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Sostenibilità ambientale: dagli scarti della birra si ottengono materiali preziosi

29 Novembre 2016
Sostenibilità ambientale: dagli scarti della birra si ottengono materiali preziosi
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Di T. Amoriello, M. Pagano, G. Sperandio, S. Tarangioli, A. Monteleone, K. Carbone

Il comparto della birra in Italia è in continua evoluzione ed è costituito da grandi realtà industriali e da piccole aziende che creano valore ed occupazione e che contribuiscono ad esportare lo stile di vita italiano nel mondo.
Autori di questo fenomeno sono soprattutto i giovani imprenditori, generalmente under 35, che hanno saputo abilmente trasformare la loro passione per la birra in un’attività imprenditoriale strutturata e dinamica.

Il business della birra in Italia

La realizzazione di un prodotto artigianale originale, il mettere a frutto esperienze precedentemente maturate in altri birrifici o la capacità di cogliere le opportunità imprenditoriali offerte dal mercato hanno infatti spinto molti di questi giovani ad investire nei birrifici artigianali nonostante le difficoltà del settore legate soprattutto alla tassazione che pesa per circa il 40% del costo del prodotto finale. Secondo le ultime stime, infatti, il settore dà lavoro ad almeno 5.000 under 35 italiani (incluse le birrerie) e ha visto una crescita delle esportazioni pari al 10% negli ultimi due anni. Le imprese del settore artigianale sono aumentate del 143% nel triennio 2013-2015 rispetto al triennio precedente e del 18% nel 2015 rispetto al 2014.

Mappa birrifici artigianali in Italia
Figura 1. La mappa dei birrifici artigianali in Italia
Trend a birrifici artigianali in Italia
Figura 2. Trend birrifici artigianali 1994 – 2016 (Fonte: Fermento Birra; microbirrifici .org)

La produzione di birra in Italia

La produzione media per birrificio artigianale è aumentata, passando dai 450 hl/anno nel 2012, pari all’1,1% dell’intera produzione italiana, ai 622 hl/anno nel 2015, corrispondenti al 3,3% (Osservatorio Altis – UnionBirrai).
Quello della birra artigianale è un settore fortemente territoriale: le birre prodotte sono spesso commercializzate e consumate prevalentemente a livello locale. Tuttavia, a fronte di un aumento delle strutture produttive e di una sostanziale stabilità nei consumi, che si attestano intorno ai 30 litri annui pro capite, l’unica soluzione per la competitività del settore è di cercare all’estero nuovi canali di vendita, beneficiando della risonanza che un prodotto enogastronomico Made in Italy può dare a fronte di una competizione molto forte di paesi stranieri vocati alla produzione brassicola. Tuttavia, la realizzazione di un prodotto che sia realmente Made in Italy richiederebbe la creazione di una filiera brassicola italiana dove tutte le materie prime (orzo e luppolo, principalmente) siano di produzione nazionale, così come le infrastrutture connesse (malterie e post raccolta del luppolo).

In questo contesto, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (CREA), nell'ambito delle attività della Rete Rurale Nazionale, ha avviato l'iniziativa "Birraverde".

“Birraverde” e la produzione sostenibile della birra

Birraverde è l'iniziativa tesa a ricostruire la struttura economico-produttiva del comparto delle birre artigianali, con particolare riguardo alla Regione Lazio, e contemporaneamente ad incentivare i processi di cooperazione tra gli attori della filiera. L’obiettivo generale dell’attività è quello di promuovere l’innovazione nel settore brassicolo attraverso la creazione di un modello sperimentale di riferimento territoriale volto a favorire una gestione aziendale basata su materie prime, tecnologie e processi innovativi che siano in linea con gli impegni assunti dalla Comunità Europea per lo sviluppo sostenibile e l’efficienza delle risorse.

Modello di filiera per produzione della birra di Birraverde
Figura 3. Birraverde: proposta di modello di filiera circolare

Infatti, le aziende di birra italiane sono fortemente attente alla qualità ed alla sostenibilità ambientale, ponendosi l’obiettivo da raggiungere entro il 2020 di diminuire del 25% l’impiego di acqua e far scendere del 40-50% rispetto al 1990 le emissioni di CO2 (Annual report 2015). Questi obiettivi possono essere raggiunti anche grazie all’adozione di risultati della ricerca già sperimentati e prontamente trasferibili al mondo produttivo. Scopo principale di Birraverde è quindi quello di incentivare processi di cooperazione tra gli attori della filiera finalizzati alla valorizzazione dei vari aspetti di essa per aumentare qualità, competitività e sostenibilità delle produzioni brassicole regionali, partendo dal settore cerealicolo per arrivare alla coltivazione del luppolo fresco ed al recupero degli scarti generati lungo la filiera in un’ottica di economia circolare.

Il recupero degli scarti di produzione della birra

Proprio questo ultimo tema rappresenta il cuore di Birraverde. Agricoltura e trasformazione sostenibile significa infatti produrre e trasformare prodotti agricoli in modo remunerativo, competitivo ed efficiente, rispondendo al contempo al bisogno emergente circa la protezione dell’ambiente e delle risorse naturali. In quest’ottica, la riduzione delle inefficienze attraverso il controllo degli sprechi e dei rifiuti prodotti lungo la filiera in generale e dal ciclo produttivo in particolare risponde all’obiettivo di una sostenibilità costruita sul contenimento dei costi.

