà tanto più sensibile quanto maggiore è la distanza percorsa e che potrà nuocere alla qualità del prodotto anche per il rischio di sbalzi di temperatura. Per questo motivo le condizioni ottimali saranno più sicuramente garantite se le operazioni di imbottigliamento vengono effettuate da imprese stabilite nella zona dei beneficiari della denominazione Capalbio o, più in generale, da imprese operanti nell’ambito provinciale, sotto il diretto controllo di questi, giacché tali imprese dispongono di un’esperienza specifica e, soprattutto, di una conoscenza approfondita delle caratteristiche specifiche del vino in questione, delle quali occorre evitare lo snaturamento o la scomparsa al momento della messa in bottiglia. . Nella vinificazione ed elaborazione dei vini a denominazione di origine controllata «Capalbio» devono essere seguiti i criteri tecnici più razionali ed effettuate le pratiche enologiche locali, leali e costanti atte a conferire ai vini medesimi le loro peculiari caratteristiche. È consentito l’arricchimento dei mosti e dei vini di cui all’art. 1, fatta eccezione per la tipologia «Vin Santo», nei limiti e condizioni stabilite dalle norme comunitarie e nazionali, con mosto concentrato, mosto concentrato rettificato o a mezzo di altre tecnologie consentite. La tipologia «Capalbio» rosato deve essere ottenuta con la vinificazione «in rosato» delle uve a bacca rossa. La resa massima dell’uva in vino, all’atto dell’immissione al consumo, compresa l’eventuale aggiunta correttiva e la produzione massima di vino per ettaro sono le seguenti:

Tipologia «Capalbio» Doc Resa uva/vino
Produzione massima vino (ettolitri/ettaro) Rosso, Rosso riserva e Rosato 70 77,00 Sangiovese e Cabernet Sauvignon 70 77,00 Bianco 70 80,50 Vermentino 70 80,50 Vin Santo 35 (al terzo anno di invecchiamento) 40,25. Qualora la resa uva/vino superi il limite sopra indicato, ma non il 75% (40% per la tipologia «Vin Santo»), anche se la produzione a ettaro resta al di sotto del limite massimo consentito, l’eccedenza non ha diritto alla denominazione di origine controllata. Oltre il 75% (40% per la tipologia «Vin Santo»), decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutto il prodotto. . Il vino a denominazione di origine controllata «Capalbio» rosso, sottoposto a invecchiamento per un periodo non inferiore a 24 mesi, di cui almeno 6 in botti di legno, ha diritto alla menzione «riserva». . Per i seguenti vini l’immissione al consumo è consentita soltanto a partire dalla data per ciascuno di essi di seguito indicata:
Tipologia «Capalbio» Doc Data di immissione al consumo Bianco, Rosato e Vermentino 31 dicembre (anno di produzione delle uve) Rosso 1° febbraio (anno successivo alla vendemmia) Sangiovese e Cabernet Sauvignon 1° marzo (anno successivo alla vendemmia) Rosso Riserva 1° giugno (terzo anno successivo alla vendemmia) 0. Per la produzione della tipologia «Capalbio» Vin Santo il tradizionale metodo di vinificazione prevede quanto segue: l’uva, dopo aver subito un'accurata cernita, deve essere sottoposta ad appassimento naturale; l’appassimento delle uve deve avvenire in locali idonei; è ammessa una parziale disidratazione con aria ventilata e l’uva deve raggiungere, prima dell’ammostatura, un contenuto zuccherino non inferiore al 26,6%; la conservazione e l’invecchiamento deve avvenire in recipienti di legno di capacità non superiore a 300 litri per un periodo minimo di ventiquattro mesi a decorrere dal 1° gennaio successivo all’anno di raccolta; l’immissione al consumo non può avvenire prima del 1° novembre del terzo anno successivo a quello di produzione delle uve; al termine del periodo di invecchiamento il prodotto deve avere un titolo alcolometrico volumico totale minimo del 16,00% vol.