Una delle principali sfide del settore brassicolo, in questo senso, è rappresentata dalla necessità di recupero e riutilizzo a finalità diverse degli scarti di produzione della birra, rappresentati da trebbie, lieviti esausti e acque di processo, che nel complesso rappresentano circa il 90% delle materie prime utilizzate.

In particolare, l’orzo di risulta (in media pari a circa 20 chili per 100 litri di birra) ad esempio dopo la fermentazione ha ancora il 26% del suo potenziale proteico. Ad oggi, questo scarto, in gergo trebbia, diventa, nella migliore delle ipotesi cibo per bestiame. Il conferimento delle trebbie agli allevamenti zootecnici presenta tuttavia aspetti negativi importanti. Le trebbie sono caratterizzate da un contenuto di acqua compreso tra il 70 e l'80% che, insieme all’elevato contenuto di sostanza organica, le rende particolarmente instabili poiché facilmente putrescibili. Ne consegue che il conferimento deve essere in pratica immediato, imponendo quindi anche la vicinanza dell’allevamento al quale si conferisce, rendendone quindi impossibile lo stoccaggio. Questo è un problema molto serio perché i birrifici si vedono costretti a regalare questi scarti senza trarne alcun profitto.

Carbone vegetale e pellet dagli scarti della birra

In tale contesto, i ricercatori del CREA hanno proposto e realizzato alcune soluzioni tecnologiche per una loro ricollocazione sul mercato come materie e/o prodotti ad elevato valore aggiunto, permettendo da un lato l’abbattimento dell’ impatto ambientale prodotto dalle aziende coinvolte e dall’altro un’eventuale nuova fonte di reddito per le stesse.

Modello di recupero trebbie da birra di Birroverde
Figura 4. Birraverde: proposta di un modello tecnologico per il recupero delle trebbie di birra – biochar per uso agronomico

In particolare sono state realizzate e valutate due proposte: la prima che prevede di trasformare le trebbie di birra residue, tramite preventivo processo di essiccazione, in biochar (prezioso cabone vegetale) a seguito di un processo termochimico di pirogassificazione condotto con reattore pirolitico su piccolissima scala (Figura 4) e la seconda in pellet destinabile sia alla commercializzazione sia all’autoconsumo all’interno del microbirrificio (Figura 5).

In quest’ultimo caso, i dati di laboratorio hanno confermato che il potere calorifico inferiore delle trebbie analizzate non sia di molto inferiore a quello riferito ad altre specie legnose ma nello stesso tempo superiore alle specie più impiegate per la produzione di cippato e pellet di legno (Pioppo, Larice) destinato ad alimentare caldaie a biomassa per uso energetico.

Modello di recupero trebbie da birra di Birroverde - Pellet per usi energetici
Figura 5. Birraverde: proposta di un modello tecnologico per il recupero delle trebbie di birra – pellet per usi energetici

La sostenibilità economica del recupero degli scarti della birra

Il modello proposto di autoproduzione del pellet da trebbie è stato valutato anche dal punto di vista economico, in relazione a diversi regimi di utilizzo dell’impianto al fine di evidenziare i margini di sostenibilità economica del modello in relazione anche ai prezzi del pellet presenti sul mercato. Lo studio dimostra come, tenendo conto dei costi necessari per produrre pellet dalle trebbie in un impianto di pellettizzazione della potenza complessiva di 30 kW, sia possibile pensare ad ottenere dei margini economici anche in condizioni di scarso sfruttamento dell’impianto (160 h/anno di utilizzo).

Nel secondo approccio sperimentale è stato effettuato un primo test per la verifica della possibilità di produrre biochar sia da trebbie sfuse che da pellet 100% di trebbie in un processo cosiddetto “zero waste” (Figura 4). Questo modello di recupero delle trebbie si è dimostrato particolarmente interessante ed innovativo in quanto il processo di produzione di biochar è «carbon negative», ovvero sequestra più carbonio di quanto ne emetta per produrre energia, rappresentando una promettente strategia di mitigazione del cambiamento climatico. Dal punto di vista applicativo, Il biochar prodotto può essere impiegato come ammendante agricolo. Grazie alla sua notevole porosità favorisce la ritenzione idrica e degli elementi nutritivi che persistono più a lungo nel suolo, producendo effetti positivi sulla struttura del terreno e sulle proprietà meccaniche e riducendo il fabbisogno idrico e di fertilizzanti chimici. Il biochar, in virtù della sua struttura compatta, non viene degradato dai microrganismi presenti nel suolo; il carbonio resta quindi stoccato nel terreno senza tornare in atmosfera sotto forma di CO2 (come avviene nell’abbruciamento dei residui di potatura).

Sistemi innovativi di recupero e valorizzazione degli scarti di produzione come quelli appena descritti, se adottati all’interno del ciclo produttivo, non solo aumenteranno la sostenibilità ambientale della filiera ma permetteranno una reale diversificazione della produzione con apertura anche verso nuovi mercati.

Di T. Amoriello, M. Pagano, G. Sperandio, S. Tarangioli, A. Monteleone, K. Carbone
Sperimentazione del CREA - Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria

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