Articolo 6 - Caratteristiche al consumo

I vini a denominazione di origine controllata «Capalbio» all’atto dell’immissione al consumo devono rispondere alle seguenti caratteristiche: «Capalbio» rosso: colore: rosso rubino più o meno intenso; odore: vinoso caratteristico; sapore: armonico, asciutto, giustamente tannico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol; acidità totale minima: 5,00 g/l; estratto non riduttore minimo: 20,00 g/l. «Capalbio» Sangiovese: colore: rosso rubino più o meno intenso; odore: ampio, vinoso; sapore: pieno, secco, giustamente tannico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol; acidità totale minima: 5,00 g/l; estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l. «Capalbio» rosato: colore: rosa più o meno intenso; odore: vinoso, fruttato, fresco; sapore: asciutto, fruttato, caratteristico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol; acidità totale minima: 5,00 g/l; estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l. «Capalbio» Cabernet Sauvignon: colore: rosso talvolta con riflessi violacei; odore: vinoso con note speziate tipiche; sapore: corposo, asciutto, sapido, giustamente tannico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol; acidità totale minima: 5,00 g/l; estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l. «Capalbio» rosso riserva: colore: rosso rubino più o meno intenso tendente al granato con l’invecchiamento; odore: ampio, vinoso; sapore: armonico, asciutto, sapido, giustamente tannico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol; acidità totale minima: 5,00 g/l; estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l. «Capalbio» bianco: colore: giallo paglierino scarico; odore: delicato, fresco, fruttato; sapore: asciutto; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol; acidità totale minima: 5,00 g/l; estratto non riduttore minimo: 15,00 g/l. «Capalbio» Vermentino: colore: giallo paglierino più o meno intenso, talvolta con riflessi verdognoli; odore: delicato, caratteristico e fruttato; sapore: asciutto, sapido; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol; acidità totale minima: 5,00 g/l; estratto non riduttore minimo: 15,00 g/l. «Capalbio» Vin Santo: colore: dal giallo dorato fino all’ambrato intenso; odore: etereo, intenso e caratteristico; sapore: armonico, vellutato, con più pronunciata rotondità per il tipo amabile; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 16,00% vol. di cui almeno il 12,00% svolto; acidità totale minima: 5,00 g/l; estratto non riduttore minimo: 21,00 g/l; acidità volatile massima: 30 meq/l. 2. È facoltà del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali - Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche modificare, con proprio decreto, i limiti minimi sopra menzionati per l’acidità totale e per l’estratto non riduttore minimo. In relazione all’eventuale conservazione in recipienti di legno il sapore dei vini può rivelare lieve sentore di legno.

Articolo 7 - Etichettatura, designazione e presentazione

Nella etichettatura, designazione e presentazione dei vini di cui all’art. 1 è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi «extra», «fine», «scelto», «selezionato» e «similari». . È tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali e marchi privati non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno il consumatore. . Nella designazione dei vini a denominazione di origine controllata «Capalbio» di cui all’art. 1 può essere utilizzata la menzione «vigna» a condizione che sia seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale, che la vinificazione e la conservazione del vino avvengano in recipienti separati e che tale menzione, seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale, venga riportata sia nella denuncia delle uve, sia nei registri e nei documenti di accompagnamento e che figuri nell’apposito elenco regionale ai sensi dell’art. 6 comma 8, del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 2). . È obbligatoria l’indicazione dell’annata in etichetta per tutte le tipologie di vino.

Articolo 8 - Confezionamento

Per il confezionamento dei vini a denominazione di origine controllata «Capalbio» sono ammessi tutti i recipienti di volume nominale autorizzati dalla normativa vigente, ivi compresi i contenitori alternativi al vetro costituiti da un otre in materiale plastico pluristrato di polietilene e poliestere racchiuso in un involucro di cartone o di altro materiale rigido. . Per la tappatura dei vini, allorquando siano confezionati in bottiglie di vetro, può essere utilizzata qualsiasi tipo di chiusura, escluso il tappo a corona per bottiglie di capacità nominale superiore a 375 ml. . Tuttavia, per le tipologie «Capalbio» Vin Santo e «Capalbio» rosso riserva, e per quelle recanti la menzione «vigna» sono consentite soltanto bottiglie di vetro di volume nominale fino a 3 litri e con chiusura a tappo di sughero raso bocca.

Articolo 9 - Legame con l’ambiente geografico

A) Informazioni sulla zona geografica

A.1. Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona geografica delimitata ricade nella parte meridionale della regione Toscana e, in particolare, nella zona collinare e pedecollinare dell’area sud della provincia di Grosseto, comprendendo parte dei territori amministrativi dei comuni di Capalbio, Manciano, Magliano e Orbetello. Il territorio è costituito da rilievi di bassa e media collina a pendenza media e alta, i cui terreni, relativamente all’origine geologica, sono caratterizzati da formazioni prevalentemente calcaree, anidritiche e gessose, la cui quota media è di 128 metri s.l.m. con una pendenza dell’11%. A sud di Capalbio si rinvengono terrazzi e ripiani di bassa quota a debole pendenza, su depositi alluvionali a granulometria mista e sedimenti marini sabbiosi, la cui quota media è di 97 metri s.l.m., con una pendenza del 2%.
Il clima dell’area è di tipo mediterraneo, con temperature miti e precipitazioni disordinate, talvolta anche di elevata intensità, concentrate soprattutto nei mesi autunnali-invernali (massimo della piovosità localizzato tra la fine di ottobre e i primi giorni di dicembre, col mese di novembre caratterizzato dai valori più elevati), mentre nel periodo compreso tra gennaio e aprile la pioggia è distribuita in maniera un po’ più omogenea con valori comparabili, che diminuiscono progressivamente dalla terza decade di aprile, fino a raggiungere un minimo assoluto tra la prima e la terza decade di luglio, tanto che si può parlare di un’aridità di regola prolungata nella primavera e spesso accentuata nei mesi estivi. La temperatura media oscilla intorno a 15,2°C e le precipitazioni intorno a 690 mm/anno; l’indice di Huglin si attesta tra 2.300 e 2.500 unità. Le estati sono per lo più siccitose e le condizioni di aridità sono accentuate dai venti che soffiano con frequenza soprattutto dal terzo al quarto quadrante; in particolare, nella primavera soffiano venti di Scirocco e di Libeccio (nelle aree più prossime al mare piuttosto carichi di salsedine), mentre nell’estate soffia il Maestrale che, sebbene provenga dal mare, è asciutto, regolando di fatto la temperatura.

A.2. Fattori umani rilevanti per il legame.

I fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito a ottenere i vini di «Capalbio», sono di fondamentale rilievo. In quest’area, infatti, esistono testimonianze della coltivazione della vite che risalgono al periodo etrusco, greco e romano – l’antica città etrusca di Cosa, nella parte meridionale della zona di produzione, le l’area di Poggio Buco, più a nord, sono solo alcuni esempi di insediamenti più o meno rilevanti – come testimoniano alcuni reperti; in particolare, presso Marsiliana lungo il corso del fiume Albegna, è stato rinvenuto un numero consistente di vasellame e pithoi (recipienti particolari per la raccolta del vino proveniente dalla pigiatura delle uve e dai torchi), probabilmente poiché il luogo corrispondeva a un vero e proprio centro di raccolta per i vini che provenivano dalle aree più interne (colline di Manciano, Capalbio, Magliano e Scansano), trasportati lungo il corso del fiume. La dominazione romana accentuò la tendenza al miglioramento delle tecniche di vinificazione, che rimasero insuperate fino al medioevo; in questo periodo storico, la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura, che ebbe particolare protezione con apposite norme statutarie. Negli Statuti della Comunità del Cotone le norme stabilite per la protezione delle viti e dell’uva erano molto severe, tanto che stabilivano perfino una multa di 10 soldi per ciascuna bestia grossa entrata a far danno in “vigne o chiuse di olivi da calende di marzo fino a Ognissanti”. La tradizione vitivinicola della Maremma meridionale ha continuato a trasmettersi nei secoli, passando anche attraverso le vicissitudini legate alla famiglia Aldobrandeschi (nel 1269 il Castello di Ansedonia venne inserito tra i domini che questa famiglia aveva ottenuto in enfiteusi dall’Abbazia delle Tre Fontane di Roma) e, più tardi, a inizio 1300, dopo che Papa Bonifacio VII ebbe revocato il possesso della città di Ansedonia e del porto di Feniglia per concederli a suo nipote, attraverso le occupazioni dell’esercito orvietano e del comune di Perugia, fino alle vicende legate allo Stato dei Presidi. Studiosi di ogni tempo riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti. L’enotecnico Luigi Vivarelli, in una memoria pubblicata nel 1906 su “La vite e il vino nel mandamento di Orbetello” riferiva l’esistenza di tronchi di vite di dimensioni eccezionali, il che portava a pensare a un’attività viticola fortemente tradizionale. Il dott. Alfonso Ademollo, in una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini, tenendo conto della vocazione viticola della Maremma, nel 1884 affermava che tutte le varietà “vegetano bene nel nostro suolo ed a noi non mancano le uve da spremere e da mangiare, queste ultime a dovizia fornite dal Monte Argentario e dall’Isola del Giglio”. L’Ademollo, nel fornire interessanti informazioni sulla situazione viticola della provincia, così scriveva: “La vite ha sempre allignato, fino dalle epoche più remote, nella provincia di Grosseto. Le varietà di vite da noi conosciute e coltivate sono molte, poichè si può asserire che tutte le varietà di sì prezioso sarmento, anche le esotiche, vegetano bene nel nostro suolo…… Le vigne pure da qualche tempo si sono estese ed hanno migliorato nel proprio prodotto, ma tuttavia anche per questo lato la provincia di Grosseto sarebbe capace di più, poichè la vite cresce benissimo e porge preziosi e squisiti grappoli in ogni parte della provincia, perchè non abbiamo veramente nè caldi nè freddi eccessivi,….. perchè dovunque trovasi terreni leggeri, permeabili, aridi nelle parti elevate, dovute a sabbie, a rocce decomposte, a detriti vulcanici e sassaie”. Da ciò la categorica affermazione: “La provincia di Grosseto, per cinque sesti ha terreno adatto alla viticoltura”. Parlando dei pregi e dei difetti del vino prodotto nella zona lo stesso Ademollo così si esprimeva: “II vino, questo benefico liquido che ha tanta importanza nella pubblica e privata economia, come nella pubblica e privata salute, viene prodotto dai nostri viticoltori con sempre crescente progresso e accuratezza in ogni parte della provincia di Grosseto, sia nella zona piana, che in quella montuosa, e per la bontà e quantità in alcuni Comuni è di una rendita importante ai proprietari…… Vini forti e generosi poi si incontrano nei comuni più marittimi i quali sono quelli di Orbetello, Monte Argentario e Giglio”. Nel periodo storico successivo, caratterizzato da due eventi bellici e da un ventennio di dittatura politica, la situazione viticola della Maremma meridionale ha seguito le sorti dell’agricoltura in genere, il cui obiettivo principale era quello di conseguire un’economia di consumo e la piena occupazione della mano d’opera. In tale periodo, la viticoltura non era certamente florida, in quanto legata all’immobilismo, alla polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e alle diffuse forme di conduzione mezzadrile, sfavorevoli all’espansione della specializzazione viticola, tanto che nella prima metà del Novecento la superficie vitata non subisce in questa zona profonde modificazioni. Nei decenni successivi, invece, si moltiplicano le iniziative di molti proprietari – aiutate e incentivate anche dall’applicazione della riforma fondiaria e dall’opera dei tecnici agricoli – intese a sviluppare una viticoltura più razionale, anche con la diffusione di nuove cultivar nei territori collinari più facili. Ma l’espansione viticola, se non accompagnata dal perfezionamento della tecnica vinicola e quindi della qualità dei vini prodotti, creava notevoli problemi di organizzazione e diffusione dei vini stessi, anche a causa della disponibilità di modeste partite, dalle caratteristiche poco omogenee anche se pregiate. Un contributo decisivo alla risoluzione di questi problemi è stato dato dalla realizzazione della Cantina Sociale di Capalbio, con lo scopo di raccogliere e trasformare la produzione viticola del comprensorio circostante e che rappresenta una circostanza importante per la nascita dell’industria enologica, alfine di presentare sul mercato vini uniformi, di tipo costante, migliorati nella qualità e standardizzati nella presentazione. Più tardi, anche alcune pubblicazioni scientifiche del settore, occupandosi dei vini ottenuti su questo territorio, apportarono un contributo importante alla loro valorizzazione; “Vini tipici e pregiati d’Italia” di R. Capone, edito nel 1963, illustra, tra l’altro, le caratteristiche dei vini della zona di Capalbio, soffermandosi non solo sui rinomati vini bianchi a base di Ansonica e Vermentino, ma illustrando anche le caratteristiche dei rossi, vini da sempre prodotti in questa zona utilizzando, a partire dagli anni ’80, l’indicazione geografica transitoria autorizzata dal Ministero dell’Agricoltura, ovvero “Capalbio” con le indicazioni aggiuntive Bianco e Rosso. Furono questi i presupposti che portarono alla consapevolezza che il territorio della Maremma meridionale poteva aspirare al riconoscimento della denominazione di origine controllata per i vini prodotti nella zona, che verrà attribuito col decreto ministeriale 21 maggio 1999 per i vini «Capalbio» ottenuti in tipologie bianche, rosse e nel tipo rosato incentrate, per lo più, sulle uve dei vitigni Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Trebbiano toscano e Vermentino.
L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è riferita, in particolare, alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico-produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione: base ampelografica dei vigneti: i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata, e cioè, in primis, i vitigni autoctoni Sangiovese, Trebbiano toscano e Vermentino, e l’internazionale Cabernet Sauvignon, oltre alle varietà che concorrono eventualmente nella percentuale riservata ai vitigni complementari; le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali della zona, e cioè il Cordone speronato orizzontale e la spalliera semplice, tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti; ciò sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali con un aumento della meccanizzazione, sia per gestire la razionale gestione della chioma, consentendo di ottenere un’adeguata superficie fogliare ben esposta e, al contempo, di perseguire un contenimento delle rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare, rapportate a una densità minima di 3300 piante per ettaro, il che consente di ottenere una buona competizione fra le piante (80,5 hl/ha per il Bianco e il Vermentino, che scende a 77 hl/ha per il Rosso “base” e il Rosato, per il Rosso con menzione Riserva e per le tipologie varietali Sangiovese e Cabernet Sauvignon, e a 40,25 hl/ha per il Vin Santo); - le pratiche relative alla elaborazione dei vini, che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in bianco e in rosso dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per le tipologie di base e la tipologie Rosso Riserva, riferita, quest’ultima, a un vino rosso maggiormente strutturato ottenuto da uve con un titolo alcolometrico volumico totale minimo più elevato di un grado rispetto al tipo “base” e caratterizzato da un’elaborazione che comporta determinati periodi di invecchiamento e affinamento in bottiglia e/o in botte obbligatori; di tradizione consolidata è anche la produzione di vini rosati ottenuti con un limitato contatto del mosto con le parti solide, proveniente dalla pigiatura di uve per lo più della varietà Sangiovese, e la produzione di vini ottenuti da uve appassite, prodotti con la tradizionale tecnica del “vinsanto” utilizzando prevalentemente uve a bacca bianca (Trebbiano toscano per almeno il 50%) sottoposte a un’accurata cernita e fatte appassire in locali idonei, per essere successivamente conservate e invecchiate in tradizionali caratelli per un periodo adeguato.

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all’ambiente geografico.

La DOC «Capalbio» è riferita alla tipologia Rosso “di base”, al tipo Rosato, al Rosso con menzione “Riserva”, alle tipologie varietali Vermentino, Cabernet Sauvignon e Sangiovese, e alla tipologia Vin Santo, le quali, dal punto di vista analitico e organolettico, presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.
In particolare, tutti i vini presentano un discreto tenore di acidità, almeno pari a 5 g/l. I vini rossi presentano un colore rosso rubino di buona intensità con riflessi violacei nei vini giovani, che sfuma al granato nei vini più maturi, comunque influenzato, nella tonalità, dalla percentuale di Sangiovese presente: il Sangiovese, infatti, rispetto ad altri vitigni come il Cabernet Sauvignon, conta su di una quantità di antociani totali inferiore, a vantaggio, però, di una notevole ricchezza in tannini proantocianidici e catechine. Per questo motivo, nella tipologia “di base”, è possibile riscontrare una maggiore complessità aromatica con sfumature fruttate e speziate più evidenti e, al contempo, un’attenuazione della sensazione tannica del vitigno base – soprattutto nei vini più giovani – proprio in funzione della diversa presenza di Sangiovese (minimo 50%) e di quella di altre varietà a bacca rossa (fino al 50%), il che conferisce, ai vini, un gusto più rotondo e pieno; l’aumento della percentuale di Cabernet Sauvignon presente, infatti, porta a ottenere vini di un colore rosso più intenso, talvolta con riflessi che sfumano al violaceo, con profumi intensi di frutta matura, confettura e spezie, e note vegetali più o meno evidenti, mentre al palato risultano morbidi e vellutati, corposi e sapidi. Nella tipologia Rosso che si fregia della menzione “Riserva” il colore tende al rosso rubino intenso con riflessi violacei più o meno frequenti, che si tramuta in granato con l’invecchiamento, mentre l’intensità del profilo aromatico aumenta e aumenta la sua complessità, ampiezza ed eleganza, con sentori di piccoli frutti accompagnati da evidenti note speziate, e al palato si amplia la sensazione di lunghezza, di corpo e di volume; queste caratteristiche sono direttamente influenzate, infatti, dall’affinamento e dall’invecchiamento dei vini, ed è per questi motivi che il disciplinare stabilisce un invecchiamento minimo di sei mesi in botti di legno con immissione al consumo successiva al 1° giugno del terzo anno successivo a quello di raccolta delle uve. Il vino della versione Rosato, prodotto con rilevante presenza di uve Sangiovese, si presenta con un colore rosa di buona intensità, profumi intensi, fruttati, mentre al palato sono freschi, sapidi, asciutti. I vini bianchi “tranquilli” presentano un colore giallo paglierino tenue, un profumo tendenzialmente fresco, fruttato e delicato, non molto intenso anche in funzione della percentuale di Trebbiano toscano presente (minimo 50%) e delle altre varietà a bacca bianca eventualmente utilizzate, mentre al gusto si presentano asciutti, di media corposità; la presenza di Vermentino (minimo 85%), porta a ottenere vini di un colore giallo paglierino più o meno intenso, a volte con riflessi verdognoli, con profumi intensi e gradevoli che richiamano frutti a polpa bianca e fiori, mentre al palato sono più asciutti e sapidi. La tipologia Vin Santo si presenta con un colore dal giallo dorato fino all’ambrato intenso, un profumo ricco e complesso, etereo, intenso, con evidenti note di frutta matura, di uva passa e candita, mentre al gusto denota sensazioni vellutate, rotonde, con una notevole ampiezza, lunghezza e persistenza.

C) descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia collinare e pedecollinare della zona di produzione, nella parte meridionale della provincia di Grosseto, in parte del territorio comunale di Capalbio, Manciano, Magliano e Orbetello, con una quota media intorno a 110 metri s.l.m., una pendenza media dell’8%, una esposizione a sud-est, per il particolare beneficio delle sue colline aperte alle brezze marine che assicurano una buona ventilazione durante tutto l’anno, concorrono a determinare un ambiente areato, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione della vite. Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in modo determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico-chimiche e organolettiche dei vini «Capalbio». In particolare, i terreni, caratterizzati da formazioni prevalentemente calcaree, anidritiche e gessose (depositi alluvionali a granulometria mista e sedimenti marini sabbiosi a sud di Capalbio), presentano un’elevata profondità utile per lo sviluppo radicale, una buona capacità di drenaggio e una moderata/bassa capacità di acqua disponibile, condizioni tali da consentire un buon sviluppo vegeto-produttivo delle coltivazioni arboree. Sono terreni per lo più franchi, sciolti o a granulometria mista, più o meno ricchi di scheletro, sub-acidi o neutri, tendenzialmente aridi, con discreta dotazione in sostanza organica e microelementi assimilabili, che presentano, perciò, una spiccata attitudine alla coltivazione della vite e, per tali ragioni, risultano pienamente idonei a una vitivinicoltura di qualità, in particolare se coltivati con l’ausilio di pratiche agronomiche e gestionali dei suoli corrette (quali potatura verde e alta densità di impianto) e basse rese produttive. Anche il clima della zona di produzione, caratterizzato da una piovosità piuttosto bassa (media intorno a 690 mm/anno), con scarse piogge estive (intorno ai 65-70 mm) e una certa aridità nei mesi di luglio e agosto – tanto da far riscontrare lievi stress idrici nelle fasi che precedono la maturazione dell’uva –, da ottimi valori dell’indice bioclimatico di Huglin (tra 2300 e 2500°C-giorno), da una buona temperatura media annuale (15,2°C), unita a una ventilazione sempre presente anche nel periodo primaverile-estivo grazie alle brezze di Maestrale che soffiano nelle ore più calde della giornata, contribuendo a regolare le temperature e a creare un ambiente sfavorevole alle malattie parassitarie, il tutto unito a una temperatura piuttosto elevata, con ottima insolazione nei mesi di settembre-ottobre e buone escursioni termiche tra giorno e notte, consente alla vite di ottenere un giusto equilibrio vegetativo, permettendo una lenta, graduale e ottimale maturazione fisiologica delle uve, contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche dei vini «Capalbio».
La millenaria storia vitivinicola riferita al territorio della Maremma meridionale, dall’epoca etrusca a quella romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, citazioni e testimonianze storiche, è la prova fondamentale della stretta connessione e interazione tra i fattori umani e la qualità e le caratteristiche peculiari dei vini «Capalbio». È la testimonianza, perciò, di come l’intervento dell’uomo in questo particolare territorio abbia tramandato, nel corso dei secoli, le tecniche tradizionali di coltivazione della vite ma anche le rituali prassi enologiche, le quali, tuttavia, in epoca moderna, sono state migliorate e affinate, grazie all’indiscutibile progresso scientifico e tecnologico, fino a ottenere i vini «Capalbio», le cui caratteristiche peculiari sono specificamente descritte all’articolo 6 del disciplinare di produzione.
In particolare, la presenza della viticoltura nel territorio della Maremma meridionale è attestata fin dall’epoca etrusca (il vasellame e i pithoi reperiti nelle aree archeologiche presenti sul territorio ne sono una prova), ma le testimonianze continuano in epoca romana fino al medioevo (gli Statuti della Comunità del Cotone citano esplicitamente regole per la coltivazione della vite) nel corso del quale la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura e di stabilirne la protezione con apposite norme statutarie. E furono molti gli studiosi di epoche successive che riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti, come il Bacci che, alla fine del 1500, così descriverà queste campagne “…situate nel cuore dell’Etruria, godono di molti pregi, sono esposte da una parte al vento che spira da settentrione dalle falde del monte Amiata e dall’altra, estendendosi verso mezzogiorno, godono anche di quello australe che dona loro calore”…Quale migliore incipit per identificare un territorio viticolo; e infatti, la zona era ricca “…di ottimi vini, soprattutto rossi, sinceri, e chiarificati con null’altro che la semplice fermentazione dei tini”. Quasi quattro secoli più tardi, l’enotecnico Luigi Vivarelli (1906) parla di tronchi di vite di dimensioni rilevanti, a conferma che la viticoltura aveva tradizioni centenarie già a quel tempo. Lo stesso Vivarelli parla diffusamente di sistemi di allevamento della vite, affermando che, nella Maremma meridionale, è già ampiamente diffusa la vigna specializzata allevata a cordone speronato. Tra le testimonianze più significative ed esaurienti, quelle del dott. Alfonso Ademollo, riconducibili a una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini (1884), si soffermano lungamente sulla vocazione viticola della Maremma; nella stessa relazione, che fotografa perfettamente la situazione della viticoltura maremmana alla fine del 1800, egli afferma che le varietà coltivate sono numerose, alcune “internazionali” perfettamente adattate al territorio, il quale viene ritenuto altamente vocato alla coltura della vite (per cinque sesti della superficie), mancando periodi di caldo o di freddo eccessivi e grazie anche ai terreni leggeri e permeabili, dovuti a sabbie, rocce decomposte, detriti vulcanici e ciottolame. Inoltre, relativamente ai pregi e difetti del vino prodotto sul territorio maremmano, egli si esprime in modo molto positivo, tanto da affermare che il vino è prodotto in ogni parte della provincia, sia in aree pianeggianti che montuose, citando i vini “forti e generosi” che si ritrovano nelle aree più marittime “quali sono quelli di Orbetello, Monte Argentario e Giglio”. In tutti questi secoli, lo sviluppo dell’agricoltura di questo lembo di Maremma è sempre stato accompagnato da un’affermazione della viticoltura e, di pari passo, da una forte valenza della tradizione vinicola, spesso perpetrata dai monaci benedettini nei periodi più bui del basso medioevo. All’inizio del XX° secolo, la viticoltura in provincia di Grosseto, come in altre aree del Paese, conobbe un periodo di crisi, con una polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e diffuse forme di conduzione mezzadrile ma, con i decenni successivi, si moltiplicarono le iniziative di molti proprietari intese a sviluppare una viticoltura più moderna e razionale, anche con l’inserimento di nuove cultivar. Col trascorrere degli anni, la nascita della Cantina Sociale di Capalbio e il contributo proveniente dall’attività di sperimentazione e di studio condotta sul territorio dalle istituzioni pubbliche e dalle aziende private, si crearono i presupposti per richiedere il riconoscimento della denominazione di origine controllata per i vini “Capalbio” col decreto ministeriale del 21 maggio 1999 (preceduto, tuttavia, nel corso degli anni ’80, dall’utilizzo dell’indicazione geografica transitoria “Capalbio” autorizzata dal Ministero dell’Agricoltura), valorizzando, così, i vini bianchi, rossi e rosati ottenuti in questo territorio, incentrati sui vitigni tradizionali Sangiovese, Vermentino e Trebbiano toscano, e sulla varietà internazionale Cabernet Sauvignon.

Articolo 10 - Riferimenti alla struttura di controllo

Nome e indirizzo: Valoritalia società per la certificazione delle qualità e delle produzioni vitivinicole italiane s.r.l. Via Piave, 24 00187 Roma Tel. : 0445 313088 Fax : 0445 313080 Mail: info@valoritalia.it
Valoritalia società per la certificazione delle qualità e delle produzioni vitivinicole italiane s.r.l. è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’art. 25, paragrafo 1, 1° capoverso, lettere a) e c), ed all’art. 26 del Regolamento CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato art. 25, paragrafo 1, 2° capoverso, lettera c). In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal citato Ministero, conforme al modello approvato col DM 2 novembre 2010, pubblicato in G.U. n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 3) in applicazione del Decreto legislativo n. 61/2010. Nel dettaglio il piano prevede il 100% del controllo documentale su tutti gli utilizzatori della filiera vitivinicola, e un controllo di tipo ispettivo annuo, a campione, su una percentuale minima degli utilizzatori che può essere così sintetizzata:  15% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Viticoltore, in ordine alla verifica della persistenza delle condizioni per l’idoneità alla DO della superficie coltivata ed alla verifica del rispetto delle disposizioni di tipo agronomico impartite dal disciplinare; tale percentuale è comprensiva della verifica ante-vendemmia per accertare il rispetto della resa massima di uva/ettaro pari al 10% delle aziende;  10% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Centro intermediazione delle uve atte alla vinificazione, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto con riscontro ai relativi documenti di accompagnamento inerenti al trasporto uve ed ai registri di cantina, nonché alla rispondenza ai requisiti previsti dal disciplinare di produzione;  15% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Vinificatore, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto a DOP e atto a DOP detenuto con quanto annotato sui registri di carico e scarico e con quanto risulta sui relativi documenti di accompagnamento, nonché della conformità delle operazioni tecnologiche effettuate sui prodotti alle disposizioni impartite dal disciplinare;  7% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Vinificatore, con prelievo di campioni ai fini della verifica del titolo alcolometrico minimo previsto per la detenzione del prodotto in cantina nella relativa fase di elaborazione;  10% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Aziende di acquisto/vendita di vini sfusi atti a DOP o certificati DOP, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto con riscontro ai relativi documenti di accompagnamento inerenti al trasporto del vino ed ai registri di cantina;  20% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Imbottigliatore, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto a DOP e atto a DOP detenuto con quanto annotato sui registri di carico e scarico e con quanto risulta sui relativi documenti di accompagnamento, nonché della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto e del corretto uso della denominazione di origine;  7% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Imbottigliatore, con prelievo di campioni da effettuarsi sul vino a DOP già confezionato per verificare la corrispondenza del vino imbottigliato destinato al consumo con la certificazione di idoneità. Inoltre, il piano dei controlli prevede un controllo di tipo analitico sistematico sul prodotto atto a DOP detenuto dal soggetto vinificatore e/o dal soggetto identificabile con le aziende di acquisto/vendita di vini sfusi atti a DOP o certificati DOP e/o dal soggetto imbottigliatore, prima dell’immissione al consumo, che si realizza mediante il prelievo di campioni da inoltrare alle Commissioni di degustazione ed a un Laboratorio di analisi autorizzato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali per i successivi esami chimico-fisico e organolettico e con la verifica della rispondenza quantitativa dei prodotti detenuti.

Tutti i contenuti di questa sezione sono stati gentilmente forniti dal MIPAAF - Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